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16/29 AGOSTO 2013. A REMI DA COMO A NOVATE MEZZOLA A LECCO. Diario di Bordo di Giovanna Villa. Prima parte

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Arrivo a Lecco (foto Gianmaria Calvetti)
Quest'anno io e Giovanna abbiamo fatto le vacanze in barca a remi sul Lago, quello con la L maiuscola, cioè il Lario ( lo chiamo così per non fare preferenze fra Lecco e Como).
La nostra "barca"è un"Relax doppio" della ditta Janautica di Monza, che possediamo ormai da dieci anni: per una descrizione più precisa vai a 
http://www.janautica.it/vetroresina/kayak-vetroresina-relax-doppio.html#descrizione


Per il bagaglio avevamo due sacchi stagni da 60 litri  legati a poppa con delle cinghie, uno zaino e uno zainetto legati, uno sopra l'altro, a prua. Avevamo tenda, sacchi a pelo, fornello Campingaz, pentole, Bialetti moka da 6, libri, racchette da montagna, scarponcini. Avevamo anche due seggiolini senza gambe, piegabili a libro, della Quechua: io ero scettico ma Giovanna ci teneva molto e aveva ragione: mangiare seduti per terra, senza poter appoggiare la schiena,  alla nostra età, potrebbe essere letale.
 Quello che segue è il diario di bordo scritto da Giovanna. M.B.


16/29 AGOSTO 2013. A REMI DA COMO A NOVATE MEZZOLA A LECCO. Diario di Bordo di Giovanna Villa. Prima parte

Inizio oggi, 19 agosto, il mio diario delle vacanze perché non avevo, finora, il quadernetto degli appunti.
Dovendo narrare dei giorni già passati temo di non essere eccessivamente spontanea e precisa perché, si sa, i ricordi, sedimentati anche poco, cambiano, si modificano, vengono comunque elaborati e razionalizzati. Quindi vediamo:
 

Venerdì 16 Agosto
Partenza prestissimo, dobbiamo essere a Cernusco L. da Roberto alle 5 meno un quarto. Lui ci attende per accompagnarci a Como, lasciarci lì e tornare con il furgone in tempo per presentarsi al lavoro in orario.
Quest'anno la preparazione alle vacanze è stata abbastanza elaborata, con anche una uscita di prova carico bagagli, perché facciamo il giro del lago di Lecco-Como - "IL LAGO" - in barca a remi, la nostra mitica imbarcazione "RELAX"
Inoltre siamo, o meglio, io sono, un po' agitata e preoccupata perché a casa ho lasciato un po' di cose in sospeso (questo non interessa per il diario, ma solo per descrivere il clima e lo spirito che accompagna in parte la vacanza).
Dunque, arrivo a Como come previsto, baci, abbracci e si parte.


Partenza dal porticciolo di Tavernola, frazione di Como




Tutto ok! Siamo riusciti a caricare tutti i bagagli e iniziamo la navigazione.


Giornata bella, si fa il giro trionfale nel golfo di Como con un :"Attenzione secca lì avanti"gridato da riva da un apprensivo spettatore.

 Como
 
Como, Monumento ai Caduti


 Poi si risale, cioè ci si dirige verso nord, prima tappa: Torno. Giretto, cappuccio e poi ripartenza.

Torno
 
Torno, porticciolo

 
Attraversiamo il lago, raggiungiamo Moltrasio. e risaliamo fino a Laglio. Sosta bagno, pranzo e riposino. 

 
Careno


Si riattraversa e si va verso nord cercando di raggiungere Nesso, ma la stanchezza e il vento ci fanno decidere di tornare un po' indietro e fermarci vicino ad una cava abbandonata, poco a sud di Careno, dove, in un bello spiazzo, poter pernottare.

Primo pernottamento, a sud di Careno

 Mentre scarichiamo, ricevo una telefonata che reputo importante e intanto che rispondo, in una posizione un po' strana, la barca mi dà un colpo che mi fa cadere rovinosamente, alla "Fantozzi", e mi lascia, come ricordo, un bel lividozzo sulla pancia che mi accompagnerà sicuramente per tutta la vacanza.
Supero però facilmente la figuraccia, anche perché mi ha visto solo Marco che è più preoccupato per la barca che per me in ammollo.


Ogni tanto Giovanna faceva ...l'assessore

Inoltre, in quella, arriva un signore, con un aspetto un po' inquietante ( forse vedo troppi telefilm thriller), che scopriamo essere il padrone della cava. Dopo aver aspettato in silenzio la fine della nostra nuotatina, ci ha  raccontato di come suo nonno caricasse all'inverosimile i barconi per trasportare le pietre della cava. Ci parla anche della storia locale e di quella della sua famiglia. Fortunatamente non si dimostra un "serial killer" e, dopo un po', se ne va. Un po' perplessi ma abbastanza rassicurati, piantiamo la tenda, prepariamo da mangiare, leggiamo, ascoltiamo e ammiriamo la natura e poi ... dormiamo "tranquilli".

SABATO 17 Agosto
Sveglia mattutina, bagno (Marco), colazione e poi smontaggio, si parte per Nesso.

Giornata fantastica!

 
Pronti per partire


Nesso non riusciamo a fermarci, non c'è una spiaggetta utile e non riusciamo ad entrare nel porticciolo. Subito dopo il paese, però, riusciamo a legare la barca in un posto protetto da un pontile presso la sede della "canottieri Falco Nesso" e visitiamo il paese che è proprio carino.

 
Nesso

 


Poi riattraversiamo il Lago e da Brienno risaliamo fino ad Argegno. Ci fermiamo per sosta bagno e pranzo. Beviamo il caffè in un bar tipo "circolo" dove un assiduo cliente ci racconta la sua avventura giudiziaria: accusato e, secondo lui, perseguitato per terrorismo brigatista seppur fosse sempre stato democristiano .... mah!

Brienno
 
Argegno

Spesa da negozianti molto socievoli e poi si riparte alla volta dell'isola Comacina che, seppure con i suoi passati "biscieschi" (ricordi di gioventù scoutistica), ci offre l'opportunità di fermarci per la notte ....
 
Isola Comacina



Anche se un po' abusivamente. Infatti, ceniamo e, solo quando fa buio, in luogo appartato e nascosto, piantiamo la nostra tendina. 


Il Legnone, al tramonto, dall'isola Comacina

DOMENICA 18 Agosto
Notte, per me, quasi insonne: musica ad altissimo volume fino alle 2.30, poi chiacchiere sull'altra riva ma udibilissime, infine uccelli vari che starnazzavano facendo strani versi dalle prime luci dell'alba. Quando, poi, abbiamo sentito delle voci avvicinarsi (prestissimo), per timore di dover rispondere di qualche divieto non rispettato,  abbiamo smontato in tutta fretta la tenda rimanendo, però, lì parecchio tempo per bagno e sole.


Isola Comacina. Pescatore ritira le reti all'alba.

Siamo, quindi, partiti un po' tardi e abbiamo trovato subito un venticello che agitava il lago e un sacco di natanti casinisti.

 

Punta del Balbianello, Lenno
In località punta del Balbianello (Lenno) era un vero delirio di motoscafi di tutte le dimensioni e velocità, non sapevi come evitare onde e controonde e quindi abbiamo remato con molta fatica e poco tranquilli.

Ci siamo fermati, poi, ad Azzano per un caffè e un po' d'ombra sotto una magnifica e gigantesca magnolia. Ci è costata però un po' di fatica e qualche figuraccia passare dalla spiaggia al centro paese, perché abbiamo dovuto percorrere un canale dell'acqua piovana e scavalcare  la ringhiera di un ponticello e con la mia agilità .....

 
Giovanna alle prese con la "ringhiera".


Ripartiti con calma, volevamo fermarci a Villa Carlotta per visitarla ma sia a Tremezzo che a Cadenabbia non c'erano approdi possibili. Abbiamo continuato fino a Griante dove in una spiaggetta un po' sporca e bruttina siamo riusciti a portare in secca la barca.
Nel frattempo si è fatto un po' tardi per cui invece della visita a Villa Carlotta, abbiamo trovato una spiaggia, più grande e più bella e abbiamo fatto un bel bagno e mangiato.
Ripartiti con fatica, per il vento e il traffico, pian piano siamo arrivati a Menaggio e ci siamo sistemati in campeggio.
Sembrava una sistemazione più sicura di quella delle altre notti, invece abbiamo purtroppo scoperto che lasciare la barca in spiaggia era poco opportuno, perché i soliti ragazzini scapestrati, che sono ovunque, hanno abitudine di fare scorribande nelle spiagge danneggiando o rubando le cose che trovano lì durante la notte.
Ci siamo un po' agitati. Marco è anche caduto, scivolando,  rovinandosi un dito della mano destra! Ohimè!
Comunque, dopo aver cenato, abbiamo ben pensato di non trasportare la barca all'interno del campeggio, che sarebbe stato faticosissimo, ma, di ripararla in un piccolo porticciolo privato al riparo da sguardi indiscreti.
La notte, Marco, che diceva di essere agitato, ha dormito profondissimamente, mentre io ho sentito tutti i rumori del mondo e mi sono alzata più volte a controllare la situazione.

 
LUNEDI' 19 Agosto
Andiamo in spiaggia prestissimo e spostiamo la barca fuori dalla proprietà privata. Il tempo non promette bene ma non c'è vento.
Smontiamo, carichiamo, bagno ... partenza ottima. Siamo in forma, ma soprattutto  il lago è perfetto. Cielo nuvoloso, clima un po' afoso ma lago piatto, piatto. Si voga che è un piacere, benissimo e velocemente (limitatamente alle nostre capacità atletiche). A Sant Abbondio ci fermiamo per fare la spesa.


Uno splendido omaggio!
Mentre stiamo sistemando la barca una signora, dal terrazzo di un piccolo condominio, ci invita per un caffè. Noi, un po' interdetti, non riusciamo a raggiungerla e lo diamo per perso; ma al ritorno, mentre carichiamo la spesa, ecco la signora gentilissima si presenta con un vassoio favoloso: caffettiera da sei, due tazzine, zuccheriera e un piattino con due paste e un bellissimo grappolo d'uva. Splendido!!! La signora è tedesca e quindi c'è una breve conversazione un po' stentata ma capiamo che ci fa i complimenti e definisce la nostra avventura grandiosa .... un po' esagerata ma piacevole. Ci gustiamo questo omaggio graditissimo, ringraziamo entusiasticamente, ci imbarchiamo e salutiamo calorosamente.

Rezzonico
 
Castello di Rezzonico

Direzione Musso che raggiungiamo facilmente e ci fermiamo in una spiaggia bellina.
Facciamo il bagno tra rimasugli d'erba galleggiante qua e là, mangiamo e poi giretto in paese con caffè.


Musso
 Impigriti, non partiamo subito anche se il tempo sta peggiorando e infatti .... piove





Copriamo con la mantella lo zaino sulla barca e ci rifugiamo sotto il portico della chiesa appena in tempo, poi il diluvio ... più o meno.
L'acquazzone è molto intenso e piuttosto lungo, noi aspettiamo leggendo e scrivendo. Poi, pian piano, migliora.







Non si è completamente rimesso al bello ma ripartiamo. Il primo tratto è un po' difficoltoso per il vento e le onde ma poi, raggiunto il golfo di Dongo, il lago è molto più tranquillo e raggiungiamo il campeggio "la Breva" dove ci fermiamo per la notte.
Per i soliti problemi di vandalismo trasportiamo a braccia la barca all'interno del recinto, ma ormai, allenati e forzuti, i sollevamenti non ci spaventano più.



Il campeggio è molto bello, pulito e fin troppo ordinato, i proprietari sono cordiali e accoglienti.
Piantiamo la tenda, mettiamo tutto al riparo e andiamo in paese per la spesa.
Ma ... è lunedì  pomeriggio: tutti gli alimentari sono chiusi, nessuno escluso. Pazienza, abbiamo pasta e sugo .
Ma ... ricomincia a piovere, addio pastasciutta!
 

Dongo. Temporale in arrivo

Ci ripariamo in tenda e comodamente seduti, grazie al mio oculato acquisto di due seggiolini da terra!, mangiucchiamo pane formaggio avanzati a mezzogiorno e, appena diminuisce la pioggia, recuperiamo qualche alimento che teniamo di scorta nel pozzetto della barca.
E' la prima volta che non riusciamo a cucinare, ma sopravviviamo. La tendina è piccola e fragile ma ha tenuto, io avevo dei dubbi. Fa un po' freddo! 


MARTEDI' 20 agosto
Sole splendido, ma vento pazzesco.
Si rimane a Dongo. Mattinata tranquilla: colazione, spiaggia, bagno, sole. Verso le 11, già stufi, decidiamo di fare un giretto in montagnola: alla chiesetta di Santa Eufemia.


La spiaggia di Dongo

Dopo aver fatto la spesa ci incamminiamo: poco sopra le ultime case un bellissimo fontanone di acqua freschissima, poi, dopo neanche un oretta di un bel sentiero con vista panoramica, arriviamo alla chiesetta, chiusa, con un prato davanti e dei tavoloni traballanti.




 A uno di questi tavoli, una numerosa ed allegra comitiva tedesca ci dice qualcosa, per noi incomprensibile, prima di andarsene.
Abbiamo pranzato e poi riposato sul prato all'ombra di frondosi alberi. C'era una spettacolare vista sul lago, cielo limpidissimo, un po' ventoso.


Dongo. La chiesa di santa Eufemia.

 





 Per scendere abbiamo preso un sentiero, consigliato dai gestori del campeggio, un po' scosceso, e abbandonato e, forse, anche un po' proibito: proprietà privata ma recintato male ... .c'erano varie aperture e ne abbiamo approfittato.
Pare fosse un parco realizzato per volontà di una signora altolocata, che desiderava avere un giardino esotico. Però di alberi strani non ne abbiamo visti. Tranne qualche palmetta, sembravano tutti alberi e arbusti nostrani(1).


Discesa attraverso il "Giardino del merlo".

Ritorno al campeggio con vento, vento e ancora vento. Bagni, sole, riposo fino a sera. Ricca cena con anche buonissimi pasticcini.
In tarda serata ci siamo recati in spiaggia per vedere la situazione lago: bellissimo, lago piatto, luna piena. Domani, se in giornata ci sarà ancora vento, viaggeremo di notte!


MERCOLEDI' 21 Agosto
Sveglia "prestivora", lago abbastanza buono. Quindi si parte.
Si smonta il campo piano, piano per non disturbare i vicini dormienti. Colazione, si carica la barca e si va. Lago un po' agitato ma si riesce a remare tranquillamente e, man mano, migliora. 


 
Gravedona. Santa Maria del Tiglio


 
Gravedona. Palazzo Gallio

 
Oltrepassiamo Gravedona, arriviamo a Domaso dove ci  fermiamo a fare la spesa e poi remiamo ancora per un buon tratto. 

Sosta a Domaso






Un altro modo di remare

Ci fermiamo per un bagno e poi via ancora. Verso mezzogiorno siamo in prossimità del fiume Mera. Superiamo il ponte e cominciamo a risalire.


Sul fiume Mera








Poco prima di Dascio, vicino a riva il lago è pieno di alghe e melmoso, ma ci fermiamo comunque e pranziamo in un prato. Quando ripartiamo abbiamo qualche difficoltà a districarci dalle alghe. Ci fermiamo poco più avanti per un caffè e una pennichella.

 
Il laghetto di Dascio


Si riprende il percorso lungo il fiume e si arriva al laghetto di Novate. Ci accoglie un vento fastidioso che rende faticoso il remare, con onde abbastanza consistenti. Costeggiamo, per sicurezza, ma così allunghiamo notevolmente il percorso.  


La ripida costa occidentale del Lago di Novate Mezzola

Arrivati a Novate fatichiamo a trovare il campeggio: è nascosto in un angolo oltre la foce di un fiume che entra a nord del lago.
E' un camping un po' strano ma ci sistemiamo per bene per la notte, domani gita in montagna: Val Codera.

 
Note
 (1) E' il "Giardino del merlo", realizzato tra il 1858 e il 1883 dal nobileG. Manzi. cfr. Guide d'Italia, Lombardia , Touring Club Italiano, 1995








BREVA, TIVANO E BELLANASCO di Francesco Agostoni

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Prima di intraprendere il giro del lago di Como in barca a remi (vedi il post successivo) ho chiesto a Francesco Agostoni, un amico che quando abitava a Verderio frequentava spesso il lago con il suo catamarano, di spiegarmi il comportamento dei venti che soffiano sul lago. Il suo racconto merita di essere pubblicato. M.B.

Temporale a Dongo
 
Caro Francesco,
ho bisogno di te come esperto navigatore di lago. Io e Giovanna faremo le vacanze con la barca a remi. L'idea è di andare da Como a Novate Mezzola e da qui a Lecco.
Della Breva sappiamo che comincia a soffiare da sud a nord verso le undici e via via aumenta. Poi cessa? Quando?
Del Tivano non abbiamo invece esperienza: come si comporta?
Ci interessa saperlo per capire se possiamo, e fino a che ora, muoverci in barca anche nel pomeriggio. Del Menaggino so solo che bisogna averne paura.
Dicci qualcosa.
Ciao, Marco


Temporale a Dorio

Caro Marco
Mi fa grande piacere sentirti, noi stiamo tutti bene, spero anche voi.
Dunque quando avevo la barca a Bellano andavo su al pomeriggio per sfruttare la Breva che si comporta come dici tu, tuttavia ci sono dei giorni che ritarda o non viene del tutto. Con la breva non riuscivo mai a scendere molto a sud perché sotto Bellagio finiva, invece salivo facilmente fino a Piona e oltre, per poi ridiscendere a Bellano, ma stando attento a non tardare troppo perché verso le sei cominciava a calare e si rischiava di dover tornare a remi. C'erano invece dei giorni che rimaneva forte fino a tardi.
Per quanto riguarda il Tivano l'ho sperimentato qualche volta quando andavo a fare surf a Valmadrera: bisognava arrivare prestissimo al mattino perché alle 9 già calava.


Bellano
Poi ci sono quei venti bastardi che si scatenano quando meno te l'aspetti e scendono giù dalle valli laterali con furia incredibile. Il menaggino non l'ho mai sperimentato ma il bellanasco sì.
Questa è la storia.
Ero a Dervio un bel pomeriggio d'estate e decido di tornare a Bellano con una bella breva tesa. Ero da solo in catamarano e in quelle condizioni non c'era nessun problema e contavo di impiegare una mezzora al massimo. Arrivato a metà strada, all'improvviso dalla valle arriva una botta di vento fortissima, il cielo si copre nel giro di pochi minuti, nuvole nere scaricano pioggia, tuoni e fulmini che vedo cadere in acqua a pochi metri da me. Si alzano delle onde enormi per il lago, miracolosamente riesco ad ammainare la randa, ma anche senza vele la barca cavalca le onde a velocità pazzesca e per evitare di ingavonare le prue devo timonare stando seduto all'estrema poppa. Sono completamente in balia delle onde e del vento, cerco soltanto di evitare la scuffia ma non so dove sto andando,è completamente buio, le sponde del lago non si vedono più, ho una visibilità di qualche decina di metri. Attendo da un momento all'altro che una saetta mi colpisca l'albero e intanto viaggio a velocità folle verso l'ignoto. Sarà durato una mezzora, poi piano piano il vento ha cominciato a calmarsi e ho potuto rilassarmi un po' ma ancora non sapevo dov'ero e dove stavo andando, finalmente verso prua vedo una luce, mi avvicino e mi accorgo di essere ritornato esattamente al circolo vela di Dervio da cui ero partito. Avevo preso talmente freddo che la prima tazza di tè caldo che mi hanno offerto l'ho versata tutta per terra perché le mani mi tremavano, ma insomma l'ho scampata bella. Morale della favola non allontanarti troppo dalle sponde per poter guadagnare rapidamente la riva in caso di maltempo.
Ciao Francesco


Temporale a Bellagio



LA VITA CONTADINA, LE CORTI E LE CASCINE di Giulio Oggioni

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Giulio Oggioni è nato a Verderio Superiore nel 1943. Su Verderio ha pubblicato già tre libri:
Quand sérum bagaj (Marna 2004);
 
La Salette. Storia di una cascina e della sua Madonna (Marna 2006);
 
1940-1945. Ricordi, immagini e testimonianze nel diario di cinque anni di guerra a Verderio (A. Scotti 2008).

Ha inoltre curato la pubblicazione dei volumi "VERDERIO, la storia attraverso le immagini e i personaggi", 1985 e "La chiesa parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano. 1902 - 2002; un secolo di storia, arte e vita religiosa", 2002.

L'ultima sua fatica, "VERDERIO. La vita contadina, le corti e le cascine", ha avuto origine dalla
collaborazione con la Scuola Primaria Collodi di Verderio, in un'attività didattica che già aveva prodotto il fascicolo "Tra corti e cascine: tradizioni, usi, costumi, leggende e religione a Verderio", scritto dai bambini delle varie classi.
Il nuovo libro è il risultato dell'approfondimento di quei temi, e di una formidabile raccolta di fotografie, molte delle quali inedite.

La Premessa al testo(pag. 9) è stata scritta dall'autore, e qui, con il suo consenso, ve la presento.




VERDERIO. La vita contadina, le corti e le cascine. Premessa
di Giulio OGGIONI

La vita contadina, le corti e le cascine ...
Sembra il titolo di un film del grande regista Ermanno Olmi che, più di quarant'anni fa, attraverso il piccolo schermo, entrò nelle case degli italiani con "L'albero degli zoccoli". Fu un successo!
Anche Verderio ha la sua storia, come quella di Olmi, e io vorrei raccontarvela.
Vi chiederete: perché? Semplice. Il tempo passa così velocemente, le generazioni crescono e cambiano così in fretta, le abitudini mutano così rapidamente, che tra qualche anno rischiamo di dimenticare le nostre origini.
A Verderio, fino a metà del Novecento, quasi tutte le famiglie erano contadine e vivevano in trentadue corti e 27 cascine con il ricavato dei raccolti stagionali.
Con i ragazzi della Scuola Primaria Collodi e gli insegnanti abbiamo visitato diverse corti e cascine. Ai ragazzi ho ricordato la vita passata. 




Sono stati accolti anche nel Museo Contadino allestito dalla famiglia Verderio, nell'edificio dell'Aia.
Il mio e il loro lavoro completano una storia che rimarrà ai posteri
Ecco perché ho iniziato il mio dialogo con voi con "La vita contadina, le corti e le cascine". Questo è il titolo del nostro film, ma è anche una storia vera e fantastica: è la storia di Verderio di questi ultimi secoli. [...]
Sandro Pertini, l'ex Presidente della Repubblica Italiana (1978 - 1985) ai giovani diceva: "Non ha futuro quella Nazione che non ricorda il suo passato".
È vero! Coloro che vivranno il futuro di Verderio, con questo libro avranno la possibilità di conoscere anche il nostro passato.
Buona lettura!










LES PETITES CHOSES DE LA VIE Storie d'amore, di geni e di mutanti. Di Giuseppe Gavazzi

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Giuseppe Gavazzi, classe 1936, è stato professore di Genetica Agraria presso l'Università degli Studi di Milano.

Nel suo lavoro di ricerca si è concentrato in particolare sui diversi aspetti dello sviluppo della pianta del mais.
Residente a Verderio, quando può trascorre in paese i suoi fine settimana.

Dal libro autobiografico che ha scritto recentemente, "LES PETITES CHOSES DE LA VIE - Storie d'amore, di geni e di mutanti", traspare con forza la sua passione per la vita e per il lavoro di scienziato.


 Le parti del libro che riguardano Verderio si riferiscono soprattutto al periodo dell'infanzia, che coincide in parte con quello della seconda guerra mondiale. Il brano che, con il suo permesso vi propongo, è tratto dal capitolo "Il giardino incantato" (pagine 17 - 18 - 19).

LES PETITES CHOSES DE LA VIE - Storie d'amore, di geni e di mutanti di Giuseppe Gavazzi
IL GIARDINO INCANTATO

L'anno seguente ci trasferimmo a Verderio Superiore, a casa del nonno materno. Qui i ricordi si fanno meno frammentari, è stato uno dei periodi formativi della mia crescita. Anche la villa del nonno Alessandro era grande e abitata da tante persone. Oltre ai genitori e a noi tre figli - Alessandra, io e Alberto - c'erano il nonno e la nonna Anita, la figlia Vanna, sorella della mamma, e la bisnonna, che occupava un intero appartamento al primo piano. Un'ala della casa era riservata ai Facchini, amici friulani della zia Vanna, e due piccoli appartamenti rispettivamente alla famiglia dell'autista e a quello del custode, il cui figlio divenne mio inseparabile compagno di giochi per tutto il tempo che rimanemmo lì. A completare questa colorita compagnia un ufficiale tedesco molto gentile, che passava il tempo libero a suonare il violino.





Dietro la casa c'era un grande giardino,in cui passavo ore infinite. Nella mia fantasia rappresentava davvero il paradiso terrestre. Sul lato sinistro era delimitato da un boschetto di alti bambù, sui quali ci divertivamo ad arrampicarci a forza di braccia, mentre più oltre un muro lo divideva dal giardino della villa Gnecchi, nostri cugini. Al centro svettava un maestoso cedro del Libano, con accanto una grande fontana nella quale inevitabilmente entravo per osservare  da vicino il variopinto mondo di insetti che la popolava. Sulla destra, oltre un boschetto di ippocastani, la proprietà confinava con la cosiddetta Breda, un terreno agricolo coltivato di circa un ettaro, con serra ortaggi e un noccioleto. La fine di quel regno incantato era rappresentata da una ringhiera e da due alti alberi, da cui cadevano pigne profumate ricchissime di ottimi pinoli. Una stradina sterrata seguiva per intero il perimetro del parco, e per me era un vero spasso percorrerla in bicicletta, ingaggiando gare di velocità con me stesso a ogni giro. Ma la maggior parte del tempo la passavo a caccia di insetti che poi mi divertivo a disegnare, o a osservare il movimento dei ragni d'acqua e le voraci larve delle libellule nella fontana. Grazie a Strani insetti e le loro storie, il primo di una lunga serie di libri sulla natura regalatimi dal nonno e che leggevo avidamente, sapevo riconoscere insetti nuovi come l'idrofilo o rari esemplari dello stupendo Ditiscus marginalis. Ma ero ammirato anche da quelli più comuni, che viaggiavano veloci sull'acqua a pancia in su.








 


DA GRANDE VOGLIO FARE IL POETA di Giancarlo Consonni

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Giancarlo Consonni nasce nel 1943 a Verderio Inferiore, dove abita fino al 1967, quando si trasferisce a Milano. Professore di Disegno Urbano presso il Politecnico di Milano, Consonni, oltre ad essere autore o coautore di numerosi libri ed articoli riguardanti l'urbanistica, ha pubblicato alcune raccolte di poesie, tre delle quali in dialetto di Verderio:

Lumbardia, I Dispari, Milano 1983;
 
Viridarium, All'insegna del pesce d'oro, Milano 1987;
 
Vûs, Einaudi, Torino 1997.



Ora è uscito un suo libro in prosa, intitolato Da grande voglio fare il poeta, pubblicato dalla casa editrice milanese "La vita felice". Il libro si compone di una serie di brevi capitoli, in ciascuno dei quali è tratteggiato un aspetto o un episodio di vita di Verderio Inferiore, a volte più personale, legato alla famiglia, a volte invece riferito all'intera comunità. Ricordi che provengono dal periodo dell'infanzia e della giovinezza che l'autore ha trascorso in paese e che, per la delicatezza con cui vengono narrati, mi fanno pensare a dei dipinti ad acquerello.

Il brano che, con il suo consenso, vi presento è una parte del capitolo intitolato "Il Presepe", pag. 43 - 44



DA GRANDE VOGLIO FARE IL POETA di Giancarlo Consonni

Il Presepe

In casa nostra il presepe era allestito nella cavità di un camino, reso ormai inutile dalla bianca cucina economica nuova di zecca, le cui piastre roventi ad anelli concentrici obbligavano le donne a trasformarsi in giocolieri. La notte d'oriente - una tempera su carta comperata al mercato - faceva da fondale. Ma senza il muschio quello non sarebbe mai stato un presepe e, se avevi sette - otto anni, procurarlo era già compito tuo.



Un motivo in più per scorrazzare, in piccoli gruppi, nelle immense stanze che avevano per pareti le robinie e per tetto il cielo. Le gambe seminude sprofondavano violacee nella neve a cercare il verde pelo. Lo porgevano, sul lato a settentrione, i tronchi rugosi dei vecchi gelsi che ancora punteggiavano l'Altopiano. Talora ti sorprendeva un rampichino che in qualche cavità alta del tronco aveva il suo nido. Il paese era là: presepe vivente. Quello ospitato nel camino in disuso non era che la sua miniatura. Ed ecco il muschio finalmente al suo posto: una carezza alla terra. Lo punteggiava un gregge, come negli intervalli televisivi di qualche anno dopo.









VERDERIO IN TRE LIBRI DI RECENTE PUBBLICAZIONE

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Tre libri, pubblicati negli ultimi mesi, riguardano, in un modo o nell'altro, Verderio. Giancarlo CONSONNI, Giuseppe GAVAZZI e Giulio OGGIONI, gli autori, hanno con questo paese un intenso legame, che si mantiene intatto anche se, almeno per due di loro, il maggior tempo della vita si svolge altrove.

16/29 AGOSTO 2013. A REMI DA COMO A NOVATE MEZZOLA A LECCO. Diario di Bordo di Giovanna Villa. Seconda parte

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Questa è la seconda parte del "Diario di Bordo" tenuto da Giovanna durante il nostro giro del Lago di Como in barca a remi. La prima parte è apparsa sul blog il 12 dicembre scorso.
Era terminata al campeggio di Novate Mezzola, alla vigilia dell'escursione in val Codera. M.B.




16/29 AGOSTO 2013. A REMI DA COMO A NOVATE MEZZOLA A LECCO. Diario di Bordo di Giovanna Villa. Seconda parte.


Il lago di Novate Mezzola e quello, più piccolo, di Dascio. A sinistra il Monte Legnone, la meta non raggiunta. Immagine ripresa dal sentiero della val Codera.

Giovedì 22 Agosto
Partenza circa 6,30 con scarponi, zaini, racchette. Tutto ok.
Ci incamminiamo e imbocchiamo il sentiero e poi saliamo, saliamo, saliamo. Fino alla cava. 




Ci fermiamo in prossimità di un gruppo di case per fare colazione ricca ed abbondante: pane, marmellata e formaggio.




 
Sosta colazione


 Abbiamo un ritmo rilassato anche perché Marco ha deciso di fotografare tutte le cappellette, anzi, tutti i particolari di tutte le cappelle che incontriamo. 
E sono tante!








Poi si sale ancora e si scende un po' e si risale ...







  ...e si arriva tranquillamente a Codera: pensavo di fare più fatica.



Arrivo a Codera

Pausa caffè al rifugio e proseguiamo verso il Brasca.
Notiamo un po' di cambiamenti tra cui una casa scout molto bella :Base Scout.
Bresciadega è sempre affascinante e il bosco fatato: immagine del Paradiso terrestre e celeste!








Il ponte dondola, e il minaccioso cartello è dopo il ponte. Meglio non lasciarsi prendere dalla voglia di giocare ..

      

.. e dalla curiosità di sperimentare cosa si meritano i trasgressori.

Subito dopo un campo scout, perfetto, arriviamo al rifugio Brasca, lì si pranza e riposa e poi si riparte per il ritorno.


In vista del rifugio Brasca

Si pensava di fare il trecciolino e scendere da S. Giorgio ma ormai è tardi e quindi si scende passando ancora da Codera. Discesa infinita...non si arriva mai. Un po' stanchi la sera al campeggio si va in pizzeria. Un po' deludente, soprattutto l'ambiente un po' nostalgico fascista, Ahimè!
Domani si smonta e si torna a Domaso, abbiamo un appuntamento gastronomico con i Muzio e Gianmaria.



Venerdì 23 Agosto
Partenza da Novate abbastanza presto, tutto nuvoloso ma il lago è piattissimo.






Sosta alla cascata dove Marco fa una nuotatina, acqua gelida.




Si discende il fiume Mera e poi ci viene l'idea di fermarci a Gera Lario per la spesa ma si sbaglia mira e si approda a Sorico alle foci del fiume e ohibò che disastro!
La spiaggia è attraente ma vuota, appena accostiamo capiamo il perché. Marco scende dalla barca e il suo piede viene risucchiato da una melma nera, con molta fatica e molta ripugnanza riusciamo a portare la barca a riva. Siamo tutti infangati e ci laviamo ad una fontanella prima di andare in paese. Cerchiamo un negozio ma è un labirinto e anche questo richiede un po' di fatica e pazienza.



A Sorico



Ripartiamo con qualche difficoltà e puntiamo su Domaso. Arrivati ci sono un sacco di campeggi, ne vorremmo uno vicino al lago per non trasportare troppo la barca, ne scegliamo uno con un bel pratone  appena oltre il cancello ma appena registrati ci dicono che la barca è si ,da portare dentro ma, non si può lasciarla lì vicino all'entrata, bisogna portarla un bel po' più in su. Sarà più faticoso del previsto, va beh!
Portiamo su i bagagli, i remi andiamo a fare una nuotata rinfrescante e rigenerante ma poi tornati in campeggio: "ma la macchina foto? Dov'è?". La cerchiamo ovunque ma niente; torniamo sui nostri passi e ripercorriamo gli ultimi passaggi in spiaggia e in campeggio: niente. E allora Marco noleggia una bici e torna a Sorico: il paese melmoso, io intanto pianto la tenda da sola (un po' male ma ci sono riuscita). Mentre aspetto ammiro un bellissimo camperino Westfalia, il mio sogno!!!.
 

 
Il suo vero grande amore

 
E la macchina foto? Trovata! Era appoggiata sul muretto dove l'abbiamo dimenticata troppo presi dalle difficoltà della partenza in mezzo alle "sabbie mobili". Bene, sono ormai le quattro e sta tuonando ma niente di più e torna il sole. Poi le nuvole riprendono il sopravvento e ricomincia a tuonare; poi ricompare il sole. Intanto noi pian pianino portiamo in campeggio la barca, con un po' di soste ma ce l'abbiamo fatta.
Arriva davvero un temporalone pazzesco:grandine con grani grossi come noci e proprio oggi ho piantato male la tenda ma forse è stato meglio così...non essendo ben tesa non offre resistenza e la grandine non provoca danni!!....era tutto previsto da brava scout (eh,eh).
Mentre vien giù il cielo intero, arriva la telefonata di Gianmaria che ci avvisa che loro sono già a Domaso e ci aspettano. Ma qui diluvia, è impensabile uscire ed affrontare la pioggia torrenziale e gelida. Fortunatamente una tregua: ci precipitiamo all'appuntamento. Loro ci sono venuti incontro in auto e raggiungiamo la trattoria "da Ruffino" dove ceniamo.
Abbondante, di qualità e in buona compagnia. Facciamo un giretto in paese e poi ognuno torna a casa ....noi in tenda: acciaccata e molto, molto umida ma si dorme comunque.


Sabato 24 Agosto
Mattinata un po' grigia con qualche sprazzo di sole. Si smonta cercando di fare asciugare un po' le cose. Si preparano i sacchi, si trasporta il tutto in spiaggia e poi, dopo la colazione, si carica e si parte. Destinazione:boh!



Sulla spiaggia di Domaso, pronti alla partenza


Ci si dirige a Colico dove si fa la spesa e si beve un buon caffè, poi si va verso Dervio. Si supera il campo scuola scout, si supera il golfo di Piona, il convento, villa La Malpensata e la punta di Olgiasca e il tempo cambia in peggio.


La cappella di San Nicolao, vicino al Campo Scout

La villa La Malpensata a Olgiasca
Si fa sempre più fatica a continuare. Arrivati a Dorio ci fermiamo per mangiare e visitare il paese. 

La spiaggia di Dorio
 Siamo ancora in prossimità di Dorio quando un ciclista ci saluta e ci segue e dopo poco sentiamo gridare :"Marcooo". Il ciclista è Daniele Bariffi nostro amico nonché nostro assicuratore che casualmente passava di lì e ci ha riconosciuto.

Una veduta dalla spiaggia di Dorio
 Baci, abbracci e una nuotatina insieme e poi chiacchieriamo, chiacchieriamo, chiacchieriamo a lungo e il tempo peggiora, peggiora e inizia a diluviare. Loro ripartono per Lierna e noi ci ripariamo sotto un ponte della ferrovia. Non smette più, ci avevano invitato a cena a casa loro ma non è possibile; peccato, sarebbe stato piacevole.
Ci sono un ragazzo e una ragazza qui in spiaggia che hanno piantato una tendina e acceso un fuoco enorme per cucinarci sopra. Il fuoco è esagerato e il ragazzo che ci passa accanto con l'accetta in bocca e dei grossi rami in mano è un po' inquietante. Poi ci parliamo ed è, sì, un po' originale ma simpatico.


Pernottamento sulla spiaggia di Dorio
Appena la pioggia concede una tregua, piantiamo alla belle e meglio la tenda e ci rifugiamo dentro. Domani vedremo come si mette, ora sembra non voglia smettere più di piovere.

 
Lettura in tenda


Domenica 25 Agosto
Sveglia umida, umida dopo una notte in cui vento e pioggia si sono alternati fastidiosamente.
Stamattina c'è vento ma non è consistente.
Smontiamo con calma, facciamo asciugare un po' tutto. 


 
Mattinata fredda, dopo una notte di pioggia e vento

 
Ma il sole non si vede ancora. Colazione, cala il vento, partiamo.




Corenno Plinio

 Non facciamo molta strada: ci fermiamo a Dervio per la spesa e un bel bagno. Finalmente si fa vedere e sentire un po' di sole. Mangiamo. Il lago sembra calmo ma stanno arrivando ancora i nuvoloni: ci affrettiamo a ripartire. In prossimità di Bellano si alzano onde insidiose e ci fermiamo in una spiaggia vicino all'ospedale.
Lasciamo lì la barca carica e facciamo un giro in centro. 


 
Da Bellano


Poi andiamo a trovare Don Franco Resinelli che abita proprio vicino alla chiesa. Ci accoglie calorosamente, facciamo due chiacchiere, beviamo un caffè comodamente seduti su un morbido divano ( come si apprezzano le comodità quotidiane quando per un po' non le hai a disposizione).
Poi, ci accompagna a visitare una mostra di Danilo Vitali: " La via del rame", allestita presso la chiesa di S. Nicolò; chiesetta che è diventata un spazio espositivo molto carino.
Belle le sculture di animali, vegetali e soprattutto pesci e più precisamente agoni ed alborelle, interessante e divertente.





 
Con Don Franco


Intanto piove e piove. Salutato Don Franco ci ripariamo sotto la pensilina dell'imbarcadero a leggere e ad osservare l'andirivieni dei passeggeri.
Squilla il telefono: è Gianmy che, saputo che siamo a Bellano, ci propone di andare a vedere la mostra da noi appena visitata. Si decide di trovarci per cena, viene anche Davide. Appuntamento sul lungolago.
Nel frattempo ritorniamo alla barca per controllare che sia tutto a posto e per indossare qualcosa di più caldo e idoneo per la serata fredda e umida.


Scultura di Danilo Vitali (foto Davide Frontini)


Mangiamo insieme una pizza e poi andiamo a rivedere l'esposizione di Vitali. Lo scultore è simpatico e cordiale e ci racconta un po' della sua vita e della sua passione. Ci racconta anche di un suo giro del lago in barca di una trentina d'anni prima, però con una barca di "Lucia", munita di motore.








 
Alla mostra di Danilo Vitali (foto di Davide Frontini)


Gianmaria e Davide ci accompagnano alla spiaggetta dove piantiamo la tenda e ci sistemiamo con la supervisione e il controllo di Gianmaria che dà l'ok. Loro tornano a casa e noi possiamo dormire sonni tranquilli.


Pernottamento a Bellano

PER PROSEGUIRE CLICCA SU:

 

Lunedì 26 Agosto
Cielo bellissimo ma molto nuvoloso, lago calmissimo.


 
Bellano

Partiamo appena possibile e arriviamo tranquillamente e molto piacevolmente a Varenna. Lì facciamo un bel giretto e colazione.......Varenna, comunque, è la mia preferita!

 
Varenna

Proseguiamo e, all'altezza di Fiumelatte, attraversiamo il lago e arriviamo a Bellagio. Vorremmo fermarci a Pescallo ma ci preoccupa un po' il tempo, perché se dovesse peggiorare non riusciremmo più a oltrepassare la punta.


Bellagio

 
Bellagio


Infatti appena oltrepassata la punta Spartivento si alza un forte vento che ci costringe a fermarci.





 




Portiamo la barca in secca, pranziamo e poi andiamo in centro; passeggiamo nelle viette, sotto i portici, sul lungolago e il tempo peggiora sempre più. Facciamo la spesa, beviamo un caffè, ci sediamo a leggere e il tempo è sempre più brutto, temporale in arrivo e vento freddo. Anche stavolta ci ripariamo sotto la pensilina del traghetto. Un po' stufi torniamo alla barca per coprirci meglio e nel tragitto troviamo una galleria d'arte interessante. Andiamo a mangiare in un locale buffo. Comodo, economico e molto kitch ... Beviamo, però, un buon caffè in un bar storico e di lusso sul lungolago. 


Il "Paradiso" del ristorante "Divina Commedia" a Bellagio


Poi in spiaggia, sulla punta ma un po' riparati, piantiamo la nostra tendina e dormiamo così all'"hotel Spartivento"...eh,eh


Pernottamento a Bellagio
Martedì 27 Agosto
Ci si alza presto, stanotte ho sentito tanti passi, rumori sospetti ma Marco ha vegliato (!?), tutto sotto controllo.
Si spianta il campo, si carica e si parte. Il tempo è buono e si rema bene











Si ripercorre un tratto già visto ieri e si punta ad Onno dove c'è il campeggio "La Fornace", molto carino. 




Ci si vorrebbe fermare a far colazione ma, non ci crederete mai, non c'è un bar aperto in tutto questo tratto.
Arriviamo, piantiamo la tenda, ci sistemiamo e torniamo in spiaggia, le nuvole vanno e vengono tutto il giorno ma è gradevole e assistiamo anche ad un allenamento di giovanissimi veri canottieri. Ragazze e ragazzi molto atletici e ...rumorosi.
 

 
Vassena


Nel pomeriggio riposiamo e poi in serata ci viene a trovare Gianmaria che si ferma anche a cena, vuole provare l'ebbrezza del campeggiatore: lava anche i piatti! Ci raggiunge anche Davide e passiamo un piacevolissima serata...anche comodamente seduti ad un tavolo con sedie prese "in prestito" da una roulotte chiusa
 

 
Temporale in lontananza, ai Piani Resinelli



MERCOLEDI' 28 Agosto

Giornata molto bella!!! 

Mandello del Lario


Dopo colazione andiamo in barca a far la spesa. Attraversiamo il lago e arriviamo a Mandello del Lario.




 
Mandello del Lario


Un bel giretto per il paese, si riattraversa e si torna in campeggio dove più tardi, in bicicletta, ci viene a trovare Davide, che ci porta una eccezionale bottiglia di prosecco, inviataci da Gianmy per festeggiare l'ultimo giorno del nostro tour.



 
Dalla spiaggia di Onno


 
Onno. Cappella in ricordo dei morti della peste del 1836



Passiamo un pomeriggio piacevolmente indolente tra spiaggia, lago e tenda....Tenda che, però, ha deciso di lasciarsi andare anche lei. Dopo aver retto durante temporali, affrontando coraggiosamente grandine e vento ora, a riposo, si è rotta. Una parte della paleria portante si è spezzata. Riusciamo ad aggiustarla con nastro adesivo e....speriamo che regga ancora una notte!
 

Giovedi' 29 Agosto

 
Pronti per l'ultima tappa


Oggi si arriva a Lecco, sono un po' emozionata, stupidamente emozionata.
Si parte con calma, si costeggia da questa riva del lago, ci si ferma a fare un bagno (solo Marco...fa freddo) e poi si attraversa.


 
Scoglio dipinto al Melgone


 
Attraversata davanti al Moregallo


 A Lecco c'è Gianmaria armato di macchina fotografica ad attenderci.
Ci vede arrivare e comincia il suo servizio fotografico, correndo agilmente per tutto il lungolago.




 
Gianmaria.





 



Passiamo davanti alle tribune e arriviamo alla statua del S. Nicolò che è quasi in secca e poi lì vicino si "parcheggia" la barca su una spiaggia molto piccola e sporca.
 

 
Siamo arrivati. Purtroppo è finita.


Scarichiamo i bagagli e andiamo a pranzo dalla Manu, sorella di Marco, e ci rilassiamo troppo! Infatti poi per portar su la barca dalla scaletta ripida che dalla spiaggia porta alla strada abbiamo qualche difficoltà ma ce la facciamo! La carichiamo sul furgone e infine....si torna a casa!




 
















Queste sono tutte fotografie di Gianmaria Calvetti





IL VECCHIO BARCAIOLO e SUL DIRETTO DA MILANO A LECCO. Cantano Angelo GALBIATI e Tiziano MARCHESI

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Due canzoni legate all'andare in barca e al lago, uno generico nel caso de "Il vecchio barcaiolo", quello di Como nella seconda canzone, "Sul diretto da Milano a Lecco".






Le cantano Angelo Galbiati, "prestinee"










e Tiziano Marchesi, oste.










Potete ascoltare "Il vecchio barcaiolo" cliccando sul seguente indirizzo YOU TUBE:


http://www.youtube.com/watch?v=LzKIZ4Y9al4




Per ascoltare "Sul diretto da Milano a Lecco" cliccate invece su:


http://www.youtube.com/watch?v=EVi8qygUjVA




Potete trovare le due canzoni anche cercando in bartesaghivideostory

BACCALA' ALLA VICENTINA . Una ricetta di Lucia COLPO

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Ho mangiato il baccalà di Lucia la settimana scorsa con altri suoi ospiti. Fra loro c’era Enrico Miotto, un amico padovano, perciò particolarmente legato a questo piatto. A lui ho chiesto di presentare la ricetta . Con il suo permesso, oltre alla presentazione ufficiale che ha scritto, pubblico la mail di accompagnamento, perché è troppo bella. M.B.


Ciao Marco,
Ho pensato alla frase ieri sera che ero pieno sia di cibo sia di vino (e non solo quello) e me la sono scritta subito con il pensiero che l'indomani me la sarei dimenticata. Pensami, ieri sera davanti alla tastiera del computer, in mutande, pancia pena (anche di piu'), con le budella che urlano vendetta e con il baccala che continua a muoversi nella pancia approfittando del miscuglio di liquidi con i quali e' stato accompagnato (ti giuro che acqua non ce n'era).


"Non so se, dopo che mi sono seduto a tavola dagli amici vicentini, la cosa migliorie sia l'attesa di vedermi portare il piatto colmo di baccalà o averlo già sotto la forchetta. Credetemi non c'è niente di meglio del baccalà alla vicentina, se poi è la Lucia che te lo prepara.......!"





Baccalà alla Vicentina
Ingredienti per 4 persone:
-    Gr.600/700 di stoccafisso possibilmente di qualità Ragno
-    Farina bianca – sale – pepe un pizzico di cannella in polvere
-    Gr. 40 di parmigiano grattugiato
-    1 bicchiere di olio finissimo
-    3 spicchi d’aglio
-    1 cipolla mondata e tritata fine
-    1 manciata di prezzemolo
-    ½ bicchiere di vino bianco secco
-    400 gr. di latte + qualche fiocco di burro
-    3 o 4 acciughe
Tenere lo stoccafisso battuto e tagliato a pezzi in acqua fredda per 48 ore, cambiando l’acqua di tanto in tanto. In commercio si può trovare anche il baccalà già bagnato.
Sgocciolatelo, raschiatelo senza togliere la pelle, levate le spine, poi tagliatelo a pezzi piuttosto grossi e infarinateli mischiando farina, pepe e poco sale.
Disponete i pezzi molto vicini sul fondo di una pentola unta di olio e cospargeteli di parmigiano grattugiato e un po’ di cannella.
A parte in un tegame preparate un soffritto di olio abbondante con cipolla, 3 spicchi di aglio interi(che poi verranno tolti e buttati) attenzione che non prendano colore. Aggiungere il trito di prezzemolo, le acciughe spezzettate e il vino che lascerete ridurre quasi completamente. Unire il latte caldo con il burro e versate il tutto sul baccalà.
Portate in ebollizione e lasciate sobbollire dolcissima mante (“pipare”) su un fuoco debole (al minimo) e mescolando spesso per circa 40 – 45 minuti. Attenzione che non attacchi sul fondo. A metà cottura spolverizzate il baccalà con 4 cucchiai di formaggio grattugiato.
Servite il baccalà accompagnandolo con polenta calda appena rovesciata o anche con fette di polenta “brustolà”.







Con la ricetta Lucia mi ha spedito una  di un poeta padovano. Agno Berlese. Non la trascrivo perché non vorrei incorrere in qualche problema di diritti d'autore, però vi invito ad andare a leggerla sul sito ufficiale della "Confraternità del Bacalà alla Vicentina" - incredibile! - al seguente indirizzo:
http://www.baccalaallavicentina.it/jom/storia-e-tradizione/123-polenta-e-bacala

"SEM SEMPER QUEI". 23 ANNI DI TEATRO DIALETTALE A VERDERIO INFERIORE di Marco Bartesaghi

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Ogni anno preparano una commedia, che rappresentano alla festa patronale di Verderio Inferiore, la terza settimana di settembre, e replicano, su richiesta, per quattro o cinque volte, prima di mettersi in ballo a prepararne una nuova. Sono quelli del gruppo teatrale “SEM SEMPER QUEI”, nato a Verderio Inferiore nel 1990.
 




L’11 gennaio prossimo, per la prima volta in assoluto, reciteranno a Verderio Superiore, nel salone dell’oratorio. Sono stati invitati dal gruppo missionario, per raccogliere fondi da mandare in Bolivia a Maria, mia figlia, volontaria dell’OMG, Operazione Mato Grosso.
Prima di raccontare la storia della loro compagnia teatrale, ringrazio, anche a nome del resto della famiglia, sia loro che il gruppo missionario, per questa iniziativa a favore di Maria, che certo, oltre che del contributo che riceverà, sarà contenta ed orgogliosa di essere stata la causa di questo storico “sconfinamento”.
 


GLI ESORDI

Hanno cominciato nel 1980, preparando sketch, scenette comiche e qualche più impegnativa farsa da presentare alle feste della scuola materna, alle Feste della Mamma all’oratorio e ad altre iniziative del genere.
Per il passaggio alla prima commedia dialettale ci sono voluti 10 anni e lo stimolo e l’insistenza di due persone particolarmente tenaci: suor Agnese, che ora vive a Saronno, e Luigia Villa, tuttora uno dei “motori trainanti” del gruppo. Loro, però, non hanno fatto altro che incoraggiare gli altri verso una scelta ormai matura, ma di cui avevano paura perché si sentivano inadeguati.
Nel 1990, la sera del terzo sabato del mese, vigilia della festa del paese, debuttano con la commedia in dialetto “Ogni fastidi al ga ul so rimedi” (Ogni problema ha il suo rimedio). I protagonisti di quell’esordio li vediamo nella fotografia: in piedi, da sinistra, Luigia Villa, suor Agnese, Angelo Colombo, Rosangela Bernardi, Pier Stefano Valagussa, Anna Maria Motta, Enrica Andreotti (Rina), Albano Zonari. Seduti, da sinistra, Rinaldo Arlati, Cesare Mapelli, Gianmario Arlati, Augusta Mapelli, Iole Panzeri. 





Manca fra loro un altro personaggio fondamentale per la riuscita dello spettacolo: Maurizio Villa, il tecnico delle luci
Dopo quell’anno non si sono più fermati e nel settembre scorso hanno presentato la loro ventiduesima commedia, “Che féra … sti feri” la stessa che interpreteranno a Verderio Superiore.
Certo il gruppo non è più lo stesso di allora. Di quello sono rimaste le registe, Luigia Villa e Augusta Mapelli, il tecnico delle luci e un attore, Rinaldo Arlati. Intorno a questo nucleo si sono via via avvicendate altre persone che hanno collaborato per periodi più o meno lunghi
.


LA PREPARAZIONE DI UNA COMMEDIA

 
Luigia Villa

 La preparazione di una commedia inizia dalla scelta del testo, uno dei compiti di Luigia e Augusta. Lo scelgono fra quelli in dialetto, sempre più difficili da scovare, messi a disposizione dalla FOM (Federazione Oratori Milanesi) o dal G.A.T.a L. (Gruppo Attività Teatrale amatoriale Lombarda).




 
Augusta Mapelli



Quando ne trovano uno “buono”, che sia cioè scorrevole e divertente, con le parti in numero sufficiente per far lavorare tutti gli attori e adatte alle loro caratteristiche, Luigia e Augusta lo leggono e lo giudicano in autonomia una dall’altra. Se il responso è buono, sempre in autonomia, aggiudicano le parti e, infine, confrontano le loro scelte, che, dopo tanti anni di collaborazione coincidono in buona parte. Superate, con la discussione, le residue divergenze, sono pronte per presentare il progetto al resto della compagnia.






In aprile iniziano le prove. Una volta alla settimana in un primo tempo, quando il lavoro da fare è soprattutto quello di leggere e comprendere bene il testo, compito non facile avendo a che fare con la scrittura in dialetto. Poi la frequenza degli incontri aumenta: due volte alla settimana, fino agli ultimi 15 giorni, quando le prove settimanali diventano tre.
Prima del debutto e prima di ogni replica c’è la prova generale che, per tradizione, va male, anzi, secondo Augusta“è un disastro” (anche Luigia condivide ma è sempre più ottimista. Ha addirittura inventato un motto: “se la prova generale è stata un cesso, la prima sarà un successo”).



LE SCENOGRAFIE, I COSTUMI


 
Rinaldo Arlati e Anna Maria Motta


 Anche le scenografie e i costumi rientrano nei compiti di Luigia e Augusta. La prima è una maga  nel trovare gli oggetti di scena e ha un’altra grande dote: per lei nulla è impossibile. Quando ad Augusta vengono in mente idee un po’ “grandi”,  poi tende a scoraggiarsi e a pensare: “non si può fare, non ce la faremo, troppo complicato”. Luigia invece non si scoraggia, pensa che tutto si possa fare e, alla fine, di solito ha ragione.




 
Paolo Colombo e Lara Stucchi

 Quasi sempre per le scene ed i costumi si arrangiano con le proprie forze. Qualche volta hanno avuto bisogno del contributo gratuito (loro procurano solo il materiale) di qualche esperto. Come quella volta che dovettero far confezionare un particolare costume bianco per un’attrice, o ebbero bisogno di un falegname che costruisse una particolare ringhiera





 IL SUGGERITORE

 
Luigia Villa, la suggeritrice


Quello del suggeritore è un ruolo importante, non tanto per i suggerimenti che deve dare, sempre meno necessari data la preparazione con cui gli attori si presentano in scena, ma perché la sua presenza ha il,potere di rendere gli interpreti più sicuri e tranquilli: sanno di avere una stampella sempre a disposizione in caso di bisogno.



Luigia, che svolge anche questo ruolo, dice: “difficilmente serve dire la frase, basta una parola, a volte anche solo un gesto o un’espressione con la faccia. A volte basta solo la presenza.”
Altri trucchi, per superare i momenti di difficoltà, consistono, ad esempio, nel lasciare qualche foglio con il testo appoggiato a un tavolo, o dentro un giornale.
 


RINALDO, L’ "ANIMALE DA PALCOSCENICO"








 Rinaldo Arlati, s’è già detto, è il veterano del gruppo, l’unico attore che è stato presente in tutte le commedie.
Lui è un animale da palcoscenico, mi dicono Augusta, sua moglie, e Luigia, uno che se la sa cavare in ogni situazione.














Un anno è arrivato alla prima senza sapere niente della sua parte. Aveva avuto problemi sul lavoro, doveva andare in pensione, aveva ben altro per la testa, insomma. Eppure  andò in scena (“quella volta– dice Luigia – gli suggerii molto”) e tutto andò per il meglio, nessuno si accorse della sua impreparazione.











 

Lui è quello che ogni anno dice che deve essere  l’ultimo o che, perlomeno, è necessario un anno sabbatico, di riposo. Ma poi si comincia a leggere il testo, si cominciano le prove e ogni volta l’anno sabbatico è rinviato all’anno successivo.
 



IL TECNICO DELLE LUCI 

Ruolo importante, anche se svolto in sordina, è quello del tecnico delle luci. Nella compagnia è sempre stato svolto da Maurizio Villa.


Maurizio Villa, in centro, e Rodolfo Valagussa, alla sua destra , ch a volte lo aiuta
 


 IL PUBBLICO

Il pubblico che segue “SEM SEMPRE QUEI” è soprattutto di Verderio Inferiore, di tutte le età. Certamente la scelta della lingua dialettale fa un po’ di selezione: chi non capisce il dialetto è meno attratto dalle loro commedie.
 

 
Il pubblico dei "Sem semper quei"nel tendone dell'oratorio di Verderio Inferiore



Da qualche anno la compagnia partecipa, invitata, alle rassegne teatrali di Ronco Briantino e di Osnago. Alcune recite, a Lecco, a Colico, e in altri luoghi, sono state effettuate a favore dell’AIDO.




 
Gli attori di Verderio alla rassegna teatrale Ronco briantino


2010.LA FESTA DEI VENT'ANNI
Nel 2010 il gruppo ha festeggiato i vent'anni di attività. Per l'occasione sono stati invitati tutti coloro che hanno recitato almeno una volta. Ecco la foto ricordo di quella giornata




In prima fila, da sinistra: Moreno Scotti, Angelo, Rinaldo Arlati, Paolo Colombo, Emilio Panzeri, Albano zonari, Massimo Corno.
In seconda fila: Annamaria Motta, Rosangela Bernardi, Veronica Origo, Giuliana Fumagalli, Cristina Pessina, Lara Stucchi, Nicoletta Comi, Nicoletta Milani, Iole Panzeri, Valeria D'Amico, Ettora.
In terza fila: Luigia Villa, Camilla Motta, Daniele Arlati, Maurizio, Gianmaria Arlati, Augusta Mapelli, Federico Ghigo, Cesarino Motta.

I nomi sottolineati sono quelli degli attuali componenti del gruppo.


LE COMMEDIE

 1.    1990 OGNI FASTIDI AL GA UL SO RIMEDI             di Anonimo
 

 
1990



2.    1991 EL CURTIL DI CASSINET                    di Roberto Zago
3.    1992 LA CRAPA DEL NONU                    di Roberto Zago
4.    1993 MIA MOGLIE DIRETTRICE                    di Franco Roberto
 

 
1993


5.    1994 SPOSERÒ LA VEDOVA ALLEGRA                di Franco Roberto
6.    1995 LA FABBRICA DEL TUBO                    di Giancarlo Buzzi
7.    1996 EL PRA DE BASS DEL CIMITERI                di Giancarlo Buzzi
8.    1997 LUNA DE MEL, DOPU UL SUICIDIO                di Bianca Crippa Simonetti
9.    1998 ANDREA LUMAGA TRASPORTI RAPIDI            di Roberto Zago
10.    2000 MI VOTI EL ME MARI’                    di Roberto Zago
11.    2001 LA CA’ DI LACRIM                        di Ugo Palmerini
12.    2002 LA FORTUNA LE SURDA                    di Luciano Meroni





 
2002



13.    2003 ADONE CREMONESI LANE E COTONI            di Alberto Balzarini
14.    2004 AMOR E GELOSIA SE FAN SEMPRE COMPAGNIA        di Luciano Meroni





 
2004. da s.: Rinaldo, Annamaria, Nicoletta C. Federico, Massimo, Paolo, Ettora.



15.    2005 EL SACRISTA DE SAN FIRMIN                di Roberto Zago
 

 
2005

 
16.    2006/07 CHE REBELOT PER UN TESTAMENT            di Antonio Menicchetti
 

 
2006. da s.: Valeria, Massimo, Rinaldo, Moreno


17.    2008 GENT DE RINGHERA                    di Guido Ammirata
18.    2009 MI TE L’AVEVI DI ….                    di Giorgio Tosi e A. Menichetti
 




19.    2010 ON MARÌ PER LA MIA TOSA                di Ambrogio Lunati
20.    2011 A L’OSPIZZI DI VECC, S’E  LIBERA UN LECC            di R. Santalucia e P. Vitalidialeto milanese di Lucio Calenzani
21.    2012 PREVOST PER TRII DÌ                    di Fabrizio Dettamanti
22.    2013 CHE FERA … STI FERI                    di Antonella Zucchi




Marco Bartesaghi


Invito i lettori a segnalare imprecisioni ed errori. Grazie






NATALE IN GERMANIA di Diletta Tandoi

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Diletta è  una giovane di Verderio che attualmente abita in Germania. Ero in cerca di una corrispondente da questo paese (eh, l'arte di tirarsela!) e quindi le ho chiesto di ricoprire questo ruolo. Questo sul Natale è il suo primo contributo al blog. La ringrazio e colgo l'occasione di fare a tutti i più calorosi auguri di Buon Natale e felice anno nuovo, Marco Bartesaghi


Ciao!
In questa prima lettera dalla Germania vorrei raccontarvi qualcosa dell'atmosfera natalizia tedesca. Dallo scorso agosto lavoro in una famiglia tedesca come ragazza alla pari a Rheinfelden.
A inizio dicembre c'è stato nel mio paese il mercatino di natale.
 




Accanto ai tradizionali banchetti di cibo come frutta al cioccolato,crepes, pizze con formaggio e cipolla - provate, molto buone  - , frittelle, biscotti alla cannella, c'erano decorazioni in legno, vetro soffiato, sciarpe e cappelli, oggetti di associazioni di volontariato. per i bambini e' stato allestito un falo' su cui hanno arrostito degli spiedini di pane e intorno al quale alcune signore hanno raccontato delle favole. davvero suggestivo!
Ci sono poi alcune decorazioni che qui in Germania sono d'obbligo.  La mamma della mia famiglia la prima domenica d avvento ha fatto un centro tavola di rami di abete con le quattro candele, una per ogni settimana di attesa del natale.
Con la signora abbiamo anche pitturato una cassettiera di legno che e' diventata un calendario dell avvento molto originale!
 




La decorazione delle case per l'avvento poi è molto sentita. Ogni casa decora e illumina una finestra per chi passa in strada. Ognuno poi ha il suo concetto di bello... ma in genere si decora con gusto.
Nel nostro quartiere aderiamo a un'iniziativa che trovo molto originale. Ogni giorno di dicembre una famiglia apre la sua casa a chi vuole venire, e si offre qualcosa di dolce, il vin brulè, e altre bevande. I bambini se hanno voglia suonano o cantano e un adulto legge una storia che faccia riflettere sul significato del tempo del natale.
A partire dalla prima domenica di avvento, mangiamo, come da tradizione, biscotti fatti in casa e accendiamo una candela, del famoso centrotavola homemade.

 



Devo dire che sono capitata in una famiglia molto attaccata alle tradizioni, ma mi accorgo che in generale questo momento è percepito in modo uniforme, con riti simili tra tutte le persone cristiane (per convinzione o tradizione).
Una curiosità: il 6 dicembre è il giorno di san Nicolaus (ovvero il nostro babbo natale) che porta dei dolcetti e piccoli doni. (come per noi la befana, che da loro non arriva, in quanto il 6 gennaio è la festa dei re magi, punto e basta)
Il 25 dicembre, babbo natale e le renne possono andare altrove: qui arriva il Christkind, il bambino Gesù, in teoria, perche' i bambini lo raffigurano come un angioletto.
La corsa ai regali c'è ovviamente anche qui, ma i signori della famiglia mi hanno detto che non amano questa commercializzazione e che quindi ridurranno al minimo i doni, anche da parte dei parenti..
 




La cosa che amo di più? che in tutto l'avvento si sfornano biscotti. ma non si mangiano tutti subito. si mettono in scatole di latta e si assaggiano ogni tanto dopo i pranzi  o le cene nel week-end. O si regalano ad amici... ah quasi dimenticavo: L albero di natale, rigorosamente vero, si compra verso la terza settimana d avvento e si decora il 21. un po tardi, ho osservato, ma per tutto risposta Johanna e Luise, le bambine, mi hanno ricordato che e' pur sempre il regalo di natale per Gesu'! Ah beh, se la si vede cosi'...!!
Spero di potervi raccontare ancora altri aneddoti o aspetti interessanti della cultura tedesca. Ringrazio Marco che mi ha messo a disposizione questo spazio.
Auguro a tutti i lettori di questo bellissimo blog un sereno Natale e un buon anno 2014.
Diletta

L'OLOCAUSTO DEL POPOLO ROM di Angelo Arlati

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1. Un olocausto ignorato

    Nelle celebrazioni del Giorno della Memoria si commemora lo sterminio durante il nazismo di centinaia di migliaia di Rom e Sinti, i due gruppi fondamentali del popolo rom. Fu il loro olocausto, che essi chiamano Porrajmós o ‘divoramento’ (nei dialetti rom) e Samudarípe o ‘genocidio’ (nei dialetti sinti).
    

 
RAstrellamenti di Rom


E’ un olocausto che è stato a lungo ignorato e persino negato; anche oggi è poco conosciuto e sottovalutato, solo e proprio perché ne furono vittime individui che appartengono a una popolazione marginale, disprezzata, discriminata, che non ha solidarietà nemmeno nelle atrocità subite.


2. Un olocausto mutilato

    Lo sterminio nazista del popolo rom, ancorché riconosciuto come una terribile realtà, viene minimizzato e svuotato del suo valore storico in quanto spesso viene messa in dubbio la sua natura razziale, come è accaduto per gli ebrei. Viene considerato un atto atroce fin che si vuole, ma conseguenza di misure contro loro presunta asocialità e criminalità.
    In realtà si trattò di una vera persecuzione razziale come quella degli ebrei. I Rom furono perseguitati e uccisi in quanto tali, in quanto “razza inferiore”, che andava eliminata dalla faccia della terra. Molti sinti tedeschi erano cittadini esemplari, avevano raggiunto una rilevante posizione socio-economica ed erano, come si dice oggi, integrati nella società. Molti erano sedentari. Molti svolgevano attività oneste e utili, come musicisti professionisti, commercianti o artisti viaggianti dediti allo spettacolo e al circo. Molti servivano nell’esercito tedesco come soldati o perfino come ufficiali, ma vennero disconosciuti e degradati.


 
Il pugile Johann Trollman


   Campioni sportivi, gloria della nazione, vennero sconfessati e deportati nei campi di concentramento. Per tutti valga il caso di Johann Trollmann detto “Rukelie”, pugile sinto campione dei pesi medio-massimi, al quale venne illegittimamente revocato il titolo e fu deportato nel 1942 al campo di Neuengamme, vicino ad Amburgo, dove morì l’anno dopo per un colpo di pistola (v. l’interessante libro: Roger Repplinger, Buttati giù, Zingaro. La storia di Johann Trollmann e Tull Harder, Edizioni Upre Roma, Milano, 2013).



3. Un olocausto annunciato

    La “soluzione finale” del problema zingaro, come veniva eufemisticamente chiamato dai nazisti lo sterminio totale dei Rom, fu la fase conclusiva di una ideologia razzista che si era sviluppata in Germania a partire dalla fine del secolo XVIII proprio per iniziativa dei più importanti ziganologi. Essi hanno avuto una grande responsabilità nella creazione di una teoria razzista degli zingari, conferendo carattere di scientificità alla loro analisi strumentalizzata, prevenuta, aberrante e in molti casi errata.
    Heinrich Grellmann, che dimostrò l’origine indiana dei Rom in un libro pubblicato a Lipsia nel 1783, pose le basi di questa deriva razzista che influenzò tutti gli studi a seguire. Per Grellmann gli zingari erano paria indiani e quindi inferiori, criminali e difficili da educare. Un decennio dopo, nel 1893, il pastore luterano Martin Zippel, che si occupò della lingua di un gruppo sinto, paragonava  gli zingari in una nazione ben ordinata ai parassiti sul corpo di un animale. Uno dei primi vocabolari della lingua zingara, compilato nel 1827 da Ferdinand Bischoff, fu raccolto tra i carcerati ad uso della polizia e dei criminalisti più che per un interesse antropologico. Richard Liebich, autore di un importante libro sugli usi e costumi degli zingari del 1863, sosteneva che il crimine era una parte della “natura” zingara e che le loro erano “vite indegne di vita”, un assioma diventato famoso e  ripreso dai nazisti. Karl Andree, geografo tedesco e fondatore di una rivista etnografica, aveva una visione apertamente razzista dell’antropologia, sostenendo lo sterminio dei popoli di natura, come aborigeni americani, australiani e zingari.
    

 
Schedatura di una sinta

 
  La schedatura e la registrazione dei Rom e Sinti, che hanno giocato un ruolo fondamentale nel genocidio nazista, hanno una tradizione lunga in Germania. Già nel 1787 (l’anno della seconda edizione del libro di Grellmann) il giurista e criminalista Georg Jacob Schäffer compilava la cosiddetta "Sulzer Zigeunerlist” (Lista degli zingari di Sulz), un elenco con i nomi e le descrizioni di presunti delinquenti zingari, come strumento di controllo e di repressione di una etnia percepita come una minaccia. A questa seguì nel 1905 lo “Zigeunerbuch“ di Alfred Dillmann, capo della polizia della Baviera, una schedatura sistematica di 3350 rom e sinti, con dati anagrafici, misure e impronte digitali, indipendentemente dal fatto che avessero fatto qualcosa di illegale. Durante il nazismo si 

Frontespizio dello "Zigeuner Buch di Dillmann (1905)


perfezionò questa meticolosa indagine o, meglio, questa caccia allo zingaro con la compilazione di elenchi, stati di famiglia, alberi genealogici, misure antropometriche e analisi ematiche, sulla base dei quali ben pochi riuscirono a sfuggire all’internamento nei campi di sterminio e alla morte nelle camere a gas.


4. Un olocausto paradossale

    Il paradosso è che i Rom, appartenenti al gruppo ariano, furono sterminati come non ariani.
   Gli studi etnografici e linguistici, a cui avevano contribuito soprattutto gli ziganologi tedeschi, erano arrivati alla conclusione che i rom erano di origine indiana. Come, dunque, ritenere gli zingari di un’altra razza, se la loro origine indiana e l’appartenenza al ceppo linguistico indoeuropeo portavano a concludere che erano ariani? Il prof Robert Ritter, direttore del “Centro di ricerca sull’igiene della razza”, aggirò l'ostacolo e sentenziò che non esistevano più zingari puri, poiché a causa del loro nomadismo si erano mescolati con le più svariate popolazioni e quindi erano una razza ibrida, degenerata e socialmente pericolosa. Giungendo quindi alla paradossale conclusione che gli zingari erano ariani non più ariani.


 
Prelievo di sangue da parte del professor Ritter



5. Un olocausto graduale

    Fin dalla presa del potere nel 1933 Hitler affrontò quella che i nazisti chiamarono la “questione zingara”. Già dal settembre di quell’anno furono avviati i primi programmi di repressione contro nomadi e individui senza fissa dimora. Nel 1935 fu emanata una “Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco” e gli zingari furono subito inclusi nella categoria dei lebensunwertesleben, i cosiddetti “indegni di vivere”. Intanto si andava intensificando la propaganda denigratoria contro gli zingari dalle colonne dei giornali e delle riviste. Furono pubblicati numerosi articoli che li presentavano come “elementi criminali e asociali” o “impossibili da educare” e “lontani da noi [i tedeschi] per la loro origine ancestrale asiatica”.




   
Un'esecuzzione

 
   Per eliminare questi pseudo-ariani furono avanzate alcune ipotesi, come quella di un gruppo di studio delle SS che nel 1933 proponeva di portarli tutti in alto mare e di affondare poi le navi; o quella nel 1937 di deportarli in territori extraeuropei, come l’Africa o la Po¬linesia. Più concretamente il dottor Ritter e la sua assistente Eva Austin, che gli ingenui zingari chiamavano amabilmente Loli Ciai ‘ragazza rossa’ per via del colore dei suoi capelli, proponevano la sterilizzazione di massa. Nel dicembre 1938 Heinrich Himmler emanò un “Editto per la lotta contro la piaga degli zingari”, ordinando che fossero tutti schedati e registrati dalla polizia. Con l’“Editto di insediamento”, emanato nel 1939 da Reinhard Heidrich, si cercò di tenere gli zingari sotto stretto controllo proibendo qualsiasi movimento e obbligandoli a risiedere in apposite aree o campi di abitazione, simili ai ghetti ebraici, nelle periferie cittadine. Con lo scoppio della guerra e l’occupazione della Polonia nel 1939 venne messo in atto un piano di deportazione in quella nazione, per cui nell’aprile del 1940 migliaia di zingari tedeschi e austriaci furono trasferiti nei ghetti di Lodz e di Varsavia. Infine, come per gli ebrei, si fece strada il disegno dell’annientamento fisico. Nel dicembre 1942 Himmler dispose l’internamento nei campi di sterminio di tutti gli zingari del Reich, compresi quelli di sangue misto, a qualunque età e sesso appartenessero. Era la soluzione finale.


6. Un olocausto orrendo

    A mano a mano che la politica antigitana si intensificava, le SS procedevano ad arresti, prelevamenti e rastrellamenti. A nuclei familiari interi e con ogni mezzo. Deportazioni dai campi di abitazione, serbatoi di comunità zingare imprigionate, schedate, studiate e pronte per il macello: Marzahn, Colonia, Francoforte sul Meno, Stoccarda, Magdeburgo. Ignari del destino che li attendeva, gli zingari spesso si facevano incontro ai loro carnefici con il saluto nazista.




Marzahn, Berlino



   Colonne di zingari in marcia con le loro poche cose, come gli ebrei, verso i luoghi di raccolta; convogli di carri trainati da cavalli scortati attraverso le città tedesche e austriache; lunghe file in marcia verso i treni con destinazione i lager tedeschi e polacchi. E poi gli arrivi dai paesi occupati: Belgio, Lussemburgo, Francia, Olanda, Cecoslovacchia, Ungheria, Italia. La macchina della morte si era ormai messa in moto e lavorava a pieno regime.
    

 
Bambini rom nel campo di Sobibor

   Gli zingari erano internati nei campi di concentramento in condizioni diverse rispetto agli altri prigionieri. A differenza degli ebrei, per esempio, non erano sottoposti a processi di selezione e vivevano in gruppi familiari uniti, continuavano a vestire i loro abiti tradizionali e potevano lasciarsi crescere i capelli. In molti campi, come ad Auschwitz, Buchenwald e Lackenbach, vi erano persino orchestrine composte da musicisti zingari. Portavano come segno distintivo il triangolo marrone, contrassegno della loro etnia, oppure il triangolo nero degli asociali, e in molti casi veniva loro tatuata sul braccio la lettera Z, iniziale di Zigeuner.
    

 
Aggiungi didascalia


   Gli zingari morirono a centinaia di migliaia, vittime della fame, del lavoro forzato, degli esperimenti scientifici, della sterilizzazione, delle malattie (come dissenteria, setticemia, tubercolosi e noma facciale, una specie di cancrena del viso che colpiva soprattutto i bambini) e in molti casi, come gli ebrei, nelle camere a gas. A Dachau venivano sottoposti ad esperimenti sull’acqua marina; a Ravensbrück si praticò la sterilizzazione in massa di donne e ragazze zingare mediante iniezioni e raggi X; a Lackenbach in Austria si dava latte avvelenato ai bambini zingari; ad Auschwitz il famigerato dottor Joseph Mengele compì 

 
Vittime di esperimenti


atroci esperimenti sui bambini zingari per studiare il parto gemellare, la bicromia oculare e malattie come il noma. Fu ad Auschwitz che si consumò l’olocausto più tremendo, nello Zigeunerlager di Birkenau, un settore riservato alle famiglie zingare ammassate in una trentina di baracche. Vi morirono oltre 23.000 uomini, donne e bambini. In una sola notte, tra il 2 e 3 agosto 1944 quasi 4.000 zingari furono assassinati nelle camere a gas. Quell’eccidio è diventato il simbolo del porrajmós romanó e il 2 agosto è stato proclamato Kalo Memorijano Dives “Giorno Nero della Memoria” del popolo rom.


7. Un olocausto infinito
  
    L’espansione militare dei tedeschi portò l’intera Europa sotto il loro controllo. Per gli zingari non ci fu scampo, nemmeno nella fuga, che per secoli era stata la loro àncora di salvezza. Una straordinaria rappresentazione di questo dramma è costituita dal romanzo “E i violini cessarono di suonare” di Alexander Ramati (da cui è stato tratto l’omonimo film), che racconta la tragica odissea di un gruppo di Rom polacchi che cercano la salvezza in Ungheria, ma appena arrivati vi trovano i carri armati tedeschi.

   Lo sterminio degli zingari fu messo in atto in tutti i paesi satelliti o occupati dai tedeschi. In Polonia intere famiglie furono annientate nei loro accampamenti o nei boschi dove cercavano inutilmente rifugio, specialmente nella Volinia, dove furono massacrati oltre 4.000 zingari. In Slovacchia venivano uccisi sul posto dai gruppi fascisti (le guardie hlinka), a volte con metodi orrendi: le famiglie venivano rinchiuse in capanne, che poi venivano date alle fiamme. Fucilazioni ed esecuzioni di massa furono compiute in Ucraina, Russia e Crimea, dove oltre 8.000 zingari furono uccisi la notte del 24 dicembre del 1941 a Sinferopoli. Nella ex-Jugoslavia gli ustasha croati operarono veri e propri massacri. Si dice che uccidessero i bambini sbattendoli selvaggiamente contro gli alberi per risparmiare le munizioni. Molti zingari fecero una fine atroce, letteralmente schiacciati dai carri nazisti che passavano sulle loro tende. In Romania il fascista Ion Antonescu nel 1942 ordinò la deportazione di circa 40.000 rom Transnistria, durante la quale la maggior parte morì per le violenze subite, il freddo e la fame.
    




In quasi tutti i paesi assoggettati sorsero campi di concentramento: Lety in Boemia, Hodonín in Moravia, Košice in Slovacchia, Mezekövesd in Ungheria, Kaiserwald in Lituania. Ma soprattutto il campo di Jasevovac - l'Auschwitz dei Balcani- in Croazia, fu la tomba di 28.000 zingari assassinati.
In Francia durante il Regime di Vichy sorsero una trentina di campi di concentramento, i più noti dei quali erano quelli di Natzweiler-Struthof sui Vosgi (con camera a gas e crematorio), Schirmeck in Alsazia, Montreuil-Bellay e Saliers presso Arles. In Italia numerose famiglie di sinti e rom vennero internate in una quarantina di campi di concentramento, come Fossoli, Bolzano-Gries, Risiera di San Sabba a Trieste (l’unico in Italia ad essere provvisto di un forno crematorio), Tossicía (Teramo), Agnone (Isernia), Ferramonti di Tarsia (Cosenza), Perdazdefogu in Sardegna. Si calcola che furono internate circa 6.000 persone, di cui un migliaio morirono per le pessime condizioni igieniche, la scarsità di cibo e le malattie.


8. Un olocausto devastante

    Si calcola che furono uccisi 500.000 rom e sinti. In Boemia e Moravia furono sterminati quasi tutti, come pure in Lituania, Estonia e Lettonia. In Germania furono pochi gli zingari che sopravvissero. In Austria perirono oltre la metà. In Polonia perse la vita il 75%, come pure in Belgio e nei Paesi Bassi. Interi gruppi, come i sinti Lalleri della Boemia e i rom Lajuse dell’Estonia, scomparvero totalmente.
    La persecuzione nazista ha avuto effetti devastanti anche sulla società e la psicologia dei Rom e Sinti. La società romaní fu messa a dura prova: nuclei familiari smembrati e dispersi (il ricongiungimento dei familiari sopravvissuti avvenne spesso a distanza di anni); tabù e valori tradizionali infranti per motivi di sopravvivenza (come la mutua solidarietà o il divieto di nutrirsi di carne di cavallo); pauroso vuoto generazionale con l’eliminazione degli anziani, depositari della tradizione e garanti del controllo sociale. La psicologia romaní, già scossa da secoli di persecuzioni, fu quasi irrimediabilmente compromessa. Molti zingari specialmente in Polonia e Romania, per trovare scampo alla deportazione, negavano la propria identità. Paura e diffidenza verso i gagé  (non zingari) trovarono nuova linfa e ragione d’essere. Alla vista degli Alleati che venivano in loro aiuto, molti scappavano e finirono per essere presi a fucilate. Le famiglie detenute nel campo di Tossicía fuggirono disordinatamente e “senza scarpe” e si dispersero nella campagna circostante. Una romní harvata, internata a Ravensbrück, al momento della liberazione scappò a piedi, temendo che anch’essi non fossero altro che un benghesko niamtso, un tedesco del diavolo. I Rom Harvati, che dopo la guerra furono sistemati in un campo di Milano a ridosso della linea ferroviaria, faticarono non poco a superare il trauma che provavano a ogni passaggio del treno. Ancora oggi presso i  sinti tedechi la parola Hitlari è un insulto.
    La persecuzione nazista ha colpito al cuore il Romanipé, l’identità zingara, come ebbe ad esprimere Romani Rose, presidente del Consiglio Centrale dei Sinti e Rom tedeschi: “Questo nostro sentimento è stato scoraggiato, calpestato e in parte annientato”.


9. Un olocausto da ricordare

     Qual è il significato di questa rievocazione, oltre la retorica? Certamente per doveroso ricordo delle vittime e perché ciò non abbia più a ripetersi: E Romá te na bistará! (Che i Rom non dimentichino); e i Sinti aggiungono: Koi bari bibaxt t’avél puta gia! (Quella grande sventura non deve più avvenire).
    Ci sono stati “gagé” che nei lager hanno espresso la loro solidarietà e il loro aiuto agli zingari internati. Ci sono stati “gagé” che fuori dai campi di sterminio hanno salvato rom e sinti, a rischio della propria vita. Sono i giusti del “Porrajmós”. Essi meritano di essere ricordati. In particolare un nome: il barone ungherese György Rohonczy, soprannominato l'Oskar Schindler del Burgenland. Egli riuscì ad ottenere dai tedeschi 130 Rom austriaci da utilizzare come manodopera nella sua tenuta vicino a Lackenbach nel Burgenland. Egli li aiutò a fuggire oltre il confine austriaco in Ungheria, pienamente consapevole di ciò che rischiava.
    

 
Memoriale dell'Olocausto Rom a Berlino


Il governo tedesco ha finalmente, se pur tardivamente, riconosciuto ufficialmente l’olocausto in cui furono immolati i Rom e i Sinti, dedicando loro un memoriale nel centro di Berlino, inaugurato il 24 ottobre 2012 alla presenza della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente Joachim Gauck. Il monumento, disegnato da un artista israeliano, è costituito da uno specchio d’acqua circolare (simbolo dell’annientamento), circondato da pietre rotte. Al centro galleggia una piattaforma triangolare (che rimanda al triangolo cucito sugli indumenti degli internati), su cui ogni giorno viene collocato un fiore fresco. Sul monumento è incisa la poesia Auschwitz, scritta dal poeta rom Santino Spinelli.
    Purtroppo oggi l’intolleranza, il pregiudizio, la discriminazione, i pogrom e le morti bianche dei bambini carbonizzati nelle loro roulottes sono uno schiaffo al Porrajmós romanó. I Rom settant’anni fa hanno appeso i violini al filo spinato dei campi di sterminio. Ancora oggi aspettano di riprendere in mano quei violini per suonare il canto della libertà e dell’uguaglianza.


 
Una targa posta dal comune di Roma



10. Un olocausto cantato

    I Rom, da sempre disarmati di fronte alla violenza e alla forza, si sono affidati al canto per dare sfogo alla propria disperazione. Sono i canti nati nei campi di sterminio, per lo più improvvisati, o composti da poeti zingari sull’onda dell’emozione.




AD AUSCHWITZ C’E’ UNA GRANDE CASA

Ad Auschwitz c'è una grande casa:
mio Dio concedimi
ch'io ne evada!
E con mia madre
m'incontri di nuovo
con la famiglia
che più non vedrò
con la famiglia voglio bere vodka.

Ad Auschwitz
ci percuotono,
ci procurano
sfortuna.
Canto dei Rom polacchi
                                                           

   

  ANDR ODA TABORIS                           IN QUEL CAMPO DI LAVORO

         Andr oda taboris, joj,                                       In quel campo di lavoro
       phares buti keren,                                            ci fan lavorare
       phares buti keren, joj,                                      ci fan lavorare, ahi,
       mek mariben chuden.                                       e ci picchiano.                               

      Ma maren, ma maren, joj,                                  Non picchiatemi, non picchiatemi, ahi,
      bo man murdarena,                                            così mi ammazzate,
      hin man khere ciave, joj,                                     ho bambini a casa, ahi,
      ko len likerela?                                                   Chi li alleverà?

                                                                                            Canto dei Rom slovacchi



UN MATTINO

Un mattino alle sette battono i tedeschi alla porta
“Andiamo, zingaro, vieni sulla strada”.
Aspetta, tedesco, che io accenda la luce
Che abbracci la mia vecchia madre
Perché so che non la rivedrò più
Perche io me ne vado e perdo la mia vita”.
Prendi zingaro la vanga e la pala
E scavati una fossa”

                                                                             Ballata dei Rom Lovara ungheresi



DEPORTAZIONE

Cielo rosso di sangue,
di tutto il sangue dei Sinti,
che a testa china e senza patria,
stracciati affamati scalzi
venivano deportati
perché amanti della pace e della libertà
nei famigerati campi di sterminio.
Guerra che pesi
come vergogna eterna
sul cuore dei morti e dei vivi,
che tu sia maledetta.
                            
                                                                                        Vittorio Mayer Pasquale “Spatzo”
                                                                                                           Sinto



AUSCHWITZ


                                      Muj sukkó                                  Faccia incavata
                                      Kiá kalé                                   occhi oscurati
                                      Vust surdé                                labbra fredde
                                      Kwit.                                        silenzio.

                                      Jiló cindó                                  Cuore strappato
                                      Bi dox,                                      senza fiato,
                                      Bi lav                                        senza parole,
                                      Nikt ruvebé.                              nessun pianto.

                                                                                                      Santino Spinelli
                                                                                                        Rom abruzzese



OPRE ROMA - GELEM GELEM
Alzatevi, o Rom  - Ho camminato

               Gelem gelem lungone dromentsa            Ho camminato lungo tante strade
               Maladilem baxtale Romentsa                 Ho incontrato Zingari felici
               A Romale katar tumen aven                  E voi Rom da dove venite
               E tsarentsa baxtale dromentsa?             Con le tende su strade felici?
                      Ahi Romale, ahi Ciavale.                      Ahi Zingari, ahi  Figli.

              Vi man sas jek bari familíja                     Anch'io avevo una grande famiglia
              Mudardasla e kalí legíja                          La nera legion l'ha massacrata.
              Aven mantsa sa e lumnjake Roma          Su venite con me o Rom del mondo
              Kaj phutajle e romane droma.                 Perché le strade ci sono aperte.
              Ake vrjama ushti Rom akana                  E' il momento: alzati ora zingaro
              Men xudasa mishto kaj kerasa.               Noi scatteremo e agiremo.
                      Ahi Romale, ahi Ciavale.                      Ahi Zingari, ahi Figli.

                                                                    Inno nazionale dei Rom




TESTIMONIANZE

    -  Mi hanno preso i tedeschi e mi hanno portata via. Senza processo, senza niente. Mi hanno messa sul treno.


    - Una sera mentre tornavo da Trento mi dissero che la mia famiglia era stata portata via dai tedeschi. Io non capivo cosa stava succedendo. L’indomani ritornai a Bolzano ma il campo non c’era più. Dopo un po’ ritrovai la mia famiglia, quasi tutti morti.


   




    - Mia figlia Lalla è nata in Sardegna a Perdazdefogu il 7 gennaio 1943, perché eravamo lì in un campo di concentramento.

    - A Pustków, nella Polonia sud-orientale, i nazisti presero 25 zingari, li condussero in una baracca e li costrinsero ad impiccarsi.


    - Urlavano: ‘Visita medica, visita medica, è soltanto per guardarti le mani’.


    - Un giorno il dottor Mengele mi ha preso per fare esperimenti. Per tre volte mi hanno preso il sangue per i soldati e allora ricevevo un poco di latte e un pezzetto di pane. Poi Mengele mi ha iniettato la malaria e mi è venuta anche un’infezione alla faccia. Per otto settimane sono stata tra la vita e la morte. 


 




    - Una volta è venuta una commissione da Berlino a visitare Auschwitz. Chiesero ai bambini a che cosa servissero i forni e i camini che si vedevano lì in fondo. I bambini risposero come i capibaracca avevano detto loro di fare: ‘Servono a cuocere il pane che poi ci danno da mangiare”. Mentirono, perché sapevano benissimo che se avessero detto la verità sarebbero stati uccisi.

    - Udimmo urla. Il tutto durò parecchie ore. Ad un certo punto venne un ufficiale delle SS a dettarmi una lettera che diceva "Trattamento speciale eseguito". Quando si fece giorno nel campo non era rimasto un solo zingaro.



Angelo Arlati


Su questo blog, oltre a un'intervista intitolata:  

ANGELO ARLATI E IL POPOLO ROM: UN INCONTRO CHE DURA DA QUARANT'ANNI

potete leggere i seguenti articoli sulla storia del popolo rom, scritti da Angelo Arlati:

- QUALCHE CONSIGLIO PER CONOSCERE MEGLIO IL POPOLO ROM
 

- LA LINGUA DEL VIAGGIO

- LA PIÙ ANTICA RAPPRESENTAZIONE ICONOGRAFICA DEGLI ZINGARI.       Maestro  del Medio Reno 1417 - 1419. 


Sono stati pubblicati nel luglio del 2012 e li potete trovare sotto l'etichetta "Giorno della Memoria".







QUALCHE MESE DI GUERRA. Diario di Renato Di Segni. Prefazione di Fabio Di Segni

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Qualche mese fa il signor Fabio Di Segni mi scrisse per chiedermi ulteriori notizie rispetto a un argomento affrontato dal blog, richiesta che, come purtroppo spesso mi capita, non fui in grado di esaudire.
La mail che ricevetti era corredata da un prezioso allegato: un testo, scritto da suo padre, intitolato QUALCHE MESE DI GUERRA Diario di Renato Di Segni (1943 – 1944), racconto delle vicende vissute  da una famiglia di ebrei -Renato, il padre, Fabio, il figlio di un anno, e Nora Lombroso, la madre – in fuga dalla persecuzione nazifascista.
Il 19 luglio 1943, data del primo bombardamento di Roma, e il 4 giugno 1944, data della sua Liberazione, sono gli estremi temporali della storia.
8 settembre 1943, armistizio; 25 settembre 1943, ordine dei nazisti alla Comunità Ebraica di Roma di consegnare 50 kg d’oro entro 48 ore; 16 ottobre 1943 , cattura e deportazione degli ebrei romani; 24 marzo 1944, eccidio delle Fosse Ardeatine: le altre date salienti
In mezzo la vita di tutti i giorni, la ricerca di cibo, di un rifugio sicuro, di documenti falsi, di notizie su amici e parenti  anch’essi in fuga e le previsioni e le speranze sull’arrivo degli alleati e quindi della libertà.
Un diario mai fatto leggere a nessuno e ritrovato dal figlio molti anni dopo la morte dell’autore, avvenuta nel 1974.
Fabio Di Segni mi ha consentito di presentare sul blog il testo di suo padre, finora uscito solo in una edizione privata e pubblicato parzialmente su un numero di “Sette”, supplemento del Corriere della Sera, dell’ottobre scorso. Lo ringrazio infinitamente per avermi concesso questo privilegio.
Fabio mi ha fornito anche alcune notizie supplementari su suo padre e su alcuni personaggi che appaiono nel testo.
Renato Di Segni (1908 – 1974), perse il padre quando aveva 10 anni; nel 1926 trovò impiego come rappresentante e, lavorando, riuscì a conseguire la laurea; dopo la guerra divenne uno dei più stimati agenti di commercio del ramo tessile. 

La moglie Nora Lombroso, oggi ha 93 anni ed è in buona salute.
Emilia e Giorgio Cabrusà sono stati dichiarati Giusti d’Italia; Giorgio Modigliani era fratello di Franco, premio Nobel per l’economia nel 1985.
LE IMMAGINI
Il testo che ho ricevuto non era accompagnato da immagini. Avrei potuto utilizzare quelle sull’argomento rintracciabili sul web, che ne è ricchissimo. Ho invece pensato che quella che Renato Di Segni racconta è una storia d’amore fra un marito e  una moglie; fra loro e il loro bambino e fra loro e tante famiglie che ne condividevano l’amara sorte. Ho perciò deciso di utilizzare i dipinti di Chagall, che dell’amore sono un inno, alcuni particolari che ho fotografato al Museo nazionale del messaggio biblico di Nizza.
AVVERTENZA
Il testo è piuttosto lungo. Per leggerlo dovete cliccare sulla frase“Continua a leggere l’articolo” che trovate subito dopo la prefazione di Fabio Di Segni.









Prefazione
di Fabio Di Segni


Caro Papà,

intitoli il tuo diario come fosse un piccolo episodio durato pochi mesi. Forse neanche tu hai immaginato quanto le tue scelte sempre lungimiranti hanno salvato tutti noi e le future generazioni. Dall' 8 settembre a Malcesine, al 27 giorno dell'oro, a Velletri, a Poggidoro.

La fuga per i campi il 16 ottobre ricorda, più di 1000 libri, l'ineluttabile destino degli ebrei purtroppo sempre perseguitati. Ma traspare sempre la tua tranquillità, la tua saggezza, il tuo sorriso anche in quei terribili momenti.

Un'altra cosa da te insegnata è la "fratelcuginanza": l'avere per i tuoi cugini di tutte le parti un sentimento di fratellanza profonda. Per te Dario, Giorgio, Marcella, Aldo, Arturo, Gabriella sono fratelli, come per me lo sono una generazione dopo: Alberto, Paola, Enrico, Serena, Gigliola.

Quest'anno con i tuoi 100 anni, insieme al tuo "fratelcugino" Giorgio, sei con noi.

 tuo figlio FABIO




QUALCHE MESE DI GUERRA
diario di
Renato Di Segni
1943-1944






Il primo bombardamento a Roma viene effettuato il 19 luglio 1943 alle 11 di mattina. Mi trovo (1) in Via Viminale quando suona l'allarme.

E' l'ennesimo allarme e quasi non ci facciamo più caso. Immediatamente però le batterie antiaeree iniziano il fuoco e cerco rifugio nella cantina di una vicina bottiglieria. E' con me per caso anche Arturo Schunnach (2). Sentiamo dei boati, bombardano gli obiettivi militari degli scali ferroviari.

Dopo una mezz'ora qualcuno ci avverte che è stata colpita la Zecca, forse per errore o forse perché è vicina al panificio Militare. Arturo che abita proprio nella stessa strada, corre via perché teme per sua moglie (3) e per i suoi bambini (4) e raggiunge la casa malgrado che il cessato allarme non sia stato ancora dato. Fortunatamente trova tutti incolumi.

Mia moglie (5) e mio figlio (6) sono già da un mese con i miei suoceri (7) a Malcesine sul Lago di Garda, vicino a Riva.

Il giorno stesso preparo due bauli con tutta la biancheria di casa, e mando i bauli alla Vigna di Velletri, di circa tre ettari che ho comperato da qualche mese. Se i bombardamenti continueranno, anche la mamma (8), Lionello (9) ed io ci trasferiremo alla vigna poiché in campagna si è al sicuro. Mando dal Vaticano un messaggio ad Armando (10) perché penso sia in pensiero e per tranquillizzarlo gli dico che abitiamo a Velletri.

Il lavoro è completamente fermo e perciò il 23 luglio, sabato, decido di raggiungere i miei a Malcesine. Il treno è eccezionalmente affollato ma sono riuscito ad avere un posto in Vagone Letto. Con me viaggia il Federale di Bologna che racconta di non aver potuto parlare con Mussolini e di dover rientrare in Sede perché Bologna è stata la notte precedente violentemente bombardata. Il viaggio dura dieci ore più del previsto e la domenica debbo fermarmi a Verona perché non ci sono mezzi fino all'indomani per arrivare a Malcesine. Il lunedì mattina apprendo con grande gioia della caduta del Fascismo. Arrivo a Malcesine allegrissimo e mi fermo tutto il mese di luglio e tutto agosto, tanto a Roma non c'è nulla da fare. Scrivo a Lionello e a mamma di venire, ma Lionello non vuole saperne perché [teme] che uno sbarco alleato, di cui si parla, possa tagliarlo fuori e allungare la vera liberazione. Passano giorni di incertezza e nel frattempo il 15 agosto anche Milano viene nuovamente bombardata. Sul lago però si sta tranquilli finché alla fine di agosto non arrivano dei contingenti di Tedeschi che requisiscono tutti gli alberghi e fanno da padroni. Nel frattempo gli alleati sono sbarcati in Sicilia e conquistano l'isola in pochi giorni. Il Governo ha dichiarato che la Guerra continua a fianco della Germania.

La sera dell'8 settembre 1943 la radio ci comunica che l'Italia ha chiesto l'armistizio. Abbiamo subito una impressione di sollievo. I Tedeschi sono pochi in Italia, pensiamo per poterci opporre e saranno immediatamente disarmati. Purtroppo però non è così ed avviene esattamente il contrario. Anche a Malcesine i pochi Carabinieri vengono disarmati e ci accorgiamo di passare sotto il dominio nazista. Sono per me giorni terribili. E' meglio restare a Malcesine, magari in qualche paesetto più sperduto, o è meglio andare a Roma o almeno cercare di andarci?

Da Verona arrivano i miei cognati (11) in bicicletta, avvertendo che tutti gli ebrei cominciano a scappare e che sono arrivate delle nuove divisioni tedesche. L'incertezza mi attanaglia. La responsabilità che devo prendermi avendo moglie ed un figlio di un anno è grave. I miei cognati pensano di darsi alla macchia. In ogni modo la situazione non può essere che transitoria e gli Alleati arriveranno prestissimo. Sono già sbarcati sul territorio italiano ed avanzano in Calabria senza trovare forti resistenze. E' più facile che arrivino a Roma e che i Tedeschi si difendano sul Po ed è quindi meglio partire. Ma come? Le corriere non funzionano più. Il telegrafo, il telefono ed i giornali neppure. Le notizie che riceviamo da qualcuno che arriva da Milano sono contraddittorie. C'è perfino chi giura che gli Alleati sono sbarcati a Genova e che sono già a Milano.

Mando un barcaiolo sull'altra sponda del lago e mi faccio fissare una camera in un altro paesetto in alto. Il giorno dopo però una signora che doveva venire con noi con un bambino, si vede arrivare il marito da Milano che la sconsiglia. A Malcesine starà benissimo perché è difficile che la guerra arrivi fin qui. Noi però abbiamo ben altri motivi per andarcene. Tutti sanno in paese che siamo ebrei e perciò dopo avere molto riflettuto decido di partire per Roma. E' il 14 settembre. Ci alziamo tutti alle cinque e mezza della mattina ed è ancora buio. Ci prepariamo, finiamo di chiudere le valigie, una sola grande ed una piccola, dove abbiamo cercato di mettere tutto il necessario più assoluto lasciando una buona metà dei nostri indumenti di cui non sapremo più nulla. Per le pappe di Fabio che deve assolutamente mangiare caldo in ogni evenienza, mi sono provveduto di un fornelletto a spirito e di una boccetta di alcool.

Per ultimo svegliamo Fabio. La nonna gli dà il latte e caricata la nostra roba sulla carrozzina di Fabio, che ci porteremo con noi, ci avviamo alla piazzetta del Porto. Ci accompagna solo papà (12) per non dare troppo nell'occhio. Papà ha deciso che ci accompagnerà fino a Verona.

Veramente partendo, non so ancora se passerò per Verona. So soltanto per sentito dire che i treni funzionano a scartamento ridotto e che sono gremitissimi. Ci dovrebbe essere alle 12 un vaporetto da Castelletto per Desenzano. Da Desenzano prenderò il treno o per Milano o per Verona sperando di trovare in una di queste due città un treno per Roma. Ci sarà. Voci incontrollabili dicono che a Roma ci sono già gli alleati ...

Montiamo nella barca a vela che ci dovrà portare a Castelletto. Circa 10 Km. L'agitazione che mi aveva tenuto in ansia i giorni precedenti prima di prendere una decisione, sparisce appena la barca esce dal porto. Il dado è tratto, ora bisogna arrivare! Aguzziamo la vista per vedere se il piroscafo si vede in lontananza e dopo due ore di navigazione lo vediamo con un sospiro di sollievo. Il primo mezzo regolare o quasi c'è! Alle nove e mezza arriviamo a Castelletto. Ci confermano che il piroscafo partirà alle 11 per Desenzano. Fabio ha dormito tutto il viaggio e sta bene, benché ancora molto raffreddato.

In attesa di passare il tempo che ci separa dalla partenza, girelliamo per il paesetto mentre il nonno sorveglia Fabio nella sua carrozzina aperta. Ed ecco un fatto nuovo. Laggiù a 200 metri sulla strada maestra si è fermato un camion tedesco ed alcune donne montano. Mi avvicino di corsa. Il camion è diretto a Verona ed il conducente sembra disposto a prendere anche noi. Corro dal nonno, mi carico sulle spalle le valigie, sporte, pacchi e pacchetti e come Dio vuole ci issiamo tutti sul camion che ci porterà a Verona direttamente, con un anticipo di almeno sette ore buone sul previsto e con molta semplicità.

Il viaggio è breve, circa un'ora e mezza, e viaggiando penso che il diavolo non è poi così brutto come si dipinge. I tedeschi, o meglio fra i tedeschi c'è anche della brava gente. Il conducente accetta qualche sigaretta ma rifiuta ogni compenso all'arrivo a Verona dove ci lascia alle 12 circa alla Stazione Centrale. Entro nella Stazione, deposito le valigie e mi informo dei treni. Per Roma non si sa nulla. Sembra che arrivino dei treni ma non direttamente. Si hanno notizie precise o quasi solo per il tratto Brennero-Bologna. Ci dovrebbe essere, fra due ore circa un treno proveniente appunto dal Brennero che viaggia con sei o sette ore di ritardo. Se il ritardo non aumenta o diminuisce sarà a Verona verso le due del pomeriggio. Benissimo, prenderemo con l'aiuto di Dio quello. Intanto andiamo in centro a mangiare ed a fare la pappa per Fabio. All'una e mezza ed anche prima siamo di nuovo alla stazione. Mi accaparro uno dei pochi facchini, promettendogli di farlo milionario, ed attendiamo il treno. Questo arriva alle due e troviamo uno scompartimento quasi vuoto di terza classe. Mi sembra un sogno! Salutiamo papà e partiamo.

I treni sono gremitissimi e forse siamo gli unici ad aver trovato posto a sedere in una vettura molto in testa, consigliata dal solerte facchino. I viaggiatori sono tutti uomini, anzi giovani. Presto ci accorgiamo che sono tutti soldati che raccontano del loro incredibile disarmo e fuga e di come sono diretti alle loro case, tutti in borghese con indumenti dati loro dalla popolazione civile dei rispettivi presidi. La storia di questo disarmo verrà certamente scritta e cercata di spiegare da migliaia di scrittori inutile parlarne. 


In treno riusciamo a fare bene la pappa di Fabio che si comporta da esperto viaggiatore senza mai piangere o dare fastidio. Credo sia l'unico bambino a viaggiare in tutto il treno e le donne si potrebbero contare sulle dita. Il controllore ci fa pagare la multa per la carrozzina, ma in compenso ci dice di aver sentito dire da un suo amico che il cugino capotreno, ha visto qualche viaggiatore a Bologna proveniente da Roma dopo un viaggio di quattro giorni via Adriatico ...... La notizia è consolantissima!

A 10 km da Bologna dopo circa tre ore di viaggio il treno si ferma. A Bologna non può arrivare perché la stazione è stata in parte danneggiata dai recenti bombardamenti aerei ed ancora i binari non sono riattivati. Ci dicono che c'è un tram elettrico per Bologna.

Ci carichiamo tutto sulla carrozzina mentre Nora prende Fabio in braccio e ci facciamo un paio di chilometri fino al tram.

Non c'è. Ne arriva qualcuno ma è talmente affollato che non si può pensare di prenderlo con tutta la nostra roba e la carrozzina per giunta. Finalmente dopo avere atteso una mezz'ora, tre quarti, riusciamo a montare. Il tram però non può arrivare fino al centro della città perché i binari anche qui sono stati colpiti. Di nuovo Fabio in braccio a Nora ed il carico sulla carrozzina le cui leggere balestre mandano sinistri scricchiolii. Ancora due chilometri a piedi ed eccoci finalmente alla Stazione Centrale. Sono le otto di sera e siamo in piedi dalla mattina presto. Non posso dire che siamo molto freschi. Nora però è salda e tranquilla. Fabio invece un po' meno ed ha fame. Urge fargli una pappa. Entriamo nella babelica stazione e finalmente sappiamo che i treni per Roma e da Roma ci sono o almeno ci sono stati. La situazione però può cambiare di ora in ora. C'è un treno che ha un ritardo molto forte proveniente da Milano, pronto in partenza ma è affollato fino sui tetti di soldati. Malgrado la nostra fretta di arrivare a Roma, non ci sentiamo di prenderlo tanto più che sarebbe materialmente impossibile fare la pappa a Fabio in treno con il fornello a spirito, né c'è il tempo di farlo in sala d'aspetto perché il treno è in partenza. Decidiamo quindi di andare a cercare un Albergo vicino alla stazione per mangiare e riposare un po'. C'è un altro treno alle due di notte. Nel caso prenderemo quello.

Per fortuna troviamo camera in Albergo e il ristorante ci serve la cena in camera. Siamo stanchissimi. Al diavolo la partenza questa notte. Dormiamo e domani mattina si vedrà.

Ci svegliamo verso le otto. Mi vesto e corro alla stazione che è proprio di fronte all'Albergo. Il primo treno che passerà per Roma arriverà alle 13 circa con sei ore di ritardo sull'orario. Non c'è da aspettare. Bologna è stata più volte bombardata e noi stiamo proprio vicino alla stazione, probabile obiettivo, abbiamo un po' di fifa ma non c'è nulla da fare. Speriamo bene. Mentre ci prepariamo tranquillamente la valigia, suona la sirena. Ci siamo! L'urlo non è ancora spento che abbiamo già preso Fabio e ci stiamo precipitando in cantina. Mentre siamo per uscire dalla porta, Nora scoppia in una risata. Non è impazzita, si è solo ricordata che sono le dieci e che la sirena è solo quella del segnale orario che da tre mesi non sentivamo e di cui ci eravamo dimenticati! Meno male. Ad ogni modo però è meglio scendere in strada. In una farmacia compro delle gocce per Fabio che ha il naso otturato. Particolare forse secondario ora, ma che allora aveva la sua importanza e che aumentava le nostre preoccupazioni.

Mangiamo al ristorante, leggiamo i primi manifesti ed ordinanze di Kesserling in nome della Grande Germania che assume tutti i poteri in Italia. Alle 13 montiamo in treno. Meno male che troviamo due posti che ci vengono ceduti. Ormai siamo certi di arrivare a Roma. Poco prima è infatti passato un treno proveniente da Roma e ho visto al finestrino Ugo Piperno (13) che viene da Roma e che va a Milano. Nulla di nuovo a Roma dove si aspettano gli Alleati da un'ora all'altra.

Questa volta di donne e bambini in treno c'è solo Nora e Fabio. Ci dicono che i Tedeschi fermano i treni e fanno scendere qualcuno a loro giudizio. Cercano gli ufficiali per internarli. Speriamo bene!

Il viaggio verso Roma procede bene in compagnia di soldati e ufficiali che narrano le loro disavventure di questi giorni. C'è chi viene da Trieste ed ha fatto giorni di strada a piedi, braccato dai tedeschi che in alcune zone hanno preso tutti i soldati e li hanno spediti in vagoni sigillati in Germania. Questo treno invece ed altri viaggiano indisturbati pur essendo il 100% treni di soldati senza biglietto ed in borghese.

Solo a Chiusi abbiamo un brutto momento. Sale un gruppo di Tedeschi armati di fucile mitragliatore, con una faccia satanica ed allo scompartimento vicino al nostro prendono due uomini e li fanno scendere. Gli altoparlanti della stazione gracchiano il tedesco aumentando il nostro orgasmo. Mi sono preso Fabio in braccio ed attendo. Non viene più nessuno e dopo due ore di sosta snervante si parte. Per questa volta siamo salvi! A Roma arriviamo alle 10 di sera circa. Alle 11 c'è il coprifuoco e nessun mezzo per andare a casa. Cerco un albergo vicino alla stazione e ne trovo uno. Telefono subito a casa ma non risponde nessuno. Telefono al sig. Angelo (14). Mi dice che non c'è nulla di nuovo e che mamma e Lionello dormono da zio Ugo (15) per stare in compagnia. Telefono, e sento finalmente la voce di mamma che non aveva naturalmente nessuna notizia di noi da dieci giorni circa.

Nora è stanchissima e prendo per lei una camera separata perché Fabio si sveglia cinque o sei volte la notte e non fa dormire in pace.

La mattina presto mamma e Lionello vengono a prenderci e ci installiamo a casa di mamma. La situazione è incerta. Ormai i tedeschi hanno preso possesso di buona parte dell'Italia e gli Alleati sono sbarcati a Salerno dove combattono accanitamente e tutti pensano che saranno a Roma entro pochi giorni.

I più pessimisti parlano di 20/30 giorni al massimo.

Gli ebrei pensano che i tedeschi non avranno tempo e voglia di pensare a loro tanto più che si dice che gli elenchi nominativi del Ministero dell'Interno sono stati bruciati dal Governo Badoglio e che quindi i tedeschi non hanno modo di fare retate di ebrei.

Piuttosto un'ordinanza invita tutti i giovani a presentarsi al lavoro obbligatorio e comincia quindi l'esodo dei giovani italiani che non vogliono assolutamente presentarsi. Lionello ha un disturbo intestinale. Siccome rientra anche lui nelle classi che si dovrebbero presentare al lavoro, parte per Velletri dove a Morice c'è Marcella (16) e Giorgio (17) con zia Lidia (18).

Molti si rifugiano nelle cliniche e negli ospedali. Qualcuno si fa operare di appendicite pur non avendone bisogno. Si tratta di passare una quindicina di giorni. Tra questi Claudio Di Segni (19) del quale sapremo poi  [che] alcune complicazioni post-operatorie lo porranno per qualche giorno in pericolo di vita. Comunque la mentalità è questa: meglio farsi operare che andare a lavorare con i tedeschi chissà dove, quando qui a Roma fra poco ci saranno gli Alleati.

Il giorno dell'armistizio Franco Pozza (20) si trovava a Frascati, ufficiale, ed è stato disarmato e con tutti gli altri soldati ed ufficiali messo in campo di concentramento. Arriva da Milano Giorgia (21) terrorizzata perché si parla di fucilazioni in massa. Fortunatamente però Franco è fra i pochi reparti che vengono messi in libertà e torna a Milano con Giorgia. Ci racconta prima di partire che Franco è stato messo con altri davanti al muro per essere fucilato ma che un contrordine giunto all'ultimo momento lo ha salvato. La cosa però non è molto chiara perché mancano le notizie dirette e sapremo quello che è stato quando potremo rivederli.

Passano intanto i giorni di settembre. Mi occupo di fare rilasciare per Lionello, un certificato di esenzione per malattia e lo ottengo. Non sappiamo però quello che varrà. Molti partono per l'Abruzzo sperando di passare le linee. Fra questi Massimo Di Nola (22), Ruggero Di Segni (23) e molti altri. Dei nostri Gabriella Modigliani (24) con il marito (25) e la bambina (26) che partono per Castel di Sangro.

Tutto sembra procedere tranquillamente e pensiamo che i tedeschi si siano dimenticati degli ebrei. Fabio è a letto con una noiosa bronchite che gli dà qualche linea di febbre ed è molto sciupato. Lionello ci manda a dire che a Velletri stanno bene.

 





Quando ecco un fatto nuovo. Una mattina mi sembra il 25 settembre, mi telefona Piero Castelnuovo (27) per avvertirmi che il comando tedesco a mezzo dell'Ambasciata, ha convocato i dirigenti della Comunità israelitica di Roma e li ha avvisati che entro 48 ore dovranno consegnare all'Ambasciata kg. 50 di oro. In caso di inadempienza 300 ostaggi saranno presi e fucilati. La notizia ci riempie di costernazione perché pensiamo non sia facile arrivare a raccogliere kg. 50 di oro in 48 ore, tanto più che gli ebrei di Roma quelli che ci sono ancora in città, non possono essere avvertiti che personalmente o per telefono. Ognuno di noi comincia a telefonare agli amici e conoscenti per fare propaganda. Naturalmente nessuno si esime e il giorno dopo nella mattinata si comincia a raccogliere l'oro alla Comunità. Alberto Pontecorvo (28)è fra quelli che lo pesano, altri fanno una ricevuta. E' una fila continua di gente che affluisce ma l'oro è poco. I primi a rispondere sono i meno abbienti che offrono 5, 10, 50 grammi al massimo. All'una della mattinata si sono raccolti Kg. 20. Ci guardiamo esterrefatti. Come si fa ad arrivare a Kg. 50? Si cominciano a raccogliere anche danari. Alcuni si mettono in giro per comperare l'oro a borsa nera. Lo paghiamo £ 250 al grammo. E' il prezzo del mercato. Con tutto ciò il pomeriggio non si realizzano sensibili progressi. Telefono la sera ad Alberto che mi risponde molto scoraggiato. Passo la notte sognando di oro! oro! oro! Ho portato tutto quello che potevo certo è poco. Poco più di 200 grammi radunando oggettini e catenine. Non abbiamo idea di quanto poco pesano i nostri piccoli oggetti! Ci vogliono dei chili di oro e non dei grammi! La mattina dopo è l'ultimo giorno della raccolta.

Alle 12 si deve consegnare. Alle 10 di mattina siamo a Kg. 35. Fortunatamente cominciano ad arrivare offerte più grosse ed il fondo di cassa è rapidamente salito a qualche milione. Si è già prenotato oro presso tutti i commercianti che lo offrono, con cautela perché la vendita è privatissima da due anni, e si aspetta all'ultimo per comperare quello che manca. Incontro davanti al Tempio Emanuele Sestieri che mi tranquillizza. Gli occorrono subito £ 25.000 per fare l'offerta a nome del fratello assente da Roma e glieli presto io che giro sempre con tutto il mio contante in tasca per ogni evenienza. Alle 11 la Comunità telefonò all'Ambasciata di Germania per chiedere una proroga di qualche ora. Bontà loro l'accordano fino alle 14 dello stesso giorno. Nella prima mattinata intanto io avevo venduto alla Comunità 200 grammi di oro che avevo a parte come investimento benché questo mi costasse molto sacrificio. Alberto si rammarica perché insieme all'oro vengono consegnati molti oggetti anche pregevoli e con essi molto entourage di brillanti ed altre pietre che dovrà essere consegnato a peso di oro mentre si sarebbe potuto recuperare tutto il pietrame con notevole risparmio di valore. Alle 12 finalmente il quantitativo di oro è stato raggiunto e superato di circa tre chili ed il contante avanzato in cassa arriva a circa tre milioni di lire! Alle 14 tutto è portato all'Ambasciata dove una signorina dice di lasciarlo pure, senza naturalmente rilasciare ricevuta.

Tutti dormiamo più tranquilli quella notte. Ci siamo detti che i tedeschi saranno soddisfatti della taglia messa su di noi e ci lasceranno tranquilli tanto più che gli Alleati dovevano arrivare da un giorno all'altro... Si è tutti ricordato che anche a Tripoli i tedeschi si sono contentati di una forte taglia su quella comunità.

L'indomani mattina mi preoccupo di trovare dell'acqua minerale di riserva e una damigiana vuota. Impresa ardua dato che tutti fanno altrettanto in previsione di uno stato di emergenza o di bombardamenti. Mi procurai anche del combustibile solido, una lanterna elettrica perché penso che forse sarà meglio andare alla mia vigna a Velletri nel periodo di emergenza.

Verso le 11 di mattina passo da Arnaldo Calò il quale mi dice che i tedeschi nella mattinata sono andati in forza al Tempio e nei locali della comunità hanno razziato tutto l'oro rimasto, i tre milioni di lire e gli elenchi nominativi che erano stati portati in comunità per avere una nota dei contribuenti per la richiesta dell'oro, oltre la preziosa biblioteca. Il fatto è grave. I tedeschi non mantengono il loro impegno sia pure tacito di lasciarci tranquilli e con le schede nominative in mano possono venire a prenderci in casa, almeno gli uomini. Passo dal Tempio ed ho la conferma che il fatto è vero. Mi precipito a casa di mamma dove ancora abitiamo, ordino di fare le valigie con lo stretto indispensabile. Scappo a casa mia e prendo anche lì qualche cosa. Alle 14 dello stesso giorno, con Fabio febbricitante, Nora e mamma, carichi all'incredibile di pacchi, valigie, ecc. partiamo con il tram per Velletri. Arriviamo dopo un viaggio affollatissimo e ci installiamo provvisoriamente a Morice in casa di Marcella. Siamo tutti terrorizzati per quanto è accaduto però ci sentiamo a Velletri abbastanza tranquilli perché i tedeschi non possono trovarci là e della popolazione e delle autorità italiane non abbiamo ragione di dubitare. Incomincia così la sera del Capo d'Anno il nostro soggiorno a Morice dove ci sono oltre alla famiglia di Giorgio e zia Lidia, la famiglia di Marcello Di Nola (29) ed altri sette o otto ebrei nelle diverse case del Conte Antonelli. I tedeschi intanto a Velletri ed in altri centri cominciano le così dette razzie di uomini. Bloccano cioè le strade e prendono tutti gli uomini che trovano senza distinzione di età, di professione od altro e li avviano al lavoro obbligatorio in trincee e simili, o addirittura li caricano su treni fatti con vagoni bestiame, sigillati e li spediscono in Germania. Di loro non si saprà più nulla.

Gli uomini rimasti, per qualche giorno restano chiusi in casa. Poi, piano, piano escono perché sembra che i tedeschi non si curino più di nessuno.

Noi tutti naturalmente non ci muoviamo dal piccolo villaggio, chiamiamolo così di Morice che dista un paio di chilometri da Velletri e dove non si sono visti ancora i tedeschi. E' un periodo che dura vari giorni nel quale viviamo ossessionati dal pericolo di poter vedere tedeschi ed essere razziati. Ci mettiamo d'accordo per un servizio di vigilanza e di vedetta in cima al campanile della chiesetta per dare l'allarme nel caso compaiono i tedeschi ed al primo allarme ci squagliamo per le vigne muniti del necessario per un eventuale soggiorno, in grotta, di una notte. Abbiamo infatti scovato delle grotte fuori mano dove quando è stato dato l'allarme ci siamo incontrati con decine di giovani dei dintorni tutti lì per lo stesso motivo.

Fabio ha avuto il primo giorno che siamo arrivati la febbre a 40°. Abbiamo chiamato subito il medico ma per fortuna non è stato nulla di grave e sta rimettendosi.

Arrivano da Castelgandolfo dove hanno un villino, Franco Castelnuovo e la famiglia. Il numero dei rifugiati si accresce. I turni di guardia diminuiscono... Non potendo più stare ospiti di zia Lidia, induciamo il Conte Antonelli ad affittarci per £ 600 mensili (Giorgio ne paga 200), un appartamento sotto quello di Giorgio a piano terreno vuoto. Lo ammobiliamo con un tavolo vecchio, tre sedie, alcuni chiodi e due brande: una prestataci da zia Lidia e una comperata a Velletri. Mangiamo bene poiché si trova di tutto e le donne scendono la mattina a Velletri per fare la spesa.

La sera, il giorno, la mattina si sente alla radio con molta circospezione perché è pericolosissimo in quanto proibito, la radio Londra e seguiamo l'avanzata degli Alleati. La presa di Napoli e l'avanzata che continua. Si fanno delle scommesse. Siamo in ottobre ed io scommetto per scaramanzia che prima di dicembre non arriveranno. Tutti gli altri parlano di dieci o quindici giorni al massimo. Mamma e Lionello si trasferiscono alla vigna che è situata tre chilometri oltre Velletri e circa cento metri più in alto di Velletri. Morice invece si trova a trecento metri prima di Velletri e cinquanta metri più in alto. La vigna esattamente si trova alle pendici del Monte Artemisio che domina appunto Velletri. Alla vigna, mamma e Lionello si sono adattati nell'unica stanza di cui dispongo e cucinano con i contadini. In complesso stanno bene.
Ad ogni buon conto mi procuro nei pressi della vigna una camera, anzi due, mobiliate discretamente, per ogni eventualità. Giorgio e Di Nola fanno altrettanto e fissano proprio davanti alla mia vigna. Questi giri di ricognizione e le visite alla mia vigna, le facciamo evitando con cura di scendere a Velletri ma passando attraverso boschi e vigne, sentieri e fossi. L'incontro con i tedeschi potrebbe essere fatale.

La sera del 9 ottobre è Kippur. Facciamo digiuno. Nell'ascoltare la radio sentiamo una trasmissione dall'America che parla di prossimi programmi contro gli ebrei d'Italia ed invita gli italiani a proteggere e nascondere gli ebrei. Si può bene immaginare il cuore che ci facciamo! E' inutile negarlo. Abbiamo paura. L'indomani andiamo a trovare mamma alla vigna e troviamo che sta facendo digiuno. Ha sbagliato di un giorno!

Penso che può venire da un momento all'altro una avanzata degli Alleati e che i tedeschi facciano evacuare la zona. Alla [vigna] ho un buon carretto e pertanto compero un grosso somaro che mi potrà servire a portare con me in caso di evacuazione o di fuga, i due bauli con tutta la mia roba che fin da luglio ho sfollato in vigna per tema dei bombardamenti, e con i bauli eventualmente Fabio, Nora e mamma.

Giorgio entra in società nell'acquisto del somaro. Sono £ 5000 che potranno essere ben spese. Anche lui si preoccupa, come me, dello stesso problema.

Mamma e zia Lidia fanno intanto qualche viaggio a Roma con il tram, che è sempre molto affollato. Tutta o quasi la roba di casa di mamma viene fatta trasportare dal portiere di Via Barsieri a casa sua e anche la mia argenteria me la faccio portare in parte a Velletri dove la facciamo murare sotto il camino della casa del contadino, alla vigna.

Il giorno 7 o 8 non ricordo bene abbiamo una gradita sorpresa. Giungono a Velletri il papà e la mamma di mia moglie. Sono partiti da Verona circa una settimana prima, e noi da circa un mese, cioè da quando li abbiamo lasciati a Malcesine, non sapevamo più nulla. Ci raccontano di aver stimato prudente lasciare Verona e dintorni dove sono troppo conosciuti, consigliati in ciò anche da qualche autorità di Verona che prevede quello che poi succederà. Il fratello più grande di Nora, Sergio, è invece andato a Milano e di là cercherà di andare in Svizzera se sarà necessario. Il fratello più piccolo, Leo, si è invece fermato nel Casentino con la famiglia della fidanzata che pure è fuggita in massa da Verona.

La mamma e il papà tornano a Roma dove si sono sistemati in una pensione. Non è stato facile per loro trovarci perché pochi ancora erano nelle loro case. Dal portiere di Via Sabotino hanno avuto la chiave di casa mia, ma essendo chiuse a chiave quasi tutte le stanze, hanno dovuto dormire i primi giorni del loro arrivo, sul divano e sulla poltrona del salotto! Hanno telefonato al signor Angelo Castelnuovo che ha loro detto che avrebbero potuto trovarci a Velletri ma non precisamente dove. Finalmente dopo cinque o sei giorni hanno trovato a casa Zio Ugo che gli ha dato maggiori dettagli per poterci trovare. La difficoltà nel trovarci ci fa in un certo senso piacere perché pensiamo che sarà ancora più difficile ai tedeschi trovarci se ci cercassero.

Arriviamo così al 16 ottobre. Sabato. Giorno tragico per gli ebrei romani, almeno per quelli che non hanno creduto o non hanno potuto abbandonare le loro case.

All'alba le SS. tedesche (truppe scelte di polizia politica) iniziano una razzia sistematica in tutte le case di ebrei.

Salgono due militi mentre un autocarro si ferma al portone. Poi, tempo venti minuti, tutti coloro che trovano vengono fatti scendere. Presentano un biglietto in italiano nel quale è detto di prendere con sé una valigia a persona, viveri per cinque giorni e una coperta. Prendono tutti senza distinzione di sesso, di età e condizione fisica. Mamme, lattanti, donne incinte, bambini piccoli e grandi, malati, paralitici e uomini. Il solo ricordo di questo episodio mi fa rabbrividire e credo che mi farà questa impressione per tutta la mia vita. Sapremo poi di casi dolorosi e pietosi come quello di una mamma che uscita per prendere il latte e lasciati soli i suoi bambini non li ha più trovati! Di un uomo che sentito bussare si è nascosto in un armadio credendo di essere il solo in pericolo e di avere sentito in quella scomoda posizione che portavano via i suoi bambini con la moglie e la madre. Della famiglia dei Di Cave (30), nostri parenti, che presi in parte si sono sentiti telefonare da altri membri della famiglia i quali alla notizia hanno tranquillamente atteso di essere presi a loro volta per essere tutti vicini.

Scene strazianti di madri urlanti, di malati morti di malattia e di spavento mentre erano portati via, di bambini innocenti strappati al sonno per essere inviati al peggiore dei destini attraverso una serie di tormenti che difficilmente la mente umana può immaginare.

Per fortuna la razzia non ha potuto essere simultanea ed è durata dalle 6 della mattina alle 10 circa. In questo modo moltissimi sono stati telefonicamente avvisati da amici e parenti di quanto avveniva ed hanno potuto mettersi in salvo e nei casi più urgenti rifugiarsi presso vicini.

Solo in quel giorno oltre 1500 persone sono state prese fra uomini, donne e bambini. Dei nostri parenti oltre a tutti i Di Cave, purtroppo hanno preso zio Gino (31), zia Fernanda (32) e Sergio (33). Mario (34) invece non era a Roma ma era in Toscana per non rispondere al bando di chiamata e perciò si è salvato. In complesso hanno preso più donne, bambini e persone anziane, che giovani. Infatti la maggior parte degli ebrei pensava che avrebbero infierito contro gli uomini e particolarmente contro i giovani ma non arrivano a pensare che potessero prendere donne e bambini e per questo sono rimasti nelle loro case.

Penso ancora oggi con terrore che il sabato precedente mamma era stata a Roma ed aveva dormito in casa sua!

Tra gli altri quella mattina hanno preso anche Arturo Schunnach con la moglie e due bambini, a casa loro. Da lui, uno dei pochi che si sono poi salvati, ho avuto qualche altro particolare. I tedeschi sono entrati in casa ed hanno consegnato il biglietto cui ho accennato più sopra. Mentre preparo le valigie mi telefona Amelia (35), la sorella, alla quale dicono di essere stati presi. Pochi minuti dopo il telefono squilla ancora ma i tedeschi prima che possano rispondere tagliano i fili. Vengono fatti scendere in malo modo e caricati sul camion in attesa, e vengono portati, insieme ad altri raccolti in altri punti della città, al Collegio Militare centro di raccolta. Qui i tedeschi domandano chi può provare di essere matrimonio misto. Pena la fucilazione immediata in caso di falsa dichiarazione. Arturo ha sposato una figlia di matrimonio misto, però si è fatta ebrea e tale è rimasta anche dopo le leggi razziali, e così pure sono ebrei i figli. Tuttavia perduto per perduto fa passare la moglie e i figli dalla parte dei misti. I bambini dall'altra parte della sala invocano il loro papà. Dopo finita la divisione anche Arturo viene messo in libertà! Sono passate dieci ore. Non dimenticherà credo quella giornata e le scudisciate che ha preso sulla faccia per avere indugiato un attimo a scendere la valigia dal camion per tutta la sua vita! Pochi altri riconosciuti misti vengono messi in libertà. Gli altri dopo un giorno o due vengono caricati su vagoni bestiame sigillati, e di loro non si saprà più nulla. Nulla che malgrado parenti facoltosi abbiano tentato con tutti i mezzi, tutti gli interventi diplomatici, tutte le strade umanamente impossibili. Si sa solo per il racconto di altri viaggiatori che hanno incontrato il triste treno in qualche stazione, che pianti e gemiti venivano sentiti dai vagoni chiusi. Invocazioni deliranti di acqua! Apriteci! Togliete dai vagoni almeno i morti! Non è leggenda, è storia. Nessuno poteva però avvicinarsi al treno ed i vagoni con il loro carico dolorante non sono stati aperti che a destinazione. Destinazione nota a tutti e dalla quale purtroppo pochi, se non nessuno, tornerà!

 





Tra i conoscenti presi ci sono: la figlia di Marco Del Monte con il marito e due bambini in tenera età. Lionello Alatri (36) con la moglie, la figlia di Giuseppe Caviglia di P.zza Santa Maria Maggiore con il marito ed i figli. Tutti i Della Rocca di Via del Pianto escluso Emanuele. Pierina Veneziani, padre e madre di Marcello Di Nola. Padre e madre di Ugo Valabrega (37), e moltissimi altri che forse adesso mi sfuggono.

A noi a Morice la notizia viene portata da una signora latrice di una lettera di alcuni amici di Marcella che hanno pensato ad informare dell'accaduto. Quasi contemporaneamente nella tarda mattinata arriva la moglie di un nostro collega: Cabrusà Giorgio (38) che abita in un villino a Poggidoro gruppo di case signorili sulla strada Genzano Velletri a km. 2 da Genazzano. Marcella decide di andare con i suoi due bambini (39) provvisoriamente a Poggidoro loro ospiti. Tutti pensiamo che non si può più restare a Morice dove siamo in troppi ebrei e dove ci conoscono come tali. Mandiamo ad avvisare Lionello alla vigna con un contadino perché mandi il carretto con il somaro che comincia ad essere utile. Arriva infatti il carretto verso le due e carichiamo tutto il caricabile. Il carretto parte con zia Lidia per Via Velletri. Noi non ci fidiamo di passare per Velletri. Non si sa mai e la paura fa 90. Andremo quindi a piedi attraverso i boschi e le vigne alla nuova abitazione precedentemente fissata. Ci muoviamo verso le due e mezzo del pomeriggio. Siamo una piccola carovana: Nora, Fabio in braccio a me e Giorgio. Ci accompagnano Marcello e la moglie con due bambini rispettivamente di due e tre anni. Purtroppo piove e piove a dirotto. In una mano tengo l'ombrello e nell'altra Fabio che pesa già oltre 11 chili e che non vuole stare che con me o con la mamma. Fatti un cinquecento metri di salita, la pioggia diventa torrenziale. Giorgio e gli altri vogliono proseguire ad ogni costo ed anche Nora. Io voglio fermarmi per via di Fabio. Ci fermiamo in un casolare noi mentre gli altri proseguono. La pioggia continua. Che fare? Ripartiamo sotto l'acqua che quasi non permette di vedere la strada. Riteniamo che bisogna allontanarsi prima di notte. Non vogliamo passare un'altra notte a Morice. Seguitiamo a camminare quasi alla cieca e ad un certo punto temiamo di aver perduto la strada. Comincio inoltre ad essere stanco e naturalmente nervoso e Nora mi rimprovera di aver voluto lasciare gli altri e di essere rimasti soli in una strada che non conosciamo bene. Non possiamo fare altro. Finalmente riusciamo a vedere in lontananza gli altri che ci hanno preceduto e ci riuniamo a loro. Continua la nostra marcia per un terreno sdrucciolevole, senza strade, quasi alla. ventura e così si continua, continua per delle ore. Circa quattro in tutto e sempre con la pioggia che non ha mai cessato. Finalmente, quasi alle sette, arriviamo a destinazione. Giorgio e i Di Nola si sistemeranno nella casa da loro fissata e noi nell'altra a venti minuti circa di strada dalla nostra vigna. Siamo così da Nannina. Così infatti si chiama la proprietaria della piccola vigna che ci ospita. Ha il marito prigioniero in America ed un bimbo di tre anni e mezzo. Abitiamo in una piccola costruzione primitiva di due piani con una ripida scala esterna che porta in alto. Dormiamo nella stanza superiore, abbastanza ben messa, ma naturalmente senza acqua, senza luce e con molti topi. Mangiamo e cuciniamo nella cucina dei contadini che si trova in una costruzione annessa. Il giorno dopo il nostro arrivo sono a letto con un potente mal di gola. Fabio invece fortunatamente ed anche Nora stanno benissimo. Dalla nostra finestra vediamo tutta la pianura Pontina fino al Circeo, vediamo la valle che da Cisterna porta a Valmontone e vediamo il mare fino ad Anzio. Proprio di fronte a noi l'Isola di Ponza già occupata dagli Inglesi si vede nei giorni più chiari e ci fa pensare che la libertà potrebbe essere vicinissima solo se si avessero delle ali.

Franco Castelnuovo viene a trovarci. Anche lui ha lasciato Morice come tutti gli altri, e si è sistemato con la moglie incinta in una casetta, quasi una capanna in mezzo al bosco. I suoi due bambini con la balia di fiducia li ha lasciati in un'altra casa più in basso e per due mesi non il vedrà quasi più perché vuole che almeno loro siano sicuramente salvi.

Nei giorni seguenti ci occupiamo di fare qualche provvista di generi alimentari, di candele e fiammiferi. Tutto si trova a comperare fuori tessera, naturalmente a prezzi molto superiori a quelli ufficiali nel cosidetto "mercato nero" che ormai impera in Italia dall'inizio della guerra.

Il tempo passa lentamente ed ora non abbiamo più neppure conforto della radio e dobbiamo contentarci delle notizie che ci portano da Velletri.

Nel frattempo nei paraggi sono giunte altre famiglie di ebrei e facciamo delle visite. Facciamo anche qualche partita a carte e di quando in quando qualcuna delle donne va a Roma per avere notizie.

A Roma sembra che tutti si siano alla meno peggio sistemati e che i comitati segreti di liberazione aiutino a procurare a chi ne ha bisogno dei documenti falsi. Angelo Castelnuovo mi fa sapere di avere la possibilità di ottenere due carte di identità false. Infatti mandiamo mamma a Roma e ritorna con due carte del Comune di Napoli perfettamente falsificate con i dati in bianco. Pensiamo di alterare anche le carte annonarie e per avere un nome facilmente trasformabile ci chiameremo d'ora in avanti SEQUI. Con una carta di identità in regola con altro nome ci sentiamo più tranquilli. A Roma intanto continuano le retate di uomini. La mamma e il papà di Nora vengono a trovarci nella nuova residenza e si trattengono anche due o tre giorni. Nel frattempo, siamo quasi alla fine di novembre, arriva a Roma Leo il fratello di Nora dal Casentino. Hanno ritenuto di potere meglio nascondersi in una grande città poi nel piccolo paese dove risiedevano, erano ormai conosciuti come ebrei.

Il Governo Repubblicano di Mussolini, annuncia con la stampa che tutte le proprietà artistiche degli ebrei debbono essere denunciate e verranno confiscate. Ho ancora tutti i miei titoli industriali nella cassetta di sicurezza della Banca, a Roma. Bisogna toglierli dalla cassetta e pertanto mando Nora a Roma, per ritirarli. Spero che alla Banca non facciano difficoltà ad aprire la cassetta benché sia intestata a me e a Lionello.

Ad ogni buon conto mi decido nella mattina di accompagnare Nora al tram a Velletri lasciando Fabio alla nonna. Scendo quindi con una buona mezz'ora di strada a Velletri per la prima volta dopo ben due mesi! Che curioso effetto mi fa vedere tanta gente! E sopratutto vedere i tedeschi mi dà un certo senso di disagio..... Arriva il tram affollatissimo. Mi secca mandare Nora a Roma sola e all'ultimo momento salgo anche io. E' intanto passata Nannina per la quotidiana spesa a Velletri, e avvertirà lei mamma. Arrivati a Roma, entro furtivamente nell'ufficio privato del Direttore della Banca che è mio amico, e apro la cassetta togliendo tutti i miei titoli. In giornata li consegno a mio suocero e poi riparto con Nora per Velletri. Anche questa è fatta ed è andata bene. Tutto sembra facile ora che è passata ma allora il solo incontro con qualche conoscente che avesse voluto tradirmi e sarebbe finita.

Passano così altri giorni abbastanza tranquilli. Mi dedico ai lavori di campo per ingannare il tempo. Faccio qualche passeggiata, vado alla vigna evitando sempre con cura le vie maestre, dove si potrebbero incontrare tedeschi sempre alla caccia di uomini da far lavorare.

Non ho preoccupazioni finanziarie per fortuna, perché da mesi tengo sempre un buon gruzzolo in contanti con me. Guai se non fosse stato così.

Il 5 dicembre viene a trovarci Leo e facciamo una buona mangiata di fettuccine alla vigna.

Il giorno appresso mi arrischio a fare un'altra gita a Velletri. Ho un conto corrente al Banco di Roma e voglio vedere che cosa si può fare. Incassarlo, mi dicono all'Agenzia di Velletri, è impossibile perché tutti i conti correnti da settembre sono bloccati per tutti.

Si può però convertire il libretto in due libretti al portatore evitando così l'eventuale confisca agli ebrei. Faccio telefonare a Roma e faccio l'operazione nella mattina stessa a Velletri. Mentre sto per tornare mi raggiunge trafelata Nannina latrice di un laconico biglietto di Nora che dice: "Attenzione - torna subito - pericolo per i 45" (i quarantacinque sono gli ebrei).

Siamo costernati! Che sarà successo? Ci affrettiamo al ritorno. Da Roma, è arrivato mio suocero per informarci della pubblicazione di un decreto che dichiara tutti gli ebrei italiani nemici, ne ordina l'internamento in campo di concentramento e dichiara sequestrati a favore dei sinistrati dai bombardamenti tutti i loro beni immobili e mobili. Ci sembra la fine. Ora non sono più soltanto i tedeschi a cercarci ma anche gli italiani, non solo ma le nostre case sono in loro balia e possiamo aspettarci da un momento all'altro il sequestro della vigna. Papà (40) ha portato tutti i miei titoli che sono nominativi da qualche mese, perché li firmi per vedere se è possibile venderli. Leo e papà ripartono per Roma.

Il giorno successivo provvedo a sistemare i miei affari alla vigna e faccio venire mamma a dormire con noi. Lionello invece andrà in una capanna di pecorari ancora più in alto. Solo.

Giorgio e Marcello Di Nola sono andati via dalla nostra zona già da qualche giorno. Sappiamo che si sono sistemati bene a 10 chilometri da Velletri in pianura ma non sappiamo esattamente dove. La prudenza non è mai troppa e l'indirizzo preciso non si dà a nessuno!

Viene a trovarci Cabrusà da Poggidoro per incarico di Giorgio. Questo infatti ha incontrato a Velletri un agente di P.S. che io conosco da qualche anno perché  prima era a Roma nel nostro quartiere un certo Lolito, e vuol sapere da me se ci si può fidare. Rispondo affermativamente ed intanto Cabrusà, molto gentilmente, mi dice che vicino al suo villino a Poggidoro c'è un appartamento vuoto, libero, e mi consiglia di trasferirmi laggiù dove nessuno all'infuori di lui mi conosce.

Ormai non possiamo più stare dove siamo. Chiunque sapendoci ebrei potrebbe denunciarci e saremmo finiti. Viviamo in continua trepidazione.

Credo che al fronte o davanti a qualunque pericolo non avrei paura ma ora si tratta di ben altro! Possono venire a prendermi e portarmi via con madre, moglie e figlio. Sospettiamo tutto e di tutti. Non dormiamo più e non ci azzardiamo più ad uscire di casa. Dobbiamo quindi prendere una decisione. Spedisco mamma a Roma a parlare con il padrone della casa di Poggidoro. Torna con il contratto fatto a nome di Sequi ed il giorno dopo mamma e Lionello partono con il carretto e con tutte le nostre valigie. Noi li seguiremo fra qualche giorno appena avranno sistemato alla meno peggio l'appartamento che è completamente vuoto. Dalla vigna mandiamo le brande con i materassi. Cabrusà ci presterà un vecchio tavolo e quattro sedie. L'indispensabile è così a posto.

Il 12 dicembre ci trasferiamo anche noi. Ritorniamo così fra il mondo civile. Infatti ora abbiamo acqua in casa e luce elettrica! Ci fabbrichiamo a tempo perso degli sgabelli di legno per completare l'arredamento ed iniziamo la nuova fase di vita. Ci presentiamo ai proprietari dei villini vicini come signori Sequi sfollati da Napoli in seguito ai bombardamenti. Mi faccio fare a Velletri dei regolari biglietti da visita e della carta intestata e cerco come meglio posso di sembrare napoletano. In verità non ne ho l'accento ma sono stato molti anni all'estero!
Poggidoro è una strada maestra o quasi. E' più facile andare a Roma e mi arrischio qualche volta ad andarci. Nulla di nuovo.

Gli alleati sono a Cassino ma non possono passare data anche la cattiva stagione. Abbiamo di nuovo la radio da sentire in casa Cabrusà che ci aiuta molto in tutto e seguiamo gli avvenimenti bellici più da vicino.

In uno dei miei viaggi a Roma ho incontrato qualche ebreo. Tutti hanno dei documenti e tessere annonarie in perfetta regola, naturalmente false. Ci sono varie strade per ottenerle ma bisogna stare a Roma e cercare la via migliore e la più economica.

In quanto alle carte di identità di Napoli mi consigliano di non adoperarle perché le autorità le hanno riconosciute false e quindi non c'è da fidarsi. Come fare? Ho conosciuto vicino alla vigna un avvocato di Velletri, l'avv. Cavicchia, ottima persona che sa chi siamo ma di cui ci si può fidare. Vado da lui a Velletri per vedere se fosse possibile ottenere qualche cosa in Comune. Mi consiglia di recarmi al Comune e dichiarare di essere sfollato da Napoli e di non avere le carte annonarie. Al Comune mi accompagna la moglie dell'avvocato stesso. Una svelta signora, molto intelligente. La prima signorina alla quale mi rivolgo mi dice che non avendo documenti che provino la mia identità devo andare a parlare con il Capo Ufficio. Ci vado con una certa fifa. Se va male mi denunceranno e mi consegneranno ai tedeschi... Fortunatamente il Capo Ufficio è amico dei signori Cavicchia, mi fa qualche domanda e poi dietro garanzia della signora Cavicchia che coraggiosamente afferma di conoscermi bene come il Dott. Sequi di Napoli, mi concedono tutte le carte annonarie per cinque persone, il permesso di residenza e l'iscrizione anagrafica con il diritto di ottenere seduta stante la carte di identità. Vittoria! Ritorno trionfante a Poggidoro. Adesso sono a tutti gli effetti legali il Sig. Sequi e famiglia, ed i documenti sono perfettamente in regola e gratis per giunta quando a molti altri a Roma sono costati fino a cinquantamila lire e in molti casi ricatti e complicazioni.

Per giunta mando a Roma Noretta che ritorna portandomi una lettera della Ditta Zingone che concede al sig. Sequi la rappresentanza per il Lazio, mettendo così a posto anche la mia posizione di lavoratore. La lettera mi viene autenticata dal Comune di Velletri con l'autorizzazione che da qualche giorno è necessaria.

Giorgio viene a trovarci e ci invita a pranzo. Alla sua casa si arriva per un pezzo con il tram e poi a piedi. Sono molto ben messi in una moderna casa colonica ed hanno perfino il bagno!

Passiamo allegramente il Natale in casa di amici a Poggidoro e passiamo il Capo d'Anno in casa dei buoni Cabrusà, con Leo che è venuto a trovarci. L'ultimo dell'anno però abbiamo avuto una sorpresa non troppo gradita. Sono arrivati dei tedeschi in riposo ed hanno requisito tutte le case libere di Poggidoro. Sono però molto tranquilli e facciamo anche amicizia con qualche ufficiale gentile che abita in casa di Cabrusà. Facciamo particolarmente amicizia con un soldato polacco incorporato per forza con i tedeschi dei quali parla apertamente male. Si chiama Casimiro ed è a quanto sembra molto intelligente. Prima della guerra faceva il meccanico. Lo rivedrò a Roma in luglio avendo disertato per combattere con gli A (41).

I. tedeschi sanno che siamo sfollati da Napoli, e che i bombardamenti hanno distrutto la nostra casa e sono perciò per la maggior parte gentili con noi. Solo una sera un sottufficiale ubriaco entra in casa e ce ne vuole del bello e del buono per farlo uscire. Lo accompagno finalmente fuori promettendogli di andare a bere con lui e solo l'intervento del buon Casimiro mi toglie d'impaccio poiché spianandomi la rivoltella addosso l'ubriaco non voleva assolutamente lasciarmi andare.

A Roma i miei suoceri non hanno documenti in regola. Bisognerebbe procurarglieli e penso di fare al Comune di Genzano quello che ho fatto a Velletri per me. Li faccio venire a Genzano ma la cosa non riesce. Il Funzionario non può credere che tre persone della stessa famiglia siano fuggite senza portare nessuno un documento che provi la loro identità. Ai primi di gennaio arriva da Roma Sergio, l'altro fratello di Nora. Racconta che il 6 dicembre dopo aver visto la legge contro gli ebrei ha deciso di portarsi in Svizzera insieme ad un suo cugino Raul Forti (42). Ha passato bene a Bergamo e a Milano i mesi precedenti ma ora amici e parenti lo consigliano di andarsene in Svizzera. Con diecimila lire a persona trovano una guida che acconsente di accompagnarli attraverso la frontiera, di contrabbando. Riescono infatti dopo molte ore di marcia, a passare il confine ma quando si presentarono al posto di frontiera svizzera non acconsentono a farlo restare. Fanno rimanere in Svizzera il cugino Forti che è più anziano ed indisposto ma a lui dicono di non poterlo ospitare essendo troppo giovane. Il povero Sergio deve quindi rifarsi la strada del ritorno, esposto ai fucili delle guardie confinarie e dopo essere passato per Milano ha deciso di venire a Roma dove giunge dopo un viaggio fortunosissimo perché i treni, stante i bombardamenti non funzionano quasi più.

Ora è a Roma e si sistema alla meglio con i suoi.

 






La mattina del 22 gennaio (43) vado a Roma partendo verso le sei e mezzo. Parto con Cabrusà che deve comperare il lettino per il suo primo bambino che dovrà nascere fra una quindicina di giorni. Io vado a Roma perché  è stato ordinato il censimento della popolazione di Roma e l'ordinanza dice che chi non sarà censito a Roma non potrà più entrare in città e trasferirvisi. Voglio vedere che cosa si può fare, tanto più che ho saputo che Giorgio e i Di Nola, sono rientrati a Roma perché  ormai gli alleati possono arrivare da un giorno all'altro e la zona può essere evacuata forzatamente, pericolo questo che non voglio correre. A Roma, per il permesso di soggiorno, occorrono pratiche lunghissime e lunghe file alla Questura.

Incarico mia suocera di darmi la pratica e nello stesso tempo di cercarmi una casa mobiliata a Roma per ogni evenienza. Ne vado a vedere anche una o due ma occorre un portiere fidato poiché venendo da fuori Roma senza permesso di soggiorno, c'è il rischio di essere avviati con tutta la famiglia ai campi degli sfollati o al Nord dove certo non vorrei andare.
La mattina in tram abbiamo sentito qualche colpo lontano di cannone ma abbiamo pensato ad esercitazioni o a contraeree.

Alle 11 prima di ripartire per Velletri, vado a trovare Fanny (44) che sta in clinica dove si è dovuta operare per la seconda volta.

Mi dice che Dario (45) abita con Achille (46) in una camera mobiliata e che sta bene. Zia Pia (47)è sola in una casa di amici.

Bianca (48) in convento, Mario (49) in un altro posto. Naturalmente nessuno dà l'indirizzo preciso neppure al suo più caro amico o parente.

Alle 11 passo dall'ufficio e la portiera mi dice di aver sentito alla radio che gli inglesi sono sbarcati a Nettuno!

Le notizie che circolano sono tante che non do molto peso alla notizia.

Salgo in tram per Velletri alle 13 e qualche amico che incontro mi conferma la stessa notizia.

E' però troppo presto per rallegrarsi, può non essere vero ed è meglio non farci soverchie illusioni. In tram trovo anche Cabrusà che ha con la cameriera e molti pacchi oltre al lettino smontato che a stento riesce a far salire sul tram gremitissimo.

Si parte e fino a Grottaferrata tutto va bene.

Al bivio di Grottaferrata (non si passa per Ciampino perché in mattinata la linea è stata bombardata), il tram si ferma.

Manca la corrente.

Ci avviamo a piedi verso Marino ed intanto si fa notte.

Ormai tutti parlano dello sbarco ed abbiamo fretta di arrivare a casa.

A Marino per fortuna il tram riprende la sua corsa ma ad Ariccia cessa definitivamente il servizio.

Sono ormai le 9 di sera ed abbiamo impiegato tutta la giornata ad arrivare a 30 chilometri da Roma!

Gambe in collo in molta compagnia e ci avviamo a piedi per coprire i 15 chilometri di strada che ci separano da Poggidoro.

Sentiamo intanto che Velletri è stata violentemente bombardata nella mattina e che ci sono stati molti morti.

Siamo in ansia per i nostri ed affrettiamo il passo.

In due ore siamo a casa dove tutti ci attendono a loro volta in pensiero per noi.

Fortunatamente non è successo nulla. Sanno dello sbarco ma mancano notizie precise.

Hanno visto lontano sul mare qualche centinaio di navi che eseguivano lo sbarco ed il tuono del cannone.

Gli ufficiali tedeschi sono tranquilli. Dicono che presto gli alleati saranno buttati a mare. La sera stessa un comunicato ufficiale tedesco annuncia lo sbarco e che sono state prese le necessarie misure da parte del maresciallo Kesserling.

Nella notte il cannoneggiamento si intensifica e vediamo a circa sette chilometri da noi, le batterie tedesche che fanno un fuoco di inferno.

Sul mare i proiettili traccianti danno l'impressione di fantastici fuochi d'artificio.

Nelle prime ore del mattino arrivano dei carri armati tedeschi e i soldati stanchissimi entrano in casa nostra e dormono profondamente per delle ore sulle nostre poche sedie o in terra.

Nella giornata si sistemano nell'appartamento sotto il nostro mascherando alla meglio i loro carri, il che ci preoccupa assai essendo sempre ben visibili dall'alto.

Infatti nel tardo pomeriggio mentre assisto alla manovra di un camion che deve entrare nel cancello di un villino, un aereoplano passa bassissimo e ci mitraglia all'improvviso.

Per fortuna non mi colpisce. L'ho scampata bella!

In ogni modo siamo tranquilli. G1i alleati non possono tardare. Abbiamo soltanto il pericolo che ci facciano forzatamente evacuare ma ad ogni buon conto a Poggidoro mi sono portato carretto e somaro alloggiandolo in un sottoscala e nel caso potremo partire con quello.

Intanto si avvicina il giorno della nascita del bambino di Cabrusà ed andiamo a Genzano per fissare la levatrice che ci assicura il suo intervento.

Velletri è stata effettivamente molto bombardata ed è quasi distrutta.

Noi prendevamo il pane a Velletri ma ormai non lo danno più.

Le cose cominciano quindi a mettersi male perché dobbiamo adoperare la poca farina di riserva.

Cabrusà ha una motocicletta ma il giorno dopo lo sbarco arrivano alcuni ufficiali tedeschi che senza tanti complimenti la requisiscono.

Siamo così isolati da Roma perché i tram non funzionano più. Una macchina tedesca parte per Roma ed uno dei nostri vicini va con loro. Possiamo così mandare notizie ai genitori di Nora e raccomandarli di fissarci una casa a qualunque costo per ogni evenienza.

Il terzo giorno una batteria antiaerea si piazza dietro la nostra casa e fa un fuoco di inferno contro gli aereoplani che passano. Intanto cominciano ad arrivare dal mare le prime cannonate. Ai primi colpi pensiamo si tratti di errore, ma ben presto ci accorgiamo che sparano proprio verso il nostro gruppo di case. In una si è installata una stazione radio e forse cercano di colpirla. I colpi però sono radi e ci facciamo presto l'abitudine. Se non colpiscono in pieno non fanno gran danno. Si sente prima il fischio e poi lo scoppio. Se si è fuori ci si butti ventre a terra. Passano così alcuni giorni. A volte le cannonate da ambo le parti sono spaventose. In altre ore i cannoni tacciono. Non pensiamo ancora a partire. Gli alleati prima o poi arriveranno e andare a Roma a piedi o con il carretto è pericoloso per via dei bombardamenti che bloccano tutte le strade.

Continua così per qualche giorno ma intensificandosi la pioggia di colpi che cadono vicini a noi. Ci decidiamo ad andare a Genzano per vedere di ottenere dal Comando Tedesco almeno tre posti per le donne ed i bambini facendo presente che abbiamo una donna incinta. Nulla da fare!

Il nostro somaro ha bisogno di essere ferrato. Andiamo a Genzano ma i negozi sono ormai tutti chiusi perché arrivano anche in città molti colpi di artiglieria e qualche isolato bombardamento aereo.

Comunque con l'aiuto dell'agente Lolito riusciamo a convincere un maniscalco ad aprirci e ferrarci il somaro. Siamo andati Lionello ed io.

Sono le 11 di mattina. Lionello si avvia verso Poggidoro con il somaro mentre io mi fermo per parlare con il proprietario di un camion che sta caricando la sua roba per Roma. Mentre sto cercando di persuaderlo a darmi un passaggio per Nora e Fabio sento crepitare la mitraglia. Sono aerei che sparano. Entro in fretta all'imboccatura di una grotta da vino e sono appena entrato quando cadono le prime bombe. Non è possibile spiegare la sensazione che si prova sotto il bombardamento aereo. E' un finimondo. Case che crollano, feriti che urlano, bestie impazzite che fuggono con tutti i carretti.

Si ha l'impressione di un fato inesorabile al quale non si possa sfuggire. Sono in tremenda ansia per Lionello che deve essere stato sorpreso proprio in strada. Il bombardamento dura pochi minuti. Appena cessato esco dal rifugio. A tre metri dall'imboccatura una serranda è contorta per il solo spostamento dell'aria. Il palazzo vicino a quello dove stavo è crollato! Anche questa volta l'ho scampata bella. Inforco la bicicletta e corro verso Poggidoro.

Per la strada interrotta a metà vedo un carretto da vino sepolto sotto la terra con tutto il cavallo ed il carrettiere morti. Più avanti altri morti. Arrivo trafelato a Poggidoro. Dio sia lodato, Lionello è arrivato sano e salvo!

La sera la moglie di Cabrusà partorisce un maschietto! Per fortuna la levatrice è venuta.

La battaglia sembra calmarsi e passiamo così qualche altro giorno. La quarta notte dopo il parto della Cabrusà, il bombardamento riprende terribile ed i colpi ci arrivano da tutte le parti. Cabrusà viene ad avvertirmi che ha portato fuori di casa la moglie ed il bimbo piccolo e li ha rifugiati in una trincea. Fa un freddo cane. Li convinco a tornare a dormire. Meglio morire sotto le bombe che di polmonite.

Facciamo amicizia con un altro ufficiale tedesco che acconsente a portare a Roma Lionello con una valigia. Penso di salvare qualche cosa e sopratutto raccomando Lionello di portarmi la mia bicicletta. Lionello parte e ritorna il giorno dopo. L'auto tedesca lo ha portato solo a Tivoli ma lì ha trovato un mezzo di fortuna ed è arrivato a Roma. Ritorna in bicicletta. Offro ai contadini del luogo il carretto ed il somaro in regalo se mi portano a Roma i miei bauli ma nessuno accetta. La strada è sempre mitragliata dagli aerei e di notte non si può viaggiare per via del coprifuoco. Andiamo alla ricerca di una abitazione più riparata e troviamo una casa disabitata, un paio di cento metri più in alto, nel bosco. Nel caso ci trasferiremo lì. Intanto la luce elettrica viene interrotta per la distruzione degli impianti. A Velletri non c'è più nessun abitante ed i tedeschi hanno fatto man bassa in tutte le abitazioni e in tutti i negozi e si spartiscono da buoni amici il frutto del saccheggio. Le cannonate aumentano di intensità ma non c'è modo di andare a Roma se non con qualche macchina tedesca. In tal caso si deve lasciare tutto e non si troverà più nulla di nulla. Lionello non vuole partire. Preferisce le bombe ai pericoli che si corrono a Roma e non ha tutti i torti! Abbiamo saputo che Roma pullula di spie ed ebrei denunciati vengono immediatamente presi.

Con tutta questa ira di Dio cerchiamo di passarcela meglio che possiamo e partecipiamo a qualche riunione serale organizzata dai tedeschi nei villini requisiti. Ce li teniamo buoni perché  è la sola fonte per avere del pane e qualche altra cosa da mangiare. Per fortuna gli ortaggi sono abbondanti sul luogo ed i tedeschi hanno ammazzato un grosso maiale, preda bellica, e ci offrono qualche pezzo.

Qualcuno viene da Roma a piedi e ci segnala che il tram funziona ancora da Roma a Grottaferrata. Finalmente la sera del 9 febbraio un soldato tedesco cogliendo l'occasione che il superiore è rimasto ferito in giornata ed è ricoverato in ospedale, mi propone di portarmi a Grottaferrata la mattina dopo alle sei dietro compenso di millecinquecento lire ed una bottiglia di liquore.

E' così che l'indomani mattina montiamo in macchina Nora, mamma, Fabio, io e la mamma di Cabrusà. La Signora Cabrusà con il neonato partiranno con altra macchina il giorno dopo. Cabrusà e Lionello restano per salvare il salvabile e non lasciare il villino in balla dei tedeschi. Il viaggio avviene con molta trepidazione ma senza incidenti. Abbiamo solo paura che non ci facciano entrare a Roma, senza permesso. D'altra parte non possiamo dire di essere romani. Troviamo il tram a Grottaferrata e come Dio vuole arriviamo a Roma perfettamente.

Nel frattempo mio suocero ha fissato un appartamento in Viale Parioli a nome di Sequi dove ci installiamo con un sospiro di sollievo. E' finito il pericolo dei bombardamenti. Ne comincia però uno più grave. Speriamo bene. Ad ogni buon conto io non uscirò mai o quasi da casa. Riprendiamo qualche contatto con amici e parenti. Vicino a noi è nascosto Sergio Piperno con la famiglia. I miei suoceri abitano pure nella stessa via e vicino abita mio cugino Ing. Tazzoli (50) che è ariano e la cui casa ci servirà di rifugio in caso di pericolo.

Un'altra fase comincia. Ci mettiamo in contatto con i nostri amici Cremona ai quali diamo le tessere annonarie intestate ancora a Di Segni perché facciano i prelevamenti per noi. Vengo informato che l'amico Gasparri (51) fa parte dei comitati segreti. Vado a trovarlo e mi mostra i resoconti dei partigiani che opereranno contro i tedeschi.

Ho l'impressione che sia un po' imprudente... Nel suo studio incontro Aldo (52) e Gastone Piperno (53). Quest'ultimo si fa chiamare avv. Muscolino ed ha una parte importante nei comitati segreti.

Sei giorni dopo il nostro arrivo mi telefona Cabrusà per avvisarmi di essere arrivato a Roma anche lui e che Lionello è pure partito all'alba con il carretto e dovrebbe arrivare in serata. Passiamo alcune ore di trepidazione. Fortunatamente anche Lionello ci telefona dalla periferia che è arrivato. Ci racconta poi a casa che la notte prima una bomba ha preso quasi in pieno il villino di Cabrusà dove abitava anche lui. Una bomba di aereo che ha colpito e distrutta mezza casa lasciandoli vivi per puro miracolo. Non essendo più possibile restare, ormai senza casa, hanno deciso di tornare. Per la strada vicino a Ciampino è stato sorpreso da violenti mitragliamenti ed è anche questa volta vivo per miracolo. Inoltre si è fatto circa quaranta chilometri a piedi perché il carretto, che andava solo a passo d'uomo, era sovraccarico. La fortuna ha voluto così salvarci tutti ed anche la nostra roba.

Ha solo avuto una certa difficoltà a passare il posto di blocco poiché volevano mandarlo con tutto il carretto al campo degli sfollati di Cesano ma poi è riuscito a convincere l'agente di guardia a lasciarlo passare.

Ora che siamo tutti uniti e non abbiamo più la preoccupazione di morire sotto le bombe, cominciano altre preoccupazioni. A Roma siamo entrati, ma essendo sfollati da Napoli, e poi da Velletri, non possiamo a rigore restare in città senza ottenere un permesso di soggiorno senza del quale possiamo essere invitati a lasciare Roma entro le ventiquattro ore ed essere inoltrati al Nord o in uno dei terribili campi di sfollati. Cerco di procurarmi questo permesso ma è impossibile. Da qualche giorno non lo rilasciano più per nessun motivo. Mi denuncio comunque alla Questura per essere in regola almeno in parte e tanto più che il portiere dello stabile lo farebbe lui in difetto.

Come da ordinanza, di recente stabilita, i nostri nomi vengono uniti a quelli degli altri inquilini nella nota che è in portineria. Mi accorgo in questa occasione di aver commesso un errore a conservare il nostro nome cambiando solo il cognome che poi è molto simile al vecchio. Infatti Nora, Renato, Noemi, Lionello e Fabio Sequi sono troppo riconoscibili. Non è però più possibile cambiare e quindi pazienza. D'altra parte abbiamo già fatto una grande fatica ad impararci bene le nostre generalità.

La casa che abbiamo affittato è molto confortevole. Abbiamo stanza da pranzo, salotto, camera da letto e bagno con scaldabagno elettrico. Per cucinare il gas non c'è perché  manca il carbone. Ci provvediamo di un fornello elettrico e un po' di carbone ed andiamo avanti bene. Con le tessere di Velletri il pane non ce lo danno a Roma. Usufruiamo però di alcune tessere false che mi fa ottenere Gastone Piperno, alias Muscolino.

Con Aldo Piperno, Achille e Dario ci vediamo qualche volta per un pocherino. Abitano tutti verso Corso Trieste e possiamo andarci senza passare per le strade del centro, sempre pericolose per via che si può essere riconosciuti da qualcuno e per via delle razzie che sono saltuarie ma frequenti. A proposito di razzie funziona un servizio telefonico di segnalazione. Quando in qualche strada i tedeschi o i fascisti fanno retate subito qualcuno telefona: Come stai? Ti sei rimesso dal raffreddore? Bada che oggi tira molto vento ed è meglio che non esci! Riguardati.....

 





Anche a Roma si incontrano degli amici ma nessuno dice mai dove abita all'altro. I Piperno fanno un po' eccezione ma naturalmente per pochissimi fidati parenti.

Febbraio ed i primi di marzo passano tranquilli. La tranquillità è naturalmente relativa perché non ci abbandona mai un senso di oppressione, di timore per quello che può accadere da un momento all'altro. Ad ogni picchiata del campanello di casa trasaliamo e ci guardiamo esterrefatti. I parenti che frequentano la nostra casa sanno che debbono fare una suonata convenzionale per non allarmarci. Nel palazzo dove abitiamo decidono di consacrare la casa al Sacro Cuore della Vergine con una cerimonia particolare alla quale parteciperanno tutti gli inquilini. Naturalmente noi non dobbiamo esimerci e Vi partecipiamo. Una sorpresa però ci attende poiché fra gli invitati notiamo Pamphilia Prizi una nostra vecchia vicina di casa. Come la penserà? Potrà farci la spia? Prima che la cerimonia sia finita spariamo alla chetichella. Speriamo non ci abbia visti, ma per qualche giorno viviamo più preoccupati che mai! Sapremo poiché ci ha regolarmente riconosciuti e che avrebbe voluto venirci a dire che era a nostra disposizione per qualunque occorrenza!

Mi trovo dopo una serie di telefonate e di appuntamenti convenzionali con mio cugino Giorgio Di Segni (54). Mi racconta che la notte del 16 ottobre erano quasi tutti a casa loro e che sono scappati perché  avvertiti telefonicamente. Mi racconta ancora che a casa tutti lavorano in oggetti da regalo per aiutare il bilancio familiare. Io non ho ancora preoccupazioni finanziarie e mi astengo da qualunque lavoro che mi obbligherebbe a girare più del necessario per non morire di inedia.

Tanto io che Lionello infatti usciamo sì e no due volte alla settimana e qualche ora di sera al buio prima del coprifuoco. La mattina facciamo tutti i lavori domestici, diamo la cera, facciamo le stanze e lucidiamo tutto per bene. Nel pomeriggio leggiamo e dormiamo. Girare è sempre più pericoloso. Hanno preso Saverio Coen in Piazza Colonna, Giorgio Fano (55) e molti altri ebrei. Tutti per spiate fatte da fascisti.

Il 23 marzo vado da Gasparri a trovarlo per vedere se è possibile avere un permesso di soggiorno magari falso. Mi dice che poche ore prima un gruppo di tedeschi che transitava per via Rasella è stato colpito da bombe a mano lanciate da una finestra. Trenta soldati tedeschi sono rimasti uccisi. Tutta la zona è stata circondata e tutti gli uomini trovati nei pressi arrestati. Scappo a casa più che di corsa. Il giorno dopo il giornale pubblica che per rappresaglia i tedeschi hanno fucilato trecentoventi persone detenute per motivi politici. E' la tragedia delle Fosse Ardeatine. Trecentoventi uomini, tra i quali qualche ragazzo, sono stati prelevati a Regina Coeli dicendo loro che sarebbero stati avviati al lavoro obbligatorio. Sono stati portati con dei camions sulla Via Ardeatina, fatti inoltrare in una cava di pozzolana e mitragliati con i polsi legati uno all'altro. Mitragliati a scaglioni obbligando i nuovi scaglioni a salire sui cadaveri dei primi caduti, in modo da formare un cumulo gli uni sugli altri. Poi la grotta viene fatta saltare dopo aver cosparso i cadaveri di una sostanza adesiva per renderli in ogni caso irriconoscibili. La mente umana non potrebbe pensare nulla di più spaventoso. Il giorno appresso gira clandestina una nota approssimativa degli uccisi. Fra essi ci sono oltre centocinquanta ebrei arrestati soltanto perché tali. Di nostra conoscenza purtroppo Giorgio Fano, Saverio Coen, Alberto Di Nepi (negoziante di tappeti) e molti altri.

La città riporta una impressione di dolore e di disgusto ma non c'è nulla da fare. I tedeschi sono delle vere belve ed in questo momento sono i più forti. Non ci rimane che chiuderci ancora di più in casa.

In aprile un bombardamento aereo colpisce i sifoni dell'acqua. Nelle case quindi manca l'acqua e nelle strade vicine, specialmente nei quartieri alti ad ore prestabilite c'è una gran fila. Si fa buona la damigiana che ho comperata in settembre. Con Lionello facciamo le file e qualche volta siamo costretti ad arrivare fino ai quartieri di Prati per trovare l'acqua. Ogni giorno corvée. Pazienza ormai è primavera e gli alleati arriveranno. Se poi non dovessero arrivare più e si fermassero a Cassino, limitando così la campagna italiana, saremo costretti ad andarcene nel Nord perché  ormai le delazioni aumentano tutti i giorni ed il pericolo di essere denunciati è sempre più forte. Una taglia di tremila lire per ogni ebreo denunciato è stata promessa dai fascisti e non manca chi non vuole approfittarne. A dire il vero la maggior parte della popolazione italiana è con noi solidale e fa di tutto per aiutarci. Anche la Chiesa ha fatto moltissimo e tutti i conventi sono pienissimi di ebrei nascosti.

Neppure i conventi sono però matematicamente sicuri perché qualcuno è stato violato dai tedeschi che hanno preso anche in questi numerosi ebrei ed antifascisti.

La polizia tedesca ha i suoi uffici in Via Tasso e questo nome rimarrà sempre tristemente famoso. Per far parlare i sospetti vengono usati i più raffinati mezzi di tortura. Ai tedeschi non sono secondi i fascisti che collaborano con loro e nella città si rende tristemente famosa la cosidetta banda Kock. Una banda di malviventi al servizio del Governo Fascista che ha preso stanza in una certa Pensione Jaccherini dove gli arrestati sospetti di essere partigiani o membri di associazioni segrete o ebrei, vengono razionalmente torturati con strappo delle unghie dei piedi, percosse scientifiche per le quali sono adibiti dei boxeur di professione, frattura di ossa e via di seguito. In qualche caso anche i denti vengono strappati. Decine di persone, che l'arrivo degli alleati ha poi salvato, hanno raccontato questo e ne hanno portato le visibili prove altrimenti si potrebbe credere a storie del Medio Evo.

In maggio anche Loris Gasparri viene preso dalla suddetta banda di repressione antifascista. Sappiamo che alla pensione Jaccherini lo hanno mezzo accoppato di pugni. Gli hanno fratturato alcune costole e che giace nell'infermeria di Regina Coeli più morto che vivo. La sua presenza di spirito e l'aiuto degli amici liberi lo salveranno. Infatti si fa portare una boccetta di sangue in infermeria. Lo ingoia e naturalmente lo ributta fuori dando la sensazione di essere agli estremi. Il medico lo visita, ma mangia la foglia. Comunque non lo tradisce ed ordina che sia ricoverato in una clinica privata. Sarà così salvo.

Vicino a noi abita il Prof. Cassuto la cui figlia (56)è fidanzata con Claudio Di Segni. Andiamo qualche volta da lei a giocare a bridge. Diamo un appuntamento a zio Ugo e zia Amelia che non abbiamo più visto da settembre. Sono tutti e due molto sciupati e sono molto in pena per Gabriella, il marito e la bambina di cui non hanno mai avuto nessuna notizia. Saranno riusciti a passare le linee ? Saranno vivi? Ecco gli angosciosi e terribili interrogativi per i genitori.

La fine di maggio si avvicina e gli alleati hanno iniziato la nuova grande offensiva a Cassino. Questa volta speriamo sia quella buona. Non perdiamo nessuna trasmissione della radio inglese o di quella dell'America. Gli alleati avanzano... Travolgono tutte le difese. A Roma si vive in ansietà. Può darsi che la città non venga rìsparmiata, può darsi che gli uomini vengano presi in massa ed essere portati al Nord. Speriamo bene. Questi comunque sono pericoli comuni a tutti ed a noi non fanno molta paura. Gli alleati arrivano a Velletri e si sente tuonare il cannone. Gli alleati si sono congiunti con le truppe della Testa di ponte di Anzio. A Velletri e Valmontone si fermano forse per tirare il fiato e passa qualche giorno. Il sabato 2 giugno alla radio in casa del Prof. Cassuto sentiamo che le difese di Velletri hanno ceduto. Siamo quindi arrivati al punto culminante. Difenderanno Roma? Dovremo passare dei brutti giorni? Andiamo a casa di Tazzoli alle otto e mezza di sera e vediamo passare una fila interminabile di automezzi tedeschi. Forse è la ritirata? Non può essere, sarebbe troppo bello! Agli angoli delle strade vengono piazzati dei cannoni. Brutto segno. Viene annunciato il coprifuoco alle diciannove di sera ma sembra che nessuno ci faccia caso. La domenica mattina nulla di nuovo. I telefoni però non funzionano più e la luce elettrica neppure. Buon segno? Nel pomeriggio ricominciano a passare le truppe tedesche, non sappiamo però nulla perché non si sente la radio e non c'è telefono. La sfilata continua fino a notte. Sembrano molto stanchi però passano molto ordinati ed i cannoni sono sempre piazzati agli angoli della P.zza Ungheria. La sfilata alle nove finisce. Si sentono però ancora degli spari di rivoltella e quindi è meglio non uscire per non buscarsi qualche pallottola. Andiamo a dormire. Alle quattro mi sveglio perché  mi sembra di sentire in strada dei rumori. Domando a mamma che cosa c'è e se sono arrivati gli alleati. Mi sembra nel dormiveglia di sentire una risposta negativa e mi riaddormento sfiduciato. Alle cinque e un quarto sento di nuovo rumore. Mi vesto e con me Lionello e mamma. Scendiamo in strada, arriviamo a Piazza Ungheria ed ecco da lontano apparire dei soldati. Corriamo incontro a loro come impazziti insieme a centinaia di altre persone. Sono loro! Sono gli americani della quinta armata che avanzano in dispositivo di sicurezza. Urliamo, urliamo come pazzi, ci abbracciamo, forse piangiamo. Sono arrivati ed è questo il più bel giorno della mia vita, è la libertà dopo sei anni di oppressione e dopo nove mesi di tragedia!


NOTE
(1) Renato Di Segni (di 34 anni all'epoca dei fatti narrati): l'autore (nato a Roma il 22-10-1908,  morto a Orbetello il 15-8-1974)
(2) Arturo Schunnach (di 38 anni): cugino primo, figlio di Gemma Di Segni, sorella del padre dell'autore
(3) Lidia Cacurri (di 39 anni): moglie di Arturo Schunnach
(4) Laura e Lionello Schunnach (di 8 e 5 anni): figli di Arturo Schunnach
(5) Nora Lombroso (di 22 anni): moglie dell'autore
(6) Fabio Di Segni (di 1 anno): figlio dell'autore
(7) Giulio Lombroso e Amelia Vitta Zelman: suoceri dell'autore
(8) Noemi Pace (di 60 anni): madre dell'autore
(9) Lionello Di Segni (di 28 anni): fratello dell'autore
(10) Armando Di Segni (di 30 anni): fratello dell'autore, emigrato in Brasile dal 1940
(11) Sergio e Leo Lombroso: fratelli della moglie dell'autore
(12) Giulio Lombroso: suocero dell'autore
(13) Ugo Piperno: rappresentante, collega dell'autore
(14) Angelo Castelnuovo: titolare dell'ufficio dove lavorava l'autore
(15) Ugo Di Segni (di 54 anni): fratello del padre dell'autore
(16) Marcella Misani: cugina prima, figlia di Lidia Pace, sorella della madre dell'autore
(17) Giorgio Modigliani: marito di Marcella Misani
(18) Lidia Pace: sorella della madre dell'autore
(19) Claudio Di Segni (di 22 anni): cugino primo, figlio di Ugo Di Segni, fratello del padre dell'autore
(20) Franco Pozza: marito di Giorgia Misani
(21) Giorgia Misani: cugina prima, figlia di Lidia Pace, sorella della madre dell'autore
(22) Massimo Di Nola: collega e amico dell'autore
(23) Ruggero Di Segni (di 34 anni): cugino terzo dell'autore, figlio di Tranquillo, figlio di Salomon Leone, figlio di Angelo, fratello di Abramo, bisnonno paterno dell'autore
(24) Gabriella Di Segni (di 24 anni): cugina prima, figlia di Ugo Di Segni, fratello del padre dell'autore
(25) Gino Modigliani (di 29 anni): marito di Gabriella Di Segni
(26) Serena Modigliani (di 1 anno): figlia di Gabriella Di Segni
(27) Piero Castelnuovo: cugino secondo dell'autore, figlio di Anselmo, figlio di Flaminia Menascì, sorella di Sara,  nonna paterna dell'autore
(28) Alberto Pontecorvo: cugino primo, figlio di Pia Pace, sorella della madre dell'autore
(29) Marcello Di Nola: parente di Massimo Di Nola
(30) Roberto Di Cave: cugino secondo dell'autore, figlio di Alfonsa Castelnuovo, figlia di Flaminia Menascì, sorella di Sara, nonna paterna dell'autore
(31) Gino Pace: fratello della madre dell'autore
(32) Fernanda: moglie di Gino Pace
(33) Sergio Pace: cugino primo, figlio di Gino, fratello della madre dell'autore
(34) Mario Pace: cugino primo, figlio di Gino, fratello della madre dell'autore
(35) Amelia Schunnach (di 45 anni): cugina prima, figlia di Gemma Di Segni, sorella del padre dell'autore
(36) Lionello Alatri: negoziante di tessuti a Via degli Astalli
(37) Ugo Valabrega: genero di Alberto Pontecorvo
(38) Giorgio Cabrusà: collega e amico di Giorgio Modigliani
(39) Enrico e Paola Modigliani: figli di Marcella Misani
(40) Giulio Lombroso: suocero dell'autore
(41) gli Alleati
(42) Raul Forti: primo cugino acquisito, figlio di Costanza Lombroso, sorella del padre della moglie dell'autore
(43)è l'anno 1944
(44) Francesca Tosti: moglie di Dario Pontecorvo
(45) Dario Pontecorvo, cugino primo, figlio di Pia Pace, sorella della madre dell'autore (dal 1999 ha adottato Fabio Di Segni, figlio dell'autore, il quale ne ha assunto il cognome, oltre ad aver assunto anche il cognome della madre)
(46) Achille Volterra, amico dell'autore
(47) Pia Pace, sorella della madre dell'autore
(48) Bianca Modigliani moglie di Mario Pontecorvo
(49) Mario Pontecorvo, cugino primo dell'autore, figlio di Pia Pace, sorella della madre dell'autore
(50) Ing. Tazzoli: parente della moglie dell'autore
(51) Loris Gasparri: medico dentista, amico dell'autore
(52) Aldo Piperno (di 35 anni): marito di Leonita Di Segni, cugina prima, figlia di Leone, fratello del padre dell'autore
(53) Gastone Piperno (di 36 anni): fratello di Aldo Piperno
(54) Giorgio Di Segni (di 34 anni): cugino primo, figlio di Olga Di Segni, sorella del padre dell'autore
(55) Giorgio Fano: suocero di Paola Modigliani, figlia di Marcella Misani
(56) Luisa Cassuto (di 19 anni)

MEMORIA MUSICALE. Comune di Robbiate. Domenica 26 gennaio

QUALE MEMORIA? di Federico Bario

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“Ricordare perché questo non accada mai più”.

Frase obsoleta, fiacca.

Guardatevi attorno, ascoltate le voci che chiamano la violenza.

Sono molte.

E, nella fattispecie, gonfie di ipocrisie.

Sono quelle di coloro che per giustificare il fastidio che provano nei confronti dell'“estraneo” (l'ebreo) lo nascondono dietro pelosi distinguo, del tipo: “Sono antisionista, non antisemita... una volta all'anno anch'io celebro la Giornata della Memoria per ricordare l'Olocausto (termine inappropriato: consultare il dizionario, per favore) degli ebrei. Mai più...”

Il giorno dopo, con la coscienza immacolata, essi possono tornare ad essere quello che in realtà sovente sono: e cioè quegli antichi razzisti che si sganasciano dalle risate al monologare delirante del comico che conta venti milioni di contatti in rete: quel Dieudonné che incita alla violenza nei confronti degli ebrei, applaudito a destra e a manca.

Ospite d'onore ad uno dei suoi spettacoli, il negazionista Robert Faurisson.

“La memoria è scomoda”, ammoniva padre Camillo de Piaz quando lo incontrai a Madonna di Tirano nel 2001, dunque “stiamo assistendo a un tentativo di cancellazione totale (...) Lo sterminio è l'esempio più terrificante di un fenomeno generale che si ripropone nel tempo sotto forme e latitudini diverse: l'uomo senza memoria è uno schiavo, una sorta di oggetto manipolabile, senza identità”.

Certo: come si può evocare la Memoria il 27 gennaio ed essere poi nel corso dell'anno che resta dei volonterosi e ipocriti smemorati?"

Federico Bario

27 GENNAIO - GIORNO DELLA MEMORIA

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Sulla famiglia Milla puoi leggere su questo blog l'articolo:

L'ARRESTO E LA DEPORTAZIONE DI UNA FAMIGLIA DI EBREI A VERDERIO SUPERIORE (1943)
pubblicato il 22 marzo 2009

GRAFFITI NEI SOTTOPASSAGGI DI SENIGALLIA di Marco Bartesaghi

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Queste fotografie sono state scattate in alcuni sottopassaggi pedonali di Senigallia, il primo maggio 2013.Doppio clic per ingrandirle.








































ROBBIATE: NOTIZIE STORICHE (prima parte) di Maria Fresoli

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Il testo che segue è tratto dal libro "ROBBIATE. Viaggio tra fede e umane vicende a cura di Maria Fresoli", in parte già pubblicato su questo blog e rintracciabile sotto le etichette Robbiate e Maria Fresoli.
Il brano iniziale, fra virgolette, è stato scritto da don Alessandro Villa (1816-1889), parroco di Robbiate dal 1848, e fa parte di un opuscolo, da lui scritto, intitolato "Di Robbiate e specialmente della Beata Vergine del Pianto". M.B.


ROBBIATE: notizie storiche

 
Stemmi di Robbiate - Codice Cremosano 1600

 
“La Brianza che in altre parti brilla per avventura di più attillata eleganza, e coi limpidi laghetti, coi cristallini ruscelli, coi dolci clivi, coi simmetrici viali tappezzati di verdura, inghirlandati di fiori, sfoggia una, direi quasi, signorile e molle leggiadrìa; in questo estremo lembo che costeggia l’Adda avvallata in profonda dirupata gola, è senza meno più maestosa, più varia, più ricca di fantastiche scene. Il suolo qui ondeggia con tante ripiegature, e con sì multiforme accidenze, che ne risulta un contrapposto di gajo e di cupo, di domestico e di selvaggio, di soave e di terribile, e con ciò, quell’effetto magico che col chiaroscuro delle tinte sa dare al quadro la maestrìa del pennello. Né per godere di siffatti magnifici spettacoli t’è d’uopo arrampicarti con lena affannata sopra l’ardua vetta di qualche monte , ma dovunque tu muovi il piede, una nuova e vaga prospettiva ti dà innanzi, e talvolta si di repente, che par quasi l’improvviso calarsi di una magica cortina a’ tuoi sguardi. Che se poi appena appena ti elevi sopra una prominenza, una lieve balza, un ciglio di sporgente ripa, è un incanto che ti rapisce e t’inebria questa quasi gioconda danza di poggi ridenti, di pampinose colline che ti si affaccia, e dietro di esse i cocuzzoli pur verdeggianti di più erti monti, e dietro di loro ancora di grado in grado , a guisa di maestosa immensa cornice, la curva frastagliata cresta di più eccelse montagne, di aeree rupi; e di qua un’indefinita veduta marina, ove lo sguardo si spazia e si perde; e di là una vasta multiforme pianura e, quasi dissi, costellata di allegre ville, di paesetti ameni, di campanili scintillanti, su cui sfuggendo lo sguardo, si slancia a raggiungere nel più remoto perplesso orizzonte, lontanissime città, che ravvisi al più fitto spesseggiare come di candide strisce, di lucenti punti. Ma, quando l’occhio, invaghito di queste sì amene prospettive, si avvalla giù giù per gli opachi burroni, e per la selvaggia scoscesa sponda che ci sta ai piedi, siamo colti come da un dolce brivido in vedere in quella quasi voragine l’Adda rubesta che si agita, mugghia, spumeggia, rompendo tra gli anfratti di catolli enormi e di cornuti massi le impetuose onde, e quasi riottosa urtando il calone che la costringe a dare una parte delle sue acque mansuefatte al grandioso naviglio per cui procede con bifido corso, e l’occhio la segue via via ne’ suoi bizzarri serpeggiamenti per molti chilometri.
Spettacoli sempre vaghi: ma se poi contemplati o in qualche mattino primaverile, quando alla parte orientale vedi dapprima spuntar quasi una candida benda, e quella dilatandosi, in breve tratto farsi vermiglia, e la vermiglia traslocar tosto in dorata; poi da quel grambo di cangiante luce balzare incoronato di vivi lampi il sole che allora





".... la mondana cera
Più a suo modo tempera e suggella"
Dante Parad


ovvero negli autunnali tramonti, quando la sfera fiammante del sole, che tremolando parve indugiare sull’estremo orizzonte, calata dietro ai monti, più non lascia vedere che quasi un vasto riverbero d’un lontano immenso incendio, e intorno intorno d’infuocate frangie scintillano listate le più vicine nubi, e dietro queste, altre di purpurea luce risplendenti, ed altre ancora che a strisce, a svolazzi, a pennellate screziando il cielo con continue metamorfosi in mille guise si cangiano d’iridi meravigliose: oh allora l’estatico spettatore non può a meno d’inalzare un inno a Lui che 





"Quanto per mente o per occhio si gira
Con tanto ordine fè, ch'esser non puote
senza gustar di Lui chi ciò rimira"
Dante Parad


In mezzo a sì magnifico pompeggiar di natura e si può dire al centro ed allo sbocco di questi naturali teatri, sotto la più benigna guardatura di cielo, in  ubertoso suolo sta il nostro Robbiate. Ma perché troppo appiccicato alle faldi del suo Monterobbio, e quasi appiattato all’ombra de’suoi balsamici vigneti, perciò è forse de’ meno vistosi e spiccanti tra i villaggi del dintorno.
Se però possiamo a buon diritto esaltare la privilegiata ubicazione del nostro paesetto, e con essa parimenti la vivace e insieme dolce indole dei suoi svegli ed attivi abitanti; non così possiamo farci belli di avite glorie, né accattar vanti tra i fasti della storia. Non giova farsi illusione; povera e piena d’incertezze e di lacune è la nostra cronaca paesana. Non mancarono certo nel nostro paesetto illustri famiglie: e fra le altre primeggia ne’più antichi nostri documenti e nelle nostre più rilevanti fondazioni il nome di una che a’ nostri tempi vediam ritallire più che mai vigorosa, e l’antico stemma fregiare di nuovi militari onori. Contuttociò i nostri annali non danno che frammenti scuciti e cenni isolati, ben lungi dal fornir materia ad un’attendibile monografia. Non sappiamo pure se Robbiate abbia dato il nome al felice colle su cui si addossa, o se lo abbia da esso ricevuto, come sembra più verosimile. Sopra il suo vertice troviamo tracce di vetusto fabbricato; ma nessuno sa leggere in quei ruderi se ivi sorgesse qualche asilo consacrato a pie meditazioni, ovvero, come sembra indicare il nome del sottoposto ispido bosco (1), qualche castellaccio o propugnacolo nelle ringhiose fazioni del medio-evo. – Aneddoti popolari e fantastici, racconti di orge feudali nelle ampie sale a giganteschi focolari, cozzi di guerrieri tremendi in armature di ferro, scorazzanti sui bruni palafreni, e nelle notturne danze i trabocchetti che allo scatto di recondite suste ingojavano e cincischiavano con roteanti e affilate lame giù per le orrende cisterne le miserande vittime di feroci odii e di sfrenate libidini; e dagli antri sotterranei le udite lugubri strida (erano le leggende che fanciulli con attonite orecchie udimmo nelle veglie invernali) ci fanno intravedere che qui pure si fecero sentire i suprusi, le tristizie e le prepotenze dell’età di ferro. Ma nulla di determinato e di preciso, e sempre fra le scompigliate fila di vaghe tradizioni, il tessuto di romantiche fole. A vero dire, le nostre tradizioni sono tronche ed incerte, e per poco che ci facciamo addietro, per noi ci troviamo a tempi antistorici, chè sono dall’epoca del glorioso San Carlo le nostre memorie ci offrono alcun che di certo e di preciso.
Da quell’epoca infatti data la fondazione della nostra Parochia, quando Robbiate con  Terzuolo, altra terricciuola che, di breve tratto staccata, gli sta a mezzogiorno, segregandosi dal vicino Paderno, si costituì in una sola indipendente Parochia, trasformando in Chiesa Parochiale un antico Oratorio dedicato a s. Alessandro M. che perciò fu assunto come titolare".
(2)


DAL X AL XV SECOLO
Si trova per la prima volta il nome di Robbiate in una pergamena con più di mille anni e precisamente dell’anno 966, custodita all’Archivio di Stato di Milano. Questo prezioso manoscritto tratta di un contratto di permuta tra Adalgiso, custode e presbitero della Chiesa plebana di Brivio e Arioaldo, abitante nel “vico et fundo Robiate”(3)




 
Particolare della pergamena dell'anno 966 custodita all'Archivio di Stato di Milano. In evidenza il nome di Robbiatee denominazione di terreni


Adalgiso da in permuta ad Arioaldo una casa e una vigna detta “Vigna Chiusa”, ricevendone in cambio un’altra casa e due campi chiamati “La Nava” e “Il Longo”.

Analizzando la pergamena, è con vivo interesse che si nota come la denominazione del paese e dei terreni sia rimasta inalterata sino ai giorni nostri. Ed avendo ormai sfiorato l’argomento dei toponomi, è bene approfondire un po’ il discorso, nel limite del possibile, il significato del nome “Robbiate”.

E’ opinione comune che esso derivi da “Orobi”, antica popolazione preromana, stanziatasi su quella fascia di territorio che andava dal Ticino all’Oglio; ma per ulteriori particolari ci affidiamo alle versioni di esperti in toponomastica: Gerhard Rohlfs, nel suo “Studien zur Romanischen Namenkude”, lo fa derivare dal gentilizio romano “Rubius”; Dante Olivieri invece, nel “Dizionario di Toponomastica Lombarda”, vuole che il paese abbia preso il nome dal Monterobbio che lo sovrasta e che, sempre secondo l’Olivieri, avrebbe il significato di “Monte Rubeo” cioè “rosso”. Quest’ultima definizione  sembra essere la più attendibile, se si considera il colore del terreno argilloso della collina; non solo, ma in alcuni manoscritti antichi è citata proprio come “mons rubeus”.

Nel 966 Robbiate faceva parte con Brivio e tutta quanta la sua Pieve alla corte regia d’Almenno che, a sua volta, era sotto il dominio di Attone conte di Lecco. Da due secoli era finita la Dominazione Longobarda e da uno quella Franca e, in tutta la Brianza, erano sorti in quel periodo numerosi castelli, posti a difesa contro le scorrerie dei popoli barbari, in special modo gli Ungari. Anche Robbiate, a scopo difensivo e in posizione strategica, ebbe sulla cima del Monterobbio una fortezza. Giovanni Dozio nel suo “Cartolario Briantino” asserisce che, in quell’epoca, il castello era di proprietà di certo Radaldo: questo nome infatti compare nella pergamena quale proprietario di beni confinanti.

Robbiate era dunque un “vicus et fundus”, cioè un grosso appezzamento di terreno con l’insediamento di nuclei abitativi, a volte fortificati, facente parte della Pieve di Brivio: a sua volta la Pieve era l’insieme di un determinato distretto rurale dove aveva sede una chiesa battesimale.
In quel periodo, la sola occupazione era l’attività agricola e i fondi erano lavorati dai fittabili che vivevano in casupole, con tetti in paglia, attorno alla “domus”(casa del padrone), e coltivavano la vite, la segale e il miglio. Circa le origini degli abitanti si può affermare che la loro discendenza era legata alla stirpe longobarda e, i nomi dei personaggi che compaiono nell’atto di permuta, come Arioaldo, Redaldo, Adalgiso, Sandolfo ecc. sono di chiara derivanza germanica.

A portarci nell XI secolo è un’altra pergamena datata 30 giugno 1018; si tratta ancora di una permuta, stipulata nel castello di Brivio, tra Olderico, sacerdote della chiesa plebana che cambia alcuni beni per conto della chiesa di S. Maria di Robbiate e Meleso di Paderno. L’atto fu rogato alla presenza di un messo d’Ariberto, potente vescovo di Milano e sottoscritto da “Bergumperti e Teudoaldi de vico Robiate” come testimoni (4). Gli eventi più significativi di quel secolo iniziarono proprio nell’anno 1018, con l’elezione di Ariberto d’Intimiano ad arcivescovo che, spentasi la discendenza dei conti di Lecco, prese nelle mani, oltre al potere ecclesiastico, anche quello politico, infeudando gran parte del territorio diocesano. Per capire “la vocazione” di taluni prelati del tempo, conviene rifarsi alle descrizioni dei costumi del clero, nel secolo undecimo, che il Beato Andrea da Vallombrosa ci ha lasciato:

“In quei giorni il ministero ecclesiastico era da così gravi errori sedotto ch’era una eccezione il prelato che risiedesse nella sede stabilita. Alcuni, infatti, vagavano qua e là con cani e uccelli da richiamo e si occupavano solo di cacce proibite. Altri frequentavano le taverne o erano cattivi fattori o empi usurai; e pressochè tutti passavano ignomigniosamente la vita con pubbliche mogli o concubine; tutti cercavano il proprio tornaconto e non la gloria di Cristo; tutti, cosa che senza lagrime non può essere detta né ascoltata, erano fradici di Simonia. Infatti non si poteva ottenere alcuna carica - dalla più bassa alla più alta - se non a contanti e nello stesso modo in cui si trattino le pecore al mercato. E il male peggiore – tra tutti i mali – era che non si trovava chi alzasse una voce di protesta e si opponesse a tanta iniquità, giacchè coloro ch’erano stimati pastori d’anime, essi stessi erano lupi rapaci”.
Non si sa con certezza se Robbiate fu sotto il diretto dominio di Ariberto, ma la vicinanza del nostro paese con Merate, sicuro feudo del battagliero vescovo, lo fa supporre. Tuttavia Robbiate fu sicuramente dominato dal potere ecclesiastico, infatti più avanti, in una bolla del 1148, il pontefice Eugenio III, conferma il possesso del “Castrum de Robiate cum pertinentis suis” (castello di Robbiate e suo territorio) al Monastero Maggiore di Milano (5).

 
Bolla pontificia del 1148 che conferma il posseso del castello di Robbiate al Monastero Maggiore di Milano.



“Sulla cima dell’Orobio, che a levante è lambito dall’Adda, fu già in andati tempi un castello, di cui restano ancora all’ingiro i fondamenti: è da credere edificato un de’ primi del medio evo, essendo in sito giocondato da tenta limpidezza di cielo e con vaghi prospetti offerti qua e là dai piani a mezzodì e dalle colline e dall’adda e dai monti più lontani: nel 1148 il monastero maggiore di S. Maurizio possedevalo con annessi non so quali poderi” (6).

Ma ciò rendeva problematiche le condizioni di vita degli abitanti dei villaggi, era che queste proprietà ecclesiali venivano solitamente subinfeudate a potenti famigli: nel caso di Robbiate agli Ajroldi.
Erano dunque i poveri contadini sottomessi al signorotto del paese che esercitava ogni sorta di soprusi, pretendendo l’assoluta obbedienza in cambio di un pezzetto di terra da coltivare. Oltre al pagamento d’ingenti tasse, egli pretendeva la consegna dei raccolti e tutto ciò che serviva alla sua casa; in più aveva la facoltà di applicare la giustizia, di emanare bandi, e il diritto delle armi; ma la pretesa più ignobile era lo “jus primae noctis”: a quel tempo messo in atto sicuramente anche a Robbiate.

La povera gente sopportava tutto ciò con umiltà e rassegnazione, consapevole che una ribellione sarebbe solo servita a scatenare crudeli rappresaglie: troppe erano le bocche da sfamare, e quel poco di terra assegnatole, in cambio dei più umili servigi era l’unica fonte di sostentamento. Se anche lo spirito di rivolta affiorava giustamente negli animi di questi poveretti, l’idea di essere privati anche di quel poco, bastava a reprimere ogni tentativo d’opposizione (7).

“ Ma la nostra ribellione in che consisteva? Nel domandare che le mogli e le figlie fossero nostre, né obbligate di oscene primizie al feudatario; che potessimo macinare il grano e cuocere il pane anche altrove che al molino e al forno del padrone, il quale esigeva una tassa esuberant; che potessimo scacciare le lepri e i conigli dal seminato”
Terminato il periodo del potere ecclesiastico, venne Federico Barbarossa a seminare distruzione e a imporre altri gravosi tributi; ma quest’oppressione portò il popolo alla riscossa e, nell’abbazia di Pontida, si giurò la Lega Lombarda che sconfisse Federico a Legnano, assicurando la libertà ai Comuni Lombardi.

Nell’anno 1348 un tal Pietro da Robbiate fece parte del consiglio della Provvisioni, che approvò gli “Statuti di Milano” rimasti in vigore fino al 1700. Gli statuti erano un elenco di norme legislative che pesavano, come sempre, sui poveri e favorivano naturalmente i potenti.
Più tardi ci furono i Torriani contro i Visconti, i Guelfi contro i Ghibellini, ma il diritto era sempre dalla parte del più forte, finchè i Brianzoli, stanchi di quelle continue lotte, demolirono numerosi castelli, tra i quali quelli di Merate, Sabbioncello e forse (il “forse” è d’obbligo poiché nessuna notizia è pervenuta in proposito) anche quello di Robbiate.

Ma nonostante la distruzione di quei rifugi di prepotenza, il diritto d’armi e di giudizio rimase saldamente nelle mani del feudatario. Tuttavia nei villaggi si ebbe un notevole sviluppo edilizio: le case si costruivano in pietre e mattoni con copertura in coppi, l’una accanto all’altra, il più delle volte attorno ad un pozzo, formando così le prime “corti” nelle quali abitavano massari e pigionanti. Queste masserie erano di propietà dei benestanti che v’insediavano più nuclei familiari imparentati tra di loro, fino a raggiungere 30 e più persone, ai quali davano in dotazione dalle 150 alle 200 pertiche da coltivare: naturalmente a vanga e zappa.

 
Antico edificio perimetrale del cortile "La Badalasca"


 
"La Badalasca" - antichi elementi decorativi



Così tra una guerra e l’altra, si giunge all’anno 1374, ed è proprio in quest’anno che i Visconti concedono finalmente a tutti gli abitanti di Robbiate (professi ghibellini), ogni sorta di immunità e privilegi, per essere stato il popolo schierato dalla loro parte nella guerra contro i Torriani. Questi privilegi furono confermati, nuovamente, nel 1450 da Francesco Sforza e nel 1467 dalla moglie Bianca Maria, subentratagli al potere dopo la sua morte. Queste ulteriori riconferme, erano dovute al coraggio dimostrato dai Brianzoli nelle lotte contro i Veneziani, aspramente combattute in tutti i territori a ridosso dell’Adda, si legge infatti nel bando (8):

“...nobiles, massaris, fictabilibus, reddituaris, molendinaris, mezzadris, colonis et laboratoribus tam praesentibus quam futuribus et dictorum bonorum ut supra immunes et exsemptos ab omnibus et singulis, condicijs, taxsis, dacijs, impositionibus et oneribus… Homines ipsos in guerra dominationis Venetorum, contra comunitatem Mediolani, pro augmento status nostri, fuisse fideles et obedientes”.

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 NOTE
(1) Si chiama il bosco del “Castellazzo”
(2) Don Alessandro Villa, "Di Robbiate e specialmente della beata vergine del Pianto", pag 11-17
(3) Archivio di Stato di Milano (A.S.M.) - fondo Ajroldi, cart.4 fasc. 5
(4) G. Dozio, "Il cartolario Brigantino" pag. 57-58
(5) Vedasi la bolla presso A. Muratori
(6) G. Dozio "Brivio e sua Pieve" pag. 184
(7) C. Cantù, "Brianza Storie Minori"
(8) A.S.M. - Fondo Ajroldi

CI VUOLE O NO L'ACCENTO? GRAVE O ACUTO? MA QUAL È QUELLO GRAVE? di Marco Bartesaghi e ...

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Se aveste un amico appassionato di grammatica italiana, potrebbe capitare anche a voi, come è capitato a me, di passare qualche mezz’ora del primo dell’anno a discutere delle regole per segnare gli accenti sulle parole (la sua passione nella passione) e trovare, alla fine, che l’esperienza, oltreché anomala, sia stata divertente, e forse utile.
Perché proprio gli accenti? Perché nella scuola, secondo lui, l’argomento è tradizionalmente trascurato e viene perlopiù risolto insegnando ad apporre una piccola, ibrida mezzaluna o “scodellina” sulla vocale da accentare.
Basterebbe invece, sempre secondo lui, trasmettere alcune, poche e chiare regole in grado di risolvere tutti i casi che si possono incontrare durante la scrittura.
Ora, da alunno che ha ascoltato la lezione, cercherò di ripeterla con precisione, chiedendo solo un po’ di pazienza, ma non troppa….
Il problema si pone quando è obbligatorio indicare l’accento grafico (per es. nelle parole tronche con due o più sillabe: città, giovedì, lassù, parlò, perché…). L’accento può essere GRAVE o ACUTO e bisogna sapere quale usare.

ACCENTO GRAVE: indica un timbro/suono aperto della vocale su cui cade ed è inclinato da sinistra verso il basso:

à
ACCENTO ACUTO: indica un timbro/suono chiuso della vocale su cui cade ed è inclinato da destra verso il basso:

é

̕1) La vocale a ha sempre suono aperto e quindi vuole sempre l’accento grave: città, papà…
 

2) La vocale i e la vocale u hanno sempre suono chiuso e quindi vorrebbero sempre, a rigore, l’accento acuto, ma solo poche case editrici lo utilizzano, mentre è entrato nell’uso anche per queste vocali l’accento grave (non essendovi possibilità di equivoco fra suono aperto e chiuso): giovedì, partì… lassù, virtù… 
 

3) La vocale o può avere suono aperto e quindi volere l’accento grave oppure suono chiuso e quindi volere l’accento acuto. Tuttavia, per nostra… fortuna, in finale di parola, nei casi in cui l’accento grafico è obbligatorio, il suono è sempre aperto e dunque l’accento è sempre grave: parlò, rococò…
 

4) La vocale e può avere suono aperto e quindi volere l’accento grave oppure suono chiuso e quindi volere l’accento acuto. Tuttavia, per nostra fortuna o… quasi, in finale di parola, nei casi in cui l’accento grafico è obbligatorio, il suono è… quasi sempre chiuso e dunque l’accento è… quasi sempre acuto: né, perché…  Vi sono solo poche eccezioni, parole con la e finale aperta e dunque accento grave: è (voce del verbo essere), cioè, tè, caffè, piè (di pagina)…
 

Il discorso è stato lungo, ma si sarà capito che la conclusione pratica è breve, e semplice, come dice il mio amico, e io con lui, e potrebbe essere insegnata sin dalle scuole elementari, eliminando la “scodellina” di cui sopra, comoda nella scrittura a mano, ma… inesistente in grammatica, e nei nostri computer. In un’ora di lezione, con esempi più numerosi e più divertenti dei miei, anche i bambini potrebbero imparare e ricordare per sempre una regola molto logica e molto facile.
 

RIASSUMENDO
A fine parola, quando è obbligatorio, sulle vocali a, i, u, o  si deve mettere l’accento grave: città, giovedì, lassù, parlò…
 

A fine parola, quando è obbligatorio, sulla vocale e si deve mettere l’accento acuto: né, perché…, tranne in poche eccezioni, che vogliono l’accento grave: è, cioè, tè, caffè, piè…
Più breve di così…





P.S. Terminato l'articolo, l'ho fatto leggere all'anonimo amico, affinché lo correggesse e sistemasse. Il risultato che avete letto è più farina del suo sacco che del mio. M.B.

COSE E PERSONE IN DUE VECCHIE IMMAGINI DELLA "VIA LARGA" di Marco Bartesaghi

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Difficilmente un’immagine d’epoca ha niente da dirci.
Anche se misera di dettagli, piccola, malfatta e di difficile datazione, ci può raccontare qualche particolare sul luogo che rappresenta: qualcosa che c’era e non c’è più o, al contrario, qualcosa che vediamo quotidianamente  e che, invece, non c’era ancora.
Se nella fotografia ci sono persone, possiamo notare come si vestivano o si coprivano il capo; come si pettinavano o truccavano e così via .
Se ci va molto bene, se, ad esempio, qualcuno ha avuto, a suo tempo, l’idea di scrivere i nomi, o abbiamo la fortuna di conoscere chi ricorda i volti, delle persone rappresentate riusciamo anche a conoscere le identità. Ma questo è ben difficile … anche se qualche volta ….
 
 ***

Le due immagini che vi voglio presentare non sono del tipo  sopra descritto. Sono  due belle immagini della via Larga, oggi via Roma, di Verderio Inferiore:  ricche di dettagli, molto profonde e popolate di persone.
Sono state scattate più o meno dalla stessa posizione, ma in tempi diversi: la foto n.1, più vecchia,  risale a prima della II guerra mondiale. La  n.2. è più recente, ma non di molto: una cartolina con questa immagine, pubblicata sul libro di Rino Tinelli “Un saluto da Trezzo e dintorni”, è stata spedita nel novembre del 1950.
 

 
Fotografia n.1


 
Fotografia n.2




Osserviamole e confrontiamole, fra loro e con altre fotografie, in particolare con una a colori (n.3) scattata dallo stesso punto.

 
Fotografia n.3



LE COSE
 






Nell'immagine n.1, in primo piano, sulla destra, all’imbocco del viale d’ingresso alla “palasina” - come era comunemente conosciuta la villa oggi dei signori Mattavelli, all’inizio del novecento dei Sottocornola – si nota un muro a merlatura ghibellina, cioè a coda di rondine. Già nella fotografia n.2 questo particolare si era  perso.




Il lato sinistro della strada, per qualche decina di metri è  uguale nelle tre fotografie. Anche il lato destro, sostanzialmente, se si tralasciano alcuni elementi “nuovi”: finestre, semafori. 


Particolare foto n.1




Tornando al lato sinistro, in entrambe le vecchie foto si nota un muro di cinta che delimitava un area verde, coltivata a vigna e ad alberi da frutta, che si vede in primo piano nell’immagine n.4.




Fotografia n.4
Quest’area in seguito è stata ampiamente edificata. Se nel farlo si fosse usata un po’ più di saggezza, la chiesa parrocchiale potrebbe avere un sagrato meno angusto di quello che ha.
Un grande albero, presente nelle due vecchie immagini, occupava l’area dove oggi è insediato il monumento ai caduti. 



Particolare foto n.2




Assente nella più vecchia, nell’immagine più recente (foto n.2) si intravvede  una torre: era l’acquedotto, poi sostituito da un manufatto in cemento armato, abbattuto recentemente.





LE PERSONE
 

In entrambe le fotografie, la scena è occupata da molte persone , alcune delle quali sanno di essere fotografate e forse sono convenute apposta per farsi riprendere.

Particolare foto n.1






Particolare foto n.1



La foto n.1 è più vivace e movimentata. Un gruppo di persone in posa in primo piano, sta per essere raggiunto da una ragazza, o una giovane donna, che avanza velocemente sulla sinistra per non mancare all’appuntamento.

Il resto della strada, fino all’imbocco di via Tre Re, è popolato di gente indifferente all’evento fotografia, che anzi si muove in senso opposto, come alcune donne sulla destra che procedono tenendosi a “braccetto”. Forse è un azzardo dirlo, ma sembrerebbe trattarsi di un giorno  festivo, una domenica.

Le donne a "braccetto" in un particolare della foto n.1

L'immagine n. 2 è meno vivace. Due sole persone in primo piano sulla sinistra e una sulla destra intenta alla pulizia della strada.
Arretrato di una quindicina di metri, un gruppo di persone che sa di essere ripreso e rivolge lo sguardo all'obiettivo. Il resto della strada è vuoto.






LE IDENTITÀ DI ALCUNI PERSONAGGI
 

Per ragioni che non sto a raccontare,  ho fatto avere  le due fotografie all'architetto Giancarlo Consonni che, dopo averle viste mi ha scritto questa mail:
 

“Grazie per le fotografie, sono bellissime. Un paio mi sono poi  particolarmente care.
In quella più antica (foto n.1)- di prima della guerra -compare mio nonno, Carlo Consonni (che aveva appena aperto, nel 1926,  l'Osteria San Giuseppe e che morirà giovane, nel 1941) e Genoveffa Consonni in Barelli (la mamma di Suor Carla, a cui hai dedicato un servizio  sul tuo blog).




Carlo Consonni e Genoveffa Consonni in Barelli

 


Nell'altra (foto n.2), nel punto in cui nella foto precedente compariva mio nonno, c'è mia nonna Emilia, detta Milina, e mio zio Pasquale Barelli (detto Melònia, padre di Suor Carla).
 

 
Emilia, detta Milina, e Pasquale Barelli


In mezzo alla via Roma le due donne che conversano sono mia mamma (Bianca Burchietti, col vestito bianco) e mia zia Maria (sposata a Marino Consonni, macellaio)”.



 
Bianca Burchietti, a sinistra, e "zia" Maria


Le informazioni di Giancarlo Consonni sono  preziose perché arricchiscono di molto il valore documentario delle due immagini. I personaggi riconosciuti non sono tutti quelli che appaiono, ma sono i principali.
 

Anche degli altri, magari, si riuscirà a risalire all'identità: se qualcuno dovesse riconoscerli, per favore, me lo faccia sapere.

Marco Bartesaghi

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