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BEATRICE FUMAGALLI E GIGLIOLA NEGRI, DECORATRICI E MOLTO ALTRO di Marco Bartesaghi

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Beatrice Fumagalli








Quando nel 2004 sono iniziati i lavori di ristrutturazione dell’Aia di Verderio, fatta costruire nel 1857 dalla famiglia Confalonieri, a Beatrice Fumagalli si è presentata l’opportunità non solo di entrare nell’edificio, per esplorare il quale, quando era abbandonato e sommerso dalla vegetazione, era stata tentata più volte di scavalcare il muro di cinta, ma, addirittura, di concorrere alla sua rinascita.






Da quasi dieci anni lei e Gigliola Negri erano decoratrici professioniste, e avevano svolto anche lavori di una certa rilevanza, sentendosi pertanto pronte anche ad affrontare le decorazione dell’aia: Dovevano solo vincere le proprie titubanze, farsi avanti e proporsi ai signori Verderio, i proprietari.
Hanno superato ogni indugio quando si sono accorte, osservando dall’esterno, che coloro che stavano facendo le prove per poter ricevere l’incarico non sarebbero stati in grado, a loro giudizio, di affrontarlo con competenza. La stessa opinione a cui erano giunti i proprietari. Questi, visti i curriculum e valutate le proposte di Beatrice e Gigliola, hanno deciso di affidarsi a loro.



L'antica aia a destra e l'edificio nuovo a sinistra

I lavori di decorazione sono durati 8 mesi, fra il 2005 e il 2006, e sono stati portati a termine un paio di settimane prima dell’inaugurazione (giugno 2006).
Hanno riguardato sia gli interni che gli esterni, sia l’edificio vecchio che quello nuovo. Per gli interni, non dovendo recuperare alcun disegno primitivo, la libertà d’intervento è stata molto ampia e le decoratrici hanno potuto accontentare le esigenze e i gusti della committenza.



Due bozzetti per la decorazione interna.

Una parte di decorazione finita.

Meno libertà per le decorazioni esterne. Per la nuova costruzione hanno dovuto scegliere disegni e colori tali da farle assumere un aspetto più defilato rispetto all’edificio antico. Per quest’ultimo hanno invece ricercato ed ottenuto, la massima fedeltà possibile ai disegni e ai colori originali.

La soluzione decorativa adottata per l'edificio nuovo
Un rammarico, condiviso con il proprietario, è quello di non aver potuto conservare l’antico strato di rivestimento e utilizzare la tecnica a graffito  della decorazione originaria. Quando Beatrice e Gigliola hanno assunto l’incarico, i muri esterni erano già stati ricoperti con uno strato d’intonaco su cui loro hanno poi dovuto lavorare. Chi le aveva  precedute non era andato sufficientemente a fondo con la scrostatura, non accorgendosi che lo strato più profondo d’intonaco, risalente alla costruzione dell’edificio, era stato realizzato con una tecnica particolare: il Tadelakt.
Il Tadelakt è un rivestimento murale a base di calce, sabbia e saponaria, tipico del Marocco, dove viene tradizionalmente utilizzato negli hamman e nei giardini dei palazzi.
Raggiungendo con la scrostatura questo strato di rivestimento, Beatrice e Gigliola hanno trovato le tracce che poi hanno permesso di riprodurre i disegni e i colori originali. Non è invece stata ripresa la tecnica del graffito.


Gigliola impegnata a dipingere le due preime stelle della facciata. Sotto la finestra un frammento della decorazione originale.
Una particolarità della costruzione ha reso difficile la riproduzione esatta del disegno geometrico del lato sud e dei lati est e ovest. L'altezza della facciata esposta a nord  è infatti di 14 cm inferiore a quella a sud. È stato pertanto necessario “correggere” il disegno recuperando circa 1 cm per ogni stella riprodotta sulle pareti laterali, in modo da impedire all'occhio dell'osservatore di accorgersi dell'incongruenza geometrica.



I disegni sui muri sono stati riportati con la tecnica dello spolvero, che consiste nel preparare i disegni, a dimensione reale, su fogli di carta, bucare fittamente i contorni per mezzo di una punta, appoggiare i fogli sulla parete e tamponare con la polvere di carboncino in modo da lasciare una traccia di puntini neri in corrispondenza del disegno.


Un bozzetto di putto sopra una porta
 
La parete preparata a ricevere lo "spolvero" del  putto
Il dipinto finito
Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri sono  nate (rispettivamente nel 1967 e nel 1969) a Verderio (inferiore), dove hanno vissuto per molti anni.
Hanno frequentato l'Accademia di Belle Arti di Brera, dove Beatrice ha studiato scenografia e Gigliola decorazione.
È Gigliola che inizia per prima a lavorare come decoratrice, facendo esperienza di bottega con diversi artigiani Milanesi. All'inizio non si tratta di un lavoro a tempo pieno, in quanto per alcune ore  lavora anche nello studio di architettura d'ambiente di Annamaria Scaravella.
Beatrice si avvicina più tardi alla professione. Dopo il diploma lavora presso uno studio di architettura dove svolge il compito di “tiralinee” (espressione sua). Insegna però anche educazione artistica a Lissone, in corsi per ragazzi borderline .
Alla decorazione si accosta per gradi, prima collaborando saltuariamente con Gigliola, poi iscrivendosi singolarmente come artigiana. Nel 1996 diventano socie di un'unica società artigiana.
I loro committenti sono  soprattutto privati ma, sporadicamente, ricevono commissioni anche da parrocchie o enti pubblici.
I loro lavori più impegnativi sono stati quelli presso il bar ristorante “Le sale del Doge”, a Bergamo , e l'Aia di Verderio.





ALTRI LAVORI REALIZZATI A VERDERIO E NELLE VICINANZE


La decorazione dell'Aia è stato l'ultimo lavoro che Beatrice e Gigliola hanno realizzato a Verderio.
 

Il primo lo hanno fatto invece presso la ex-casa di Gigliola, in via Tre Re. 

La casa di via Tre Re prima delle decorazioni
Una porzione di edificio ad angolo, sul quale hanno decorato lo spigolo a finto bugnato; contornato le finestre con cornici neoclassiche, dipinto un marcapiano e una cornice di sottotetto.

La casa di via Tre Re dopo l'intervento decorativo.

Per convincere la commissione edilizia a concedere il permesso, dopo una prima bocciatura hanno presentato in comune la documentazione fotografica della presenza di tracce di decorazioni su diverse pareti di edifici di via Tre Re.


Il risultato ottenuto in questa prima opera, ha fatto da volano alla successiva. Dal comune di Verderio Inferiore hanno ricevuto l'incarico di rifare la facciata sud della “curt növa”, in Piazza Annoni.

La facciata sud della "curt nova"

Nella parte bassa della parete, fino alla base della nicchia della Madonna, hanno realizzato un finto bugnato. Hanno ripristinato la cornice intorno alla nicchia stessa e dipinto nuove cornici intorno alle finestre dei piani superiori.



La facciata sud di "curt nova"
A finto bugnato hanno decorato gli spigoli laterali mentre un cornicione dipinto contorna le falde del tetto. Queste sono quattro essendo la facciata divisa in due parti,  quella a sinistra più bassa e di ampiezza pari a circa un terzo dell'altra. Ciascuna ricoperta con un tetto a due falde.
Sotto al colmo del tetto più ampio è dipinto lo stemma comunale di Verderio Inferiore.

Hanno inoltre ricostruito una meridiana di cui rimanevano solo poche tracce.





Al cimitero di Verderio Inferiore Beatrice e Gigliola hanno restaurato la cappella della famiglia Annoni.



La cappella Annoni prima delle decorazioni
Hanno dipinto una Madonna, nello spazio già in passato occupato dall’immagine di Maria, e  disegnato lo stemma della famiglia.




Un ultimo intervento a Verderio, piccolo ma significativo, è l'insegna in ferro del negozio di tappezzeria in via sant'Ambrogio.






Ad Aicurzio, per rimanere nelle vicinanze, si possono visitare altre due loro opere. La prima, sul piazzale della chiesa, commissionata loro dalla parrocchia, ha riguardato la cappella della Madonna Addolorata. Nelle due fotografie che seguono, la cappella prima e  dopo il loro intervento.








Sempre ad Aicurzio, su incarico della Proloco, hanno dipinto una Madonna con Bambino.





 A Porto d'Adda, un altro loro “piccolo” lavoro: l'insegna della trattoria Tip Tap.



UN NUOVO LAVORO, ANCORA AL SERVIZIO DELLA "BELLEZZA"

Per 10 - 11 anni Beatrice e Gigliola hanno lavorato  a tempo pieno come decoratrici. Non potendo descrivere tutti i loro lavori, vi propongo, nell'articolo successivo una galleria fotografica di loro opere.
Dal 2007, pur non abbandonando del tutto la decorazione, dedicano la maggior parte del loro tempo ad una nuova attività, sempre legata, mi dice Beatrice, alla bellezza e all'armonia: hanno aperto un negozio di fiori.
Per imparare il mestiere hanno frequentato dei corsi presso la ASSOFIORISTI di Milano, e frequentato il vivaio di un amico.
Il  negozio, da loro stesse arredato, si chiama “Fiori e Colori” e si trova a Bernareggio in via Prinetti 56 (telefono 039.6902679).



UNA NUOVA IMPRESA: LA RIVISTA “PEGGY JOURNAL”
 

Da pochi giorni è in edicola la nuova rivista “Peggy Journal”, prodotta dalla casa editrice indipendente FIORIECOLORI. Una nuova idea di Beatrice e Gigliola e del fratello di quest'ultima, Gianmario. Loro infatti sono gli editori.
 




La rivista si occupa di “handmade” (fatto a mano), dando spunti di cucina, arredo, consigli per lo shopping e tanto altro ancora.

Marco Bartesaghi 


ATTENZIONE!! Per l'eccessiva lunghezza degli articoli di questo aggiornamento, la galleria fotografica dei lavori di Beatrice e Gigliola non ha trovato posto in "prima pagina". Per "visitarla" cliccare su "Post più vecchi".

FAR RINASCERE L'AIA: "UN'IMPRESA AFFASCINANTE". Intervista ad Angelo Verderio di Marco Bartesaghi

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Un'“aia”, secondo il dizionario Zingarelli, è “un'area di terreno sodo o pavimentato, contigua ai fabbricati rurali, destinata ad accogliere i prodotti da essicare, trebbiare, cernere, …”.


Quella fatta costruire dal conte Luigi Confalonieri Strattmann a Verderio, nel 1857, e progettata dall'architetto Besia, è un quadrato di lastre di granito, rialzato di un paio di metri rispetto al terreno. Le piastre poggiano infatti su pilastri di mattoni pieni, poggianti a loro volta su muri in pietra.

Le lastre di granito di Montorfano dell'Aia di Verderio



Il sotterraneo, è sottoposto al passaggio dell'aria, poiché è aperto verso l'esterno per tutta la lunghezza di tre dei suoi lati. La circolazione dell'aria aveva il compito di contribuire, con i raggi del sole, all'essicazione delle granaglie esposte sul piano di granito, accorciando i tempi e aumentando così l'efficienza dell'impianto rispetto alle aie tradizionali poste a livello del terreno.

Pilastri di mattoni, su muri di sasso, su cui poggia l'aia




La scala di accesso al sotterraneo dell'aia, di recente costruzione, e le aperture originali



Adiacente al lato nord dell'aia, un elegante edificio a portico fungeva da luogo passaggio per le messi da esporre al sole.

Tutta l'area era cinta da un muro, aperto, in un angolo del lato est, da un cancello.

Nel 1888 l'aia, insieme alla gran parte della proprietà Confalonieri in territorio di Verderio, fu acquistata dalla famiglia Gnecchi Ruscone. Con la nuova proprietà continuò per decenni a svolgere il suo compito al servizio dell'agricoltura, per poi essere trasformata in abitazione ed infine abbandonata..

Nel 1980 è stata venduta alla famiglia Sala di Monza.

Nel 1996, grazie a (“o per colpa di”: ci sono due scuole di pensiero) una segnalazione all'Ufficio Beni Ambientali,  fatta da Sinistra per Verderio, gruppo di minoranza nel Consiglio Comunale di Verderio Superiore, l'edificio è stato sottoposto a vincolo insieme al resto del territorio comunale.

Acquistata, nei primi anni del nuovo secolo, dalla ditta COVERD dei signori Angelo Verderio e Ornella Carravieri, dopo importanti e attenti lavori di restauro è tornata a nuova vita.

Sul sito di COVERD ( http://www.coverd.it/index.php ), cliccando prima su "pubblicazioni", e poi sulla voce "Aia: la storia", trovate un libretto in PDF intitolato: "Aia. L'antico e il nuovo in bioedilizia", sulla storia passata e recente dell'aia.





Angelo Verderio

 


Quello che segue è invece il frutto di una lunga chiacchierata con Angelo Verderio, fondatore di COVERD e artefice, insieme al resto della sua famiglia, della rinascita dello storico edificio.

 



Lo incontro in uno degli uffici del nuovo fabbricato, quello che ha sostituito il muro di cinta del lato ovest, e per prima cosa gli chiedo cosa lo abbia spinto a comprare l'aia e a investirci tante energie.


 Angelo Verderio (A)- Avevamo bisogno di più spazio per gli uffici, perché ormai eravamo in tanti, 12, e la palazzina all’interno del capannone non era più sufficiente. D’altronde non potevamo più ampliarci perché in precedenza avevamo occupato tutto lo spazio disponibile.

Marco (M)
– Di che anno si parla?
A – 2004. Il secondo motivo è che ormai prevalevano, nel lavoro della ditta, le consulenze e le realizzazioni ad alto livello e l’ambiente non era più adatto ad accogliere le persone che dovevamo ricevere.

M – Avete puntato subito sull’aia?
A – No, in un primo tempo abbiamo cercato un capannone più grande, con annessi degli uffici, ma quelli che si trovavano erano tutti fuori Verderio e le mie donne, mia moglie e mia figlia, non volevano uscire dal paese.
Dal tecnico comunale ho poi casualmente saputo che l'aia era in vendita.

M – Un colpo di fulmine …
A – Sì e no, perché 10 anni prima, nel 1993  avevamo già pensato di comprarla per farci la casa, ma ci era stata rifiutata perché il proprietario, il signor Sala, aveva altri progetti.




L'aia fotografata nel 1993


M – Quindi la conoscevate già …
A - Non avevamo mai visto l'interno: ci aveva affascinato vista da fuori. La prima volta che sono entrato, insieme al Sala, qui dentro c'era la foresta. Ho guardato mia moglie e mia figlia: a loro piaceva e allora  gli ho detto “Senta, a me interessa: mi dica una cifra e io finché non concludiamo di qui non esco”. Ha fissato una cifra, ci siamo stretti la mano e via. Più una cosa istintiva che di riflessione. Si è fatto tutto in due giorni: martedì l'ho chiamato, giovedì mi ha fatto entrare e si è concluso.

M – Come mai alla fine si era deciso a vendere?
A – Per motivi suoi, personali, famigliari. Mi diceva che si potevano ricavare 250 mq di uffici, fra sopra e sotto …

M- Sotto …?
A - Sotto il cortile dove c'è il museo … che si poteva aprire la cinta e venir fuori con la macchina e costruire delle villette a schiera, sul lato ovest;.. Mi aveva fatto vedere anche dei disegni fatti bene.

M – Era proprio così?
A – Non direi. Quando ho telefonato in soprintendenza, l'architetto De Stefani mi ha detto “Lì non si tocca niente. Comunque faccia un progetto e poi ce lo faccia vedere”. Gli ho risposto che, prima di fare un progetto, volevo parlare con lui per avere delle linee guida e che, in caso contrario, con o senza di lui, qualcosa avrei fatto perché mi piaceva, punto e basta.

M – Un po’ di tensione?
A – Sì, ma dopo che ci siamo chiariti gli obiettivi da perseguire tutto è cambiato. Una volta che si è convinto che non avevo intenzione di fare speculazioni, mi ha fissato dei limiti e poi tutto è andato benissimo..
Il problema che rimaneva era quello delle distanze minime dalla cascina qui di fianco. La mia fortuna
è stata che, quando sono venuto a vedere l’aia con De Stefani, dalla cascina è uscito Cornelio Cassago, il vecchio proprietario, che conoscevo perché macellava i maiali e preparava gli insaccati e qualche volta lo aveva fatto anche per me. Mi ha detto “Ah, te se te 'l prupretari? So’ cuntent insce vegnen mia chi …”, insomma altri che a lui non andavano. Così gli ho detto che avevo un problema di distanze dalla sua casa. “Che prublema l'è? Te me dumandet...Preocupes mia, parli cui mè fiou …”. Mantenne la parola e tutto fu più semplice.


M - Vi siete capiti insomma...
A – Sì. Lui, uomo di parola, mi ha detto “preocupes mia” e così è stato nel convincere i figli all'operazione, concordando con loro il tracciato e le opere necessarie.
Con Cornelio ho risolto anche il problema delle macerie che c'erano sotto l'aia, 800 metri cubi di materiale. Io dovevo smaltirle, a lui servivano come riempimento per le due case che dovevano costruire i figli. È andata bene a tutti.






 

M - Quando si è accorto dell'importanza storica dell'edificio che ha comprato?
A - Quasi subito, anche se all'inizio ha prevalso l'istinto di risolvere il problema di spazio della ditta.
Ho cominciato a rendermi conto quando sono andato nel sotterraneo, anche se con tutte quelle macerie si capiva poco, e quando ho visto i graffiti della facciata. Man mano che si andava avanti nella pulizia ci si rendeva conto dell'importanza: ci sono dettagli tecnici da cui oggi ci sarebbe molto da imparare.
Il caso ha voluto che abbiamo fatto la sede della nostra ditta, che si dedica alla bioedilizia, in un edificio storico modello di bioedilizia, perché questo è un essicatoio solare, un monumento che ha 150 anni. All'inizio eravamo presi più dalla soluzione del problema uffici che dall'edificio, invece poi ci siamo impegnati a fare in modo che venisse fuori bene, perché piace a noi come famiglia.

M – Parliamo del restauro. Cosa vi ha “concesso” la soprintendenza?
A – Eravamo in contatto diretto con l'architetto De Stefani. Ci ha chiesto che l'altezza della nuova ala fosse più bassa rispetto a quella dell'edificio originale






L'edificio originale e la nuova ala, in un disegno dell'arch. Bruna Galbusera e in una foto recente

e che l'entrata assumesse un aspetto meno importante rispetto all'aia.


Disegno dell'entrata degli uffici COVERD



De Stefani chiedeva anche che il corpo nuovo fosse in stile moderno, squadrato, per staccare meglio rispetto all'antico. A me e a mia moglie però questo stile moderno non piaceva, così il nostro progettista, l'architetto Bruna Galbusera, ha presentato un disegno con le finestre ad arco, stile “orangerie”, che alla fine è stato accettato. Sono state invece eliminate le passerelle che avrebbero permesso il passaggio diretto dalle porte finestra dell'edificio nuovo all'aia. 






L'ala nuova in stile "orangerie"



La soprintendenza ha chiesto anche che il tunnel di passaggio dal nuovo al vecchio non desse fastidio, che fosse il più leggero possibile, magari in vetro.




 

Il tunnel di passaggio fra il vecchio e il nuovo edificio



Inoltre abbiamo ottenuto di fare due scale d'accesso al sotterraneo, che sono servite durante i lavori, ma che soprattutto ora sono essenziali per permettere ai visitatori di accedere al sotterraneo.


M – Prima come ci si entrava?
A - Saltando dentro: non c'era nessuna entrata, perché lì sotto non era prevista alcuna attività, doveva solo scorrere aria.

M – Posso scrivere che i rapporti con la soprintendenza sono stati buoni?
A – Eccezionali ...

M – Hanno apprezzato il risultato finale?
A - Sì, tanto è vero che mi hanno fatto avere un contributo, nonostante io non avessi fatto alcuna richiesta, perché non sapevo di poterla fare. Hanno posto come condizione, e c'è un atto notarile che lo attesta, che l'aia sia aperta alle visite almeno una volta al mese per 10 anni. Sono già venute molte associazioni, scolaresche, gruppi di pensionati, oltre ai partecipanti ai convegni organizzati da COVERD (circa 4000 persone).
Mi stupisco del fatto che il Comune di Verderio non approfitti culturalmente di più dell'opportunità di avere un edificio come questo, che comprende anche un museo della vita contadina (sul sito del comune, ad esempio, non se ne fa alcun cenno).

M - Avete ospitato anche degli spettacoli, vero?
A – Sì: un concerto di “firlinfeu”, in occasione del 150° anniversario della nascita del gruppo che suonava, e uno di musica classica.
Il primo, promosso in collaborazione con il gruppo pensionati, è stato un mio regalo a Giulio Oggioni, che aveva fatto tante cose per me, sempre “gratis”. Sapevo che aveva questo desiderio e l'ho accontentato.
Il concerto di musica classica invece rientrava nelle iniziative del Festival di Bellagio, noi abbiamo messo solo a disposizione lo spazio.
In tutte e due le occasioni ho avuto modo di ammirare l'impegno dei volontari della protezione civile.
Mi piacerebbe che l'aia accogliesse altri eventi del genere e sto cercando di trovare i contatti perché ciò avvenga periodicamente. Vorrei contribuire a risvegliare l'attenzione verso la cultura, che i cittadini di Verderio hanno già dimostrato di apprezzare.


M – Mi parli un po' dei lavori.
A - Il progetto era stato affidato all'architetto Bruna Galbusera, a cui avevamo dato l'incarico di “tirar fuori” i volumi che rispondessero all'esigenza nostra di ricavare più spazio possibile, però con l'impegno di salvaguardare anche l'aspetto estetico dello stabile.
Per il restauro non ci siamo rivolti a un'impresa vera e propria, ma ad alcuni esperti artigiani che anni prima avevano costruito la nostra casa.
La nostra ditta si occupa di edilizia, e quindi noi stessi abbiamo seguito i lavori.


 
Il gruppo artigiani. Fra loro Gigliola, in piedi, e Beatrice, le decoratrici


M – Quando e come avete iniziato?
A – Nel novembre del 2004 abbiamo iniziato i lavori di messa in sicurezza: liberato dalle macerie il sotterraneo, disboscato il cortile e sistemato le tegole del muro di cinta.

M – Il piano di granito del cortile ha avuto bisogno di interventi?
A - No,No. E nemmeno i pilastri di mattoni: la legatura del cotto era meglio del cemento armato. Quando erano stati costruiti non si usava il cemento, che non c'era, bensì la calce, che ha la proprietà di diventare dura con il passare tempo, perché è soggetta al fenomeno della carbonatazione.
 


Particolare dell'aia


La nostra fortuna è stata quella.
Il problema erano i muri di sasso che erano legati con della malta esausta. In quel caso la fortuna sono state le macerie. Man mano che le toglievamo intervenivamo sui muri, dall'alto verso il basso, intanto che le restanti macerie tenevano in compressione i muri non ancora recuperati. Andavamo avanti per gradi.
 



Le macerie le asportavamo con un trattorino e, come ho già detto prima, le scaricavamo nel terreno del signor Cassago, senza doverle portar via. Cassago ci aveva anche permesso di entrare con il camion nel suo terreno. Per fortuna, perché il comune sembrava  facesse apposta a crearci difficoltà. 

M - La parte decorativa, esterna ed interna dell'edificio, è stata fatta da due decoratrici di Verderio, Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri. Come le avete incontrate?
A - Mentre facevamo i lavori c'era qui una squadra di giovani, neolaureati, tutti accreditati presso la soprintendenza, che facevano dei disegni, delle prove: ma io vedevo che “non c'erano”. 




Un bozzetto presentato dalle decoratrici Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri

 


Un giorno è passata la Bea e mi ha lasciato un loro biglietto. All'inizio le ho prese sottogamba, non le ho dato importanza. Poi, invece, ho detto: proviamo a sentirle. e le ho fatta fare un campione. L’ho visto, poi ho visto i disegni, le prove di colore eccetera. Hanno fatto anche una bozza per i disegni all'interno, secondo i desideri di mia moglie. Il rapporto con loro è nato così.

 

Decorazione geometrica delle pareti esterne e elemento tondo di pietra molera


M - Non le conosceva?
A - Le conoscevo di vista, ma non avevamo mai parlato. C'era il problema che non erano iscritte ai beni ambientali per il restauro: ho parlato con De Stefani gli ho chiesto se l'iscrizione fosse indispensabile. Lui mi ha detto di no, che dovevo dare  priorità alle capacità tecniche. e che se mi ritenevo soddisfatto del loro operato, a lui andava bene. Così è stato.


Particolare della decorazione del soffitto del tunnel fra vecchi e nuovo. Foglie di platano in "onore" del bellissimo platano esistente nelle vicinanze dell'edificio



M – Avete acquistato l’aia nel 2004: quando è stata  pronta?
A - Il rogito risale al giugno del 2004; a settembre era già abbozzato il progetto; a novembre sono iniziati i lavori di messa in sicurezza. A febbraio del 2005 l'aia era finalmente pulita e libera.
Alla vigilia di Natale del 2004 mi telefona De Stefani per dirmi che mi ha fatto un regalo, ha approvato la pratica: “Il tempo di spedirla in comune, fissare i costi di urbanizzazione e potete partire”.
A febbraio 2005 il sotterraneo era finito, compresi gli impianti che collegano i due edifici.
Sono andato avanti con i lavori di conservazione e messa in sicurezza approvato dal ministero anche se.
il comune  non mi aveva ancora dato la concessione. A fine gennaio 2004 la pratica era arrivata in comune; a metà febbraio era verbalizzata. Si dovevano solo fissare i costi di urbanizzazione (interesse del comune) e poi avrei potuto partire con la nuova ala. A giugno, nonostante i continui solleciti, non avevo ancora ricevuto niente. Sono andato in comune e mi sono sentito dire che mi avrebbero comunicato gli oneri a settembre. Mi sono alterato non poco, per la loro superficialità e lentezza, così tre giorni dopo mi hanno comunicato gli oneri: una mazzata, ma comunque potevamo iniziare i lavori della parte nuova. A giugno del 2006 eravamo già operativi con gli uffici. Tempo totale: due anni reali. Abbiamo battuto tutti i record.

M - Quali sono le caratteristiche dell’aia che ritiene più interessanti?
A - La struttura architettonica, i disegni e, sotto il profilo tecnico, la ventilazione perché è l'unico esempio in tutta Europa. Non è un modello copiato, è un “unico”, un vanto per Verderio.
Poi ci sono i particolari






Le finestre scorrevoli, anche quelle interne, con una meccanica d'avanguardia, cose solitamente usate per le case nobili.

 



La cupola, che da 150 anni è sottoposta al vento eppure nessuno ha mai dovuto metterci mano
Ecco, una domanda che ci si pone è come mai ci sia stata tanta attenzione e bellezza per un edificio di lavoro, un edificio destinato all'agricoltura.

Qualche altra riflessione.
Nei muri non abbiamo trovato una crepa, eppure su questa strada ne sono passati e ne passano di camion pesanti, che certo non erano previsti quando l’aia è stata costruita.

 



Una gronda così è tecnica pura, fatta di pietra molera, a trapezio per caricare il peso sulla struttura di sassi. Anche qui, neanche una crepa.





 

Il cancello era fatto in modo che, quando lo si chiudeva, dall'interno non lo si poteva più aprire: chi rimaneva dentro non poteva più uscire.

M – Perché?
A – Mistero. Probabilmente era un sistema di sicurezza: quando c'era la merce non la si poteva portar via se non aprendo da fuori il cancello. Probabilmente per lo stesso motivo, per poterla controllare meglio, l'aia era stata costruita vicino alla casa padronale.

Poi c’è uno scarico dell’acqua che fa paura.

M – In che senso?
A – La fogna, 50x50, fatta di muri di sasso coperti con lastre di granito, ha due scarichi, uno alla profondità di 6 metri, l’altro di un metro e mezzo, che scaricano nella campagna.








Particolari dei canali di granito che, nel sotterraneo, raccolgono l'acqua dai pluviali e la scaricano nel canale del cortile.

M - Cosa mi dice dei materiali usati? I più importanti
A – L'aia è fatta di granito estratto dalle cave del Montorfano nell'alto Verbano.
Poi c'è la beola bianca della val d'Ossola, utilizzata per i pavimenti dell'edificio.
Il cornicione e le colonne sono di pietra molera, che veniva  estratta a Oggiono o  anche qui dalle nostre parti.


Colonne, capitelli e archi in pietra molera della facciata sud


Colonne in pietra molera del protiro del lato nord


M – Sotto l'aia avete allestito un museo di oggetti della vita contadina. Come mai?
A – Da diverso tempo, per una passione nostra, raccoglievamo questo tipo di oggetti. Il lavoro di restauro, quasi sempre necessario, lo faceva mio suocero, Mario Carravieri. A lui abbiamo perciò dedicato, qualche giorno dopo la sua morte, avvenuta nel 2007, il piccolo museo che abbiamo realizzato e denominato “Museo vita contadine del novecento.
Come ci è venuta l'idea? Abbiamo pensato di offrire l'opportunità a coloro che hanno l'occasione di visitare l'aia, di poter osservare degli oggetti che, con l'edificio, hanno in comune il legame con il mondo contadino. 





L'ambiente "lavanderia" del museo della vita contadina del novecento


M – È in preparazione un nuovo libro sull'aia ..
A – Sì, lo stanno scrivendo Giulio Oggioni e l'architetto Samuele Villa. È la storia dell'aia, inquadrata nel contesto della storia locale, dalla sua costruzione all'attuale recupero. Sarà distribuito da COVERD, soprattutto ai clienti in visita alla sua sede. Lo abbiamo fatto per festeggiare i trent'anni della nostra ditta e i prossimi 150 anni dell'aia.

M – Iniziative  future?
A – Il museo contadino è stato riconosciuto e proposto dalla Provincia di Lecco nel percorso museale del territorio.
L'edificio è entrato nel programma “Ville aperte”in Brianza, promosso dalla provincia di Monza e Brianza: domenica 28 settembre, ad esempio, l'aia sarà aperta alle visite del pubblico.
Sia l'iniziativa della provincia di Lecco che quella di Monza Brianza sono patrocinate dalla Regione Lombardia e da EXPO 2015.


Marco Bartesaghi











COVERD, UN'AZIENDA CON LA VOCAZIONE PER LA BIOEDILIZIA di Marco Bartesaghi

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Angelo Verderio e Ornella Carravieri


COVERD è un’azienda di Verderio che, nel mondo dell’edilizia, si occupa di isolamenti termici ed acustici, utilizzando materiali naturali: il sughero, in primo luogo, e la lana di pecora. Consolidati ormai da tempo sono anche i servizi di consulenza e le realizzazioni speciali che la ditta è in grado di fornire in campo acustico e termografico.
 

Fondata nell’ottobre del 1984 da Angelo Verderio, in società con la moglie Ornella Carravieri, COVERD, nasce come snc. Quattro anni fa, si è trasformata in srl, per preparare il cambio generazionale. I due fondatori hanno infatti coinvolto la figlia Diana e il genero, Massimo Murgioni nella guida dell'azienda.L’incontro di Angelo Verderio con il “sughero” è stato casuale: nella seconda metà degli anni settanta, entra in contatto con la L.I.S. (Lavorazione Italiana Sughero), azienda che operava soprattutto nel settore delle calzature e si stava affacciando anche al mondo dell’edilizia, e ne diventa rappresentante.
 


Dopo un periodo di rodaggio, ottiene dalla ditta una “lettera di commercializzazione”, che gli permette, nel 1981, di incentivare le vendite avendo a disposizione il materiale anche per le consegne di piccola entità.


Non di semplice vendita si deve però parlare, bensì di “vendita tecnica”: i progettisti, dovevano essere opportunamente informati per poter apprezzare le qualità tecniche del sughero ed essere indotti a proporlo e a farlo acquistare dagli utilizzatori, nonostante il suo prezzo fosse superiore, soprattutto allora, a quello di altri prodotti più comuni. Era altresì importante, fornirgli le conoscenze necessarie per metterli in condizione di effettuare una messa in opera ottimale.
Il lavoro di Verderio, fin dall'inizio, non è quindi semplicemente quello di rappresentante. È lui che chiede all'azienda produttrice di fornirgli materiale con determinate caratteristiche tecniche ed è sempre lui che ne certifica la qualità presso i clienti, in funzione della destinazione di utilizzo.
Questa realtà è sancita nel 1984, quando nasce COVERD, con sede a Verderio Superiore (ora Verderio), in un capannone di via Leonardo da Vinci. 


 
Uno stemma della ditta COVERD disegnato da Beatrice Fumagalli e Gigliola Negri




IL SUGHERO
Il sughero è la corteccia esterna della “Quercus suber”, una pianta della famiglia delle fagacee, che può raggiungere i venti metri d’altezza ed è, comunemente conosciuta come “quercia da sughero”. Caratteristica dell’area mediterranea, in Italia è presente soprattutto in Sicilia, Sardegna e Toscana.
Nel sito di COVERD si legge che il sughero è un materiale “atossico, biologicamente puro, inalterabile, impermeabile, traspirante, resistente”; che è “elettricamente isolante e inattaccabile da muffe, insetti e roditori” Inoltre “ha una bassa velocità di combustione, pur non subendo alcun trattamento chimico che lo renda ignifugo”.





TRENT’ANNI DI VITA DELL’AZIENDA

La capacità di offrire sia un prodotto di alta qualità che una consulenza, un'assistenza tecnica e una manodopera molto qualificata, sono le caratteristiche fondamentali, secondo Angelo Verderio, della sua ditta, punto di arrivo di un percorso iniziato trent’anni fa.
Nato a Bellusco il 15 aprile del 1948, in possesso di diploma della scuole commerciali,frequenta la scuola-lavoro aziendale all’Alfa Romeo. Finita la scuola, nel1964 è assunto da una ditta che vende spazi pubblicitari (“fumo”, dice lui) per alcune riviste tecniche specializzate. Dopo la morte del titolare, Verderio, poco più che ventenne, diventa praticamente il motore dell’azienda.
Assunto dalla Rossi Dragon, una ditta di Carugate, come direttore commerciale, si dedica alla vendita di inceneritori per il settore ospedaliero. Non vedendo riconosciuti i suoi meriti decide di lasciare l'azienda.




Grazie all'esperienza e alle conoscenze coltivate durante la vendita dei forni inceneritori, ottiene una rappresentanza di materiali refrattari. “Con l'esperienza che avevo” - dice -”nel vendere fumo (la pubblicità) quando ho potuto finalmente vendere un prodotto concreto non ho avuto alcun problema”.
Durante questo periodo acquisisce esperienza di svariati cicli lavorativi, e inizia a occuparsi dell'utilizzo del sughero nel settore edile. Quando il mercato del sughero si incrementa decide di dedicarsi esclusivamente a questo prodotto.


 Nel 1989 COVERD, a cinque anni dalla fondazione, è ormai un'attività consolidata e comincia ad affrontare lavori di grande rilievo: il palazzo F.E.V.I. di Locarno, dove si svolge il festival internazionale del cinema; la discoteca Rolling Stone di Milano e altre sale simili; alcuni Hotel, in occasione dei campionati mondiali di calcio del 1990: lo Sporting e il Puccini a Milano e il Falcone a Monza; molte residenze civili delle cooperative delle ACLI. Per un concerto di Vasco Rossi a San Siro, il primo, e uno di Eros Ramazzotti all'Arena di Milano, Verderio ha l'incarico di tecnico acustico.
Per poter affrontare questi impegni la ditta ha dovuto crescere dal punto di vista tecnico.



Sala regia MTV Milano



Agli esordi è Verderio stesso che si documenta e studia, da autodidatta, ma non disdegnando l'aiuto di nessuno. Importante , ad esempio, è stato il contributo di un famoso cantante, Toto Cotugno, che si era rivolto a COVERD per curare l'acustica di tre sue sale di incisione. L'alta competenza tecnica ed il finissimo orecchio musicale del musicista sono ricordati da Verderio come uno dei contributi più validi alla sua formazione professionale. In quell'occasione egli acquista il suo primo fonometro, un apparecchio d'avanguardia. Con l'aiuto dell'artista ha però modo di comprendere che lo strumento in sé non poteva essere la soluzione tecnica dei suoi problemi: esso infatti non era in grado di sostituire la necessaria capacità di ascoltare e capire i suoni.


Diana Verderio
Per quattro o cinque anni, collaborano con la ditta un cugino, perito termotecnico, e una cugina studentessa di fisica: svolgono ricerche di acustica e termica strutturale, facendo  sperimentazioni sul campo. A loro si deve l'ossatura tecnica iniziale della ditta.
In seguito (1987 – '88) Verderio instaura un rapporto di collaborazione con il dottor Marco Raimondi, per sviluppare e dar corpo alla divisione di acustica architettonica della ditta. La collaborazione nata in quegli anni prosegue ancora oggi, con reciproca soddisfazione, dato che la competenza tecnica di Raimondi e quella della ditta sono cresciute di pari passo e sono riconosciute a livello nazionale. 


Massimo Murgioni


Contestualmente l'azienda si consolida anche negli altri settori, quello delle applicazioni speciali, grazie alla costante crescita tecnica del futuro genero di Verderio, Massimo Murgioni, e quello commerciale, per l'entrata della figlia Diana.



 
BIOEDILIZIA: UNA SCELTA DI CAMPO E UNA RIVISTA
 

Chi sono i clienti di COVERD e come vengono a conoscenza dell'azienda?
COVERD, agli inizi della sua attività, si fa conoscere attraverso un proprio giornale di 16 pagine, intitolato ECOVERD per un breve periodo e poi BioEdilizia, il nome che mantiene tuttora.
Questo titolo viene scelto per essere in sintonia con il mondo della bio-architettura, del quale fanno parte gli architetti che amano la natura e prediligono i prodotti naturali per i loro progetti e le loro realizzazioni, i clienti più interessati alle proposte di COVERD.






Alla bio-architettura Verderio si avvicina attraverso l'architetto lecchese Giosuè Micheli, conosciuto lavorando alla costruzione della sua casa.
BioEdilizia, che nasce nel 1989, ha come filosofia di base, l'idea che si debba costruire, per quanto possibile, utilizzando i materiali naturali del posto. Da una tiratura iniziale di circa 4000 copie in forma cartacea,  si passa alle attuali 100mila copie, distribuite in formato elettronico.
BIOEDILIZIA è una rivista a tutti gli effetti a periodicità quadrimestrale. La testata è depositata presso il Tribunale di Lecco, dal 1988.






FORMAZIONE TECNICA ATTRAVERSO I CONVEGNI
 

Il primo risale al 1998. È organizzato dal Consorzio Cooperative Lavoratori (CCL) delle ACLI di Milano, per cui COVERD aveva realizzato importanti lavori. Tema del convegno la normativa acustica che da poco era stata approvata e che creava grossi problemi al mondo dell'edilizia impreparato ad affrontarla.
100 – 120 persone il numero di partecipanti previsto dagli organizzatori. Nell'impossibilità di trovare una sala di poco superiore ai 100 posti, Verderio chiede il teatro del Collegio San Carlo di Milano (altro suo cliente), capienza 500 posti. Un centinaio di presenze in una sala così avrebbe avuto un effetto deprimente.  Verderio chiede di poter ampliare la platea dei partecipanti, divulgando la notizia attraverso la sua rivista. Nell'incredulità generale gli iscritti furono più di 700, i partecipanti effettivi 550: un pubblico eterogeneo che obbligò i relatori, primo fra tutti Marco Raimondi, a fare salti mortali per tentare di non scontentare nessuno.
A parte qualche altra esperienza simile a questa, gli incontri organizzati da COVERD per la formazione tecnica relativa ai temi di sua competenza, sono ripresi nella nuova sede dell'azienda, presso la storica Aia di Verderio, che comprende un' apposita sala convegni.
Responsabile sia delle iniziative editoriali (BIOEDILIZIA e AudioDinamika) che dell'organizzazione dei convegni è Demetrio Bonfanti, un collaboratore che fa parte dell'azienda dagli albori della sua attività.







L'ATTUALITÀ
 

La novità più importante di questi ultimi anni è il ruolo  assunto da Diana Verderio e dal Marito Massimo Murgioni, che hanno affiancato i fondatori, Angelo e Ornella, nella guida dell'azienda. Un ricambio generazionale all'insegna però della continuità, poiché non è cambiato l'impegno a privilegiare il conseguimento di una sempre più elevata preparazione tecnica.
Dal 2006 COVERD ha una nuova prestigiosa sede in centro Verderio. È l'antico edificio dell'aia, fatto costruire dalla famiglia Confalonieri nel 1857, su progetto dell'architetto Besia. Un edificio, secondo Angelo Verderio, tutt'oggi simbolo e guida per l'edilizia naturale, quella orientata ai canoni della bioedilizia, bioarchitettura  ed ecosostenibilità.
La famiglia Verderio, promuovendo la ristrutturazione a regola d'arte dell'aia, ha voluto certamente fare un regalo a sé stessa, soddisfacendo una sua ambizione. Contemporaneamente però ha fatto un regalo agli abitanti dei Verderio, ridando vita a un prezioso edificio abbandonato da decenni e ricco di ricordi per i più anziani del paese.
La crisi economica che stiamo vivendo, che, più di ogni altro, ha colpito il settore dell'edilizia, non ha lasciato indenne COVERD. L'assenza di nuove costruzioni ha ridotto notevolmente le vendite. Proprio in questa congiuntura si è rivelata azzeccata la scelta, costosa ma strategica, di aver dedicato tante energie alla ricerca tecnico – scientifica, dando modo all'azienda di sopperire, almeno in parte, con le consulenze e le realizzazioni speciali, alle difficoltà vissute in altri settori della sua attività.


Marco Bartesaghi





28 SETTEMBRE 2014, VILLE APERTE MONZA - BRIANZA: VISITA ALL'AIA DI VERDERIO

ARRAMPICARE IERI E OGGI. GESTI, MATERIALI, STORIE DI ALPINISTI LECCHESI

ELENA MUTINELLI: ISPIRAZIONE TÉCHNE, CORPO A CORPO CON LA SCULTURA

ARCHI A VERDERIO di Marco Bartesaghi

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Vi presento una rassegna di immagini di "archi" di Verderio. 
È  divisa in cinque capitoli;

- Accessi alle corti e alle cascine

Cascina Bergamina






- Portici e loggiati

Municipio




- Finestre

Cascina "La Salette"
 - Edifici sacri e cimiteri

Chiesa dei santi Nazaro e Celso

- Archi ritrovati

Curt di Spirit


CLICCA SU "CONTINUA A LEGGERE L'ARTICOLO" PER  VEDERE L'INTERA RASSEGNA.




 Accessi alle corti e alle cascine:


 Cascina Bergamina






Via Roma

Curt de la Palasina





Curt de i Móta



Curt di Stalét






Vicolo Chiuso






Via Tre Re
Curt del Magnon



Curt di Nava


Curt di Fat


Curt di Tulét

  



Casa Colonica Parrocchiale Verderio Sup. 







Via Sant'Ambrogio

Curt del Mugnón

 Casa Pirovano



 Curt Nóva



Via Contadini Verderiesi
Centro sportivo comunale 







Rustico villa Gnecchi 




Via Principale

Curt del Prestinée



Curt del Legnamée o del Murnée




Via per Cornate
Cascina Isabella 




Piazza Roma
Curt di Balii
Via Fontanile
Curt di Fredich
Numero civico 13
 Curt di Spirit
Arco esterno
 
 
Arco interno



Arco fra due spazi interni alla corte

Curt di Benedétt






Via Angolare
 

Curt di Barbiss o dei Penagia







 Curt di Spirit





Numero civico 4

Dall'esterno

Dall'interno
 


 Via Campestre


Curt di Custònt

Arco a destra della foto





Curt di Scròch 




Curt di Sartirona







Portici e loggiati 

 
 Municipio di Verderio






Villa Gnecchi






Asilo Giuseppina






Aia di largo della Battaglia



Cascina La Salette






 Cascina Isabella





 Rustico Villa Gnecchi





 "Curt di Tulet", via Tre Re




 Cascina Bice





Finestre


Cascina Bergamina






Chiesa dei santi Nazaro e Celso










Cascina Bice







Chiesa dei santi Giuseppe e Floriano
















Casa parrocchiale di Verderio Superiore










Villa Gnecchi già Confalonieri












via Contadini Verderesi

Centro sportivo, via Contadini Verderesi





Cascina La Salette (foto di Gabriele Aldeghi)











Aia, Largo della Battaglia 





Edifici sacri e cimiteri



Chiesa parrocchiale dei santi Nazaro e Celso


Chiesa parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano







L'antica parrocchiale di San Floriano








Chiesa di Sant' Ambrogio 





Cappella di Villa Gnecchi 




Cimitero di Verderio Inferiore



Cimitero di Verderio Superiore







Gli archi ritrovati

Molti archi  giaciono nascosti da quando le strutture di cui facevano parte - finestre, porte o altri tipi di passaggio - sono stati dismessi. Riaffiorano durante le ristrutturazioni o i rifacimenti di intonaco.
Ve ne presento alcuni che conosco perché vicini, se non proprio all'interno, alla casa in cui abito (aspetto che me ne segnaliate altri da aggiungere).
Si trovano nella "CURT DI SPIRIT" , a cui si accede da via Angolare 3 e da via Fontanile 6.
 
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Questi due archi sono riapparsi, in momenti diversi, in coincidenza con il rifacimento dell'intonaco della parete sud della torre che si trova nel centro della corte.







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Resti di un arco e una "piattabanda", nell'androne di accesso alla corte da via Angolare 3.





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Arco di un'antica porta interna di un appartamento di via Angolare 3.



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Gli archi di casa mia






LA FACCIATA DELLA CHIESA DEI SANTI GIUSEPPE E FLORIANO DI VERDERIO di Elisabetta Parente, storica dell'arte

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Le forme e la decorazione dell’esterno della chiesa parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano di Verderio rimandano all’architettura lombarda del XV secolo: la realizzazione in laterizio, il cui colore rosso viene esaltato dagli inserti ad intonaco e dalla presenza di marmo bianco; l’impiego congiunto di arco a tutto sesto e arco a sesto acuto; il ricorso a molteplici aperture per alleggerire le pareti murarie.
La facciata ha un profilo a spioventi interrotti e risulta suddivisa in tre parti per mezzo di semipilastri lievemente sporgenti.



La parte centrale , la più alta poiché corrisponde alla navata maggiore, ospita il portale marmoreo fortemente strombato, 






il rosone ad intelaiatura radiale, anch’esso marmoreo 







e una piccola loggia con sottili colonne dal capitello corinzio stilizzato.









Nei due corpi laterali, più bassi e corrispondenti alle navate laterali interne, trovano posto le due finestre ogivali: si tratta di due bifore, con le aperture divise da una piccola colonna in sarizzo, inquadrate da una decorazione radiale di conci rossi e bianchi, contenuta in una cornice in terracotta.






A coronamento dell’intera facciata sono posti cinque pinnacoli, i tre centrali più piccoli rispetto ai due laterali, tutti sormontati da croci in ferro battuto.
Il prospetto così impaginato richiama proprio lo stile di molte chiese milanesi realizzate da Guininforte Solari, caratterizzate da facciate che, pur richiamandosi alla robusta lingua romanica, vengono svuotate e rese più leggere grazie alla presenza di elementi di chiara ispirazione gotica come il rosone, le finestre dalla forma allungata, lo slancio in verticale dell’edificio.
Che la chiesa dei santi Giuseppe e Floriano sia una moderna realizzazione in “stile” è reso evidente da alcuni particolari decorativi che sono stati liberamente interpretati.
Nelle architetture medioevali, il ricorso a semplici archetti pensili, posti alla sommità non solo della facciata, ma di tutte le pareti esterne e, a volte, anche interne, serviva a collegare i prospetti fra loro e a dare unitarietà all’insieme.

Questo avviene anche nella chiesa di Verderio, dove una cornice di archetti a sesto acuto in terracotta su fondo bianco è presente in tutto il corpo di fabbrica, dalla facciata alla zona absidale, dalla struttura esterna della cupola allo slanciato campanile.
Proprio in facciata però questa cornice diventa elaborato sistema decorativo: nella sommità del corpo centrale due fasce d’archetti racchiudono la loggetta, facendola diventare prezioso ricamo; posta sotto le due finestre, la cornice è originale e insolito “davanzale”, sorta di piccolo brano staccato dal contesto.





Solo la libera interpretazione di gusto novecentesco poteva concepire, a decorazione della sommità dei semipilastri laterali, tre archi a tutto sesto estremamente allungati, sormontati da tre circonferenze in terracotta.







Come spesso accade , elementi decorativi presenti all’esterno di una chiesa vengono impiegati anche per la decorazione all’interno di essa.
Nella lunetta che sovrasta il portale ligneo d’accesso alla parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano è dipinto ad affresco, in campo azzurro con stelle dorate, un sole radiante giallo spento e rosso, che riporta al suo interno il motto IHS.






Il sole, figura simbolica della vita che da Cristo si irradia a tutti gli uomini, è l’elemento dominante all’interno della chiesa, interamente decorata ad affresco dal pittore milanese Ernesto Rusca, seguendo le indicazioni e i disegni forniti da Fausto Bagatti Valsecchi.




Elisabetta Parente, 2002

* Testo tratto da: Elisabetta Parente, "La chiesa dei santi Giuseppe e Floriano: la genesi architettonica e le sue opere", terzo capitolo del libro: VERDERIO, La chiesa parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano 1902-2002: un secolo di storia, arte e vita religiosa.



LA FUNZIONE DELL'ARCO NELLA COSTRUZIONE DEI PONTI, Ezio Colnaghi, ingegnere

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L’”arco” rappresenta l’elemento architettonico e strutturale forse più importante dell'intera storia dell’architettura, per la versatilità delle sue forme e prestazioni  e per essere diffuso, in maniera più o meno costante, tra tutte le epoche storiche e le diverse zone  del pianeta Terra.

Da un punto di vista strutturale l’arco sostituisce la cosiddetta “architrave” (elemento con andamento “rettilineo") dove questa non permette di realizzare luci elevate  fra gli appoggi situati alle estremità di una struttura: sia quando – appunto-  si vuole realizzare tale struttura di collegamento con materiali costruttivi (quali mattoni e pietre naturali, ad esempio) che per loro natura non possono resistere a forze di “trazione” e di “flessione” se realizzati con forme rettilinee, sia  quando si deve sopperire  all’utilizzo dei  materiali da costruzione “primigeni” (quale il legno per esempio)  che possiedono sì una certa resistenza a trazione ma che  per come si trovano in natura  (con alberi di forma rettilinea e di limitata lunghezza )  non permettono  di  realizzare strutture di grandi luci, come  per  il tipico caso di un ponte che permetta di unire le sponde opposte di un fiume. E, infine, quando i carichi da sopportare diventano elevati,  e quindi tali da mettere in crisi, anche per luci piccole, le architravi rettilinee realizzate con materiali  comunque  poco resistenti .
Come tante altre scoperte e invenzioni dell’Uomo, anche l’arco è stato quindi scoperto, o meglio inventato spinti probabilmente da un specifica necessità.
Volendo approfondire un poco l’aspetto statico,  l’arco (anche nelle sue forme “ibride“ di contrafforte e arco rampante)  permette anche di trasferire i carichi sopportati ai punti di appoggio terminali sotto  forma di forze “verticali” (dette anche “assiali”) piuttosto che di “taglio” o a flessione.  Questo tipo di carico verticale è molto più facilmente sopportabile(rispetto agli altri tipi di carico indicati)  dai materiali “poveri” da costruzione quali le pietre naturali,  i mattoni e il legno che sono stati per lungo tempo  i materiali  che costituivano i pilastri sui quali l’arco appoggia.
Il corretto funzionamento statico dell’arco è legato quindi al contatto diretto tra i vari “conci” che lo compongono, che trasferiscono per “attrito” lo sforzo derivante dai carichi che devono sopportare  ai conci vicini, fino all’elemento strutturale verticale (il “pilastro”) che a sua volta lo trasferisce poi al terreno attraverso le opportune “fondazioni”.
Per essere certi  che il contatto fra i vari conci ci sia e non venga meno (con il conseguente drammatico  crollo dell’intero arco), la “chiave” dell’arco ha solitamente una forma conica ed è più grande dei singoli conci, in modo che può essere “forzata” alla chiusura dell’arco, la cui costruzione si realizza con due semiarchi (sostenuti provvisoriamente da ”centine” di supporto) partendo ognuno dai pilastri di estremità fin verso il centro, appunto verso  la “chiave di volta” dell’arco stesso .





     


Nomenclatura dell'arco: (1) chiave di volta; (2) cuneo;  (3) estradosso; (4) piedritto; (5) intradosso; (6) freccia; (7) corda o interasse; (8) rinfianco.


Solo di sfuggita, ricordiamo che l’evoluzione “tridimensionale” dell’arco è la base della costruzione delle “cupole” e delle “volte”, che in pratica non sono che tanti archi diretti in tutte e tre le dimensioni spaziali.
Con la scoperta (o l’invenzione) di materiali da costruzione ancora più resistenti e duraturi del legno e delle pietre naturali - -materiali come l’acciaio, il “calcestruzzo armato” (“c.a.”) il “c.a. precompresso” e anche il legno “lamellare”- ., nel tempo si sono potuti superare i limiti dimensioni delle architravi rettilinee  prima realizzate con i materiali da costruzione più “poveri”.  Ma l’arco è rimasto sempre  un elemento architettonico e strutturale comunque importante, e ha anzi sfruttato i nuovi materiali più resistenti per raggiungere luci ancora maggiori e forme architettoniche sempre  più ardite.
Guardandoci intorno troveremo  facilmente diversi e diffusi usi e tipi dell’arco strutturale, ma sicuramente quella che è più appariscente è quella dell’arco che realizza le campate dei vari ponti.




 
Ponte ferroviario tra Cisano Bergamasco e Pontida



E senza andare troppo lontano, diversi ponti ferroviari , stradali  e di servizio attraversano l’Adda tra Lecco e Trezzo sull’Adda , anche con caratteristiche costruttive e strutturali molto differenti  tra loro.


Robbiate

Il Azzone Visconti di Lecco (ponte Vecchio), il Ponte in ferro di Paderno e il Ponte stradale (non dell’Autostrada) di Trezzo sono 3 ponti  che rappresentano ciascuno  una diversa e classica tipologia costruttiva dell’arco strutturale.

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Il Ponte Vecchio di Lecco è realizzato in pietrame  (costruito nel 1300), ha dimensioni massicce e campate di luce piuttosto limitata, soprattutto per i carichi importanti, tra cui la corrente dell’Adda che esce dal lago, che deve sopportare.


 
Ponte Azzone Visconti, o ponte Vecchio, di Lecco. Foto tratta da "Il lago di Lecco", Aloisio Bonfanti (a cura di)



Questo ponte ha una particolare caratteristica architettonica/strutturale: le 11 arcate (campate) da cui oggi è composto sono tutte di ampiezza diversa…


Il ponte Azzone Visconti in un rilievo del 1962

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Nel  celebre Ponte di Ferro di Paderno d’Adda, progettato da un ingegnere collega di Eiffel (della famosa Torre parigina) e realizzato a fine del 1800, la struttura dell’arco è realizzata con elementi in ferro.  In questo caso  l’arco è caricato non da un carico “uniformemente distribuito” lungo la sua arcata ma da 8 carichi “concentrati” portati da dei pilastri secondari che, al loro volta, sorreggono la  sovrastante ferrovia e strada carrabile.



Ponte di Paderno d'Adda




Progetto originale del Ponte di Paderno d'Adda (tratto da: Il viadotto di Paderno sull'Adda 1889 - 1999)

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Il ponte stradale di Trezzo  è realizzato con struttura in “calcestruzzo armato precompresso”, che gli ha permesso di raggiungere una forma molto più sinuosa e quasi rettilinea, quindi con un arco molto  “ribassato” (cioè poco accentuato), anche su una luce di campata molto lunga.




Ponte "stradale" di Trezzo d'Adda  


La maggior parte degli archi (con la totalità di quelli in muratura e pietre) sono situati “al di sotto” dei carichi che devono sopportare. Esistono però anche archi che sono situati “al di sopra”  dei carichi da portare, e  che risultano quindi “appesi” all’arco. Anche per questa tipologia abbiamo un esempio vicino, il ponte stradale sull’Adda di Brivio, realizzato con struttura mista in calcestruzzo armato e ferro/acciaio.


Ponte di Brivio

Qui lo schema strutturale generale è piuttosto complesso, ma la funzione dell’arco è sempre quella di riportare i carichi della struttura sui piedritti (piloni immersi nel fiume) nella maniera più “verticale” possibile.

Ezio Colnaghi







L'ARCO NELLA STORIA E GLI ARCHI DI VERDERIO di Laura Mandelli ed Enrico Seregni, architetti

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“Arco non è altro che una fortezza causata da due debolezze … ciascuno debolissimo per sé desidera cadere oponendosi alla ruina uno dell’altro, le due debolezze si convertono in un’unica fortezza” (Leonardo Da Vinci).


L’arco nella storia

Già nella preistoria troviamo un abbozzo di arco, detto “falso arco” o “arco a mensola”, realizzato tramite la sovrapposizione di pietre piatte che andavano a formare una struttura “a scalini”, staticamente ben diversa dall'arco.
Il più antico che si trova presso la Ziqquarat di Ur, nell’antica Mesopotamia e risale al terzo millennio a.C. Nel corso dei secoli, la tecnica costruttiva dell’arco si perfeziona con gli egizi, i babilonesi e i greci, che lo impiegano nelle costruzioni civili (magazzini, fognature); con gli assiri, a cui si devono i primi palazzi con soffitti a volta; e con gli etruschi, che lo utilizzano soprattutto nei ponti e nelle porte.
Il vero e proprio splendore dell’arco fu raggiunto con i romani che ne capiscono le enormi potenzialità architettoniche. Essi lo utilizzano per le costruzioni civili (edifici privati e pubblici, anfiteatri), per le grandiose opere ingegneristiche (acquedotti), per ragioni simbolico/celebrative (archi di trionfo) e come punti di riferimento posti all'incrocio di più strade.
Nel periodo medievale, l'architettura romanica riprende l’arco romano a tutto sesto e l’architettura bizantina ne sviluppa nuove tipologie (a sesto acuto, inflesso, a ogiva). In seguito l'architettura gotica fa dell'arco il motivo fondamentale delle tecniche costruttive, spesso con ardite strutture fatte di rampanti e archi a sesto acuto.
Nel corso dei secoli, quindi l’arco subisce molteplici miglioramenti, sia dal punto di vista estetico che statico, fino alla fine dell'800, quando l'uso dell'arco come struttura portante, è progressivamente soppiantato dall'utilizzo delle strutture intelaiate (travi e pilastri) in calcestruzzo armato.


Gli elementi dell’arco

L’arco è un elemento costruttivo dal profilo curvilineo che sostiene i carichi sovrastanti trasmettendo un’azione di spinta lateralmente sui piedritti.
E’ costituito da una serie di elementi, ciascuno dei quali ha un termine tecnico e una precisa collocazione (fig. 1):

-    concio: ciascun blocco dell’arco avente forma trapezoidale;
-    intradosso: la superficie che limita inferiormente l’arco; 
-    estradosso: la superficie che limita superiormente l’arco;
-    archivolti: le superfici frontali, cioè le due facce esterne secondo una vista di prospetto dell'arco;
-    chiave: il punto più alto della curva dell'intradosso;
-    imposta: superficie di appoggio dell’arco sui piedritti;
-    corda: distanza netta all'imposta tra piedritti (luce);
-    freccia o monta, distanza tra punto chiave e la corda.

Figura 1


 Classificazione degli archi


La tipologia di arco è determinata non solo dal profilo o sesto che è il rapporto tra la freccia e la semicorda dell’arco, ma anche dai centri geometrici di costruzione; fra i numerosissimi tipi di archi, quelli di maggior importanza sono:

Arco a tutto sesto– E’ il modello più noto, quello in cui l’arco è perfettamente semicircolare; la freccia è pari alla metà della luce. Sono a tutto sesto gli archi di trionfo, le arcate degli anfiteatri, degli acquedotti e dei ponti romani.





Arco a sesto ribassato ad un centro -  In questo caso il centro dell’arco non si trova sul piano di imposta (cioè il punto in cui comincia l’arco) ma più in basso e la freccia è minore della metà della luce. È utilizzato per passaggi di dimensioni contenute e spesso era realizzato dai romani in mattoni.



Arco a sesto acuto – E’ determinato dall’intersezione di due archi di circonferenza con centri più o meno distanti e posti sul piano d’imposta e la freccia è maggiore della luce. Grazie alla “verticalizzazione” delle due metà dell’arco, questa tipologia si presta alla creazione di strutture più esili come quelle gotiche.



Arco rampante - Si ha quando la linea d’imposta non è orizzontale . Nell’architettura gotica, si ricorre anche all’uso dell’arco rampante, un caso particolare di arco asimmetrico, per scaricare lungo il perimetro della struttura le spinte orizzontali delle volte e degli archi ogivali. Gli archi rampanti, dunque, non si trovano quasi mai dentro una chiesa ma al suo esterno.



La statica dell’arco

Per comprendere meglio la straordinarietà dell’arco, lo si può confrontare con la struttura ad esso alternativa: l’architrave. Questo è composto da due elementi verticali ed una orizzontale; è la tipologia del dolmen preistorico (o trilite).
Pur essendo semplice da edificare, esso ha un limite: la lunghezza dell’elemento orizzontale, l’architrave, non può essere eccessiva pena la rottura. Infatti un architrave posto tra due pilastri è sottoposto al peso stesso del monolite e della struttura sovrastante che, al centro del blocco, esercita una forza verso il basso la quale, non esistendo alcun sostegno al di sotto, tende a spaccare il blocco.




L’arco, invece, è una struttura che si sostiene grazie alle forze di pressione fra i conci, quindi è in grado di sostenere pesi notevolmente superiori rispetto ad un architrave e può realizzare varchi molto più ampi.
Si consideri anche la maggiore difficoltà di realizzazione e trasporto data da un grosso monolite rispetto ai blocchi di pietra usati come conci.
Per la realizzazione di un arco, si utilizzano conci in pietra tagliata a forma trapezoidale (anche detti cunei), o semplici mattoni.
L’insieme dei conci forma un elemento architettonico curvo che va a poggiare sui piedritti realizzando così una struttura architettonica.
L’arco riesce a sorreggersi ed a sostenere un peso trasferendo lo sforzo via via dall’elemento centrale, il concio di chiave, ai conci laterali; alla fine il peso viene scaricato in parte verticalmente a terra attraverso il piedritto che lo sorregge ed in parte orizzontalmente contro la spalletta di sostegno.
Si dovrà quindi prevedere un’adeguata struttura laterale di sostegno per le spinte orizzontali.
L’esecuzione dell’arco richiede un’opera provvisoria detta centina. Con tale termine s’indica una struttura in travi di legno o ferro che da la forma alla curvatura dell'intradosso sulla quale sono quindi poggiati i conci dell’arco. Una volta che la messa in opera dei conci è completata, la centina è rimossa con l’operazione delicatissima e graduale del disarmo affinché l’arco entri progressivamente in carico.


Gli archi di Verderio

Nel nostro territorio la presenza di questo elemento architettonico è sovente ripetuta negli accessi a cascine e corti. Si tratta di archi prevalentemente a tutto sesto in pietra o in mattoni.

Via Fontanile
Piazza Roma
Casa parrocchiale Verderio Superiore



e a sesto ribassato.


Via Contadini Verderesi

Cascina ai Prati

Troviamo invece esempi di arco a sesto acuto all’interno della chiesa parrocchiale dei santi Giuseppe e Floriano




Chiesa dei santi Giuseppe e Floriano

nelle finestrature delle cascine Salette e Bergamina.


Cascina La Salette

Cascina Bergamina


Di tipologia più rara almeno sui nostri territori, è l’arco Tudor visibile in modo chiaro nell’edificio dell’Aia sia nelle finestrature, sia nelle arcate del corpo di fabbrica.






Aia

Capita poi che questo elemento architettonico utilizzato nelle finestrature, sia murato qualora la distribuzione interna degli edifici subisca delle variazioni.




Edificio ex arte del ferro, via Principale


Portineria di Villa Gnecchi

Laura Mandelli, Enrico Seregni





L'ARCO di Giancarlo Consonni, docente di urbanistica

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All'architetto Giancarlo Consonni ho chiesto:




"Mi parli dell'arco"




E lui mi ha risposto:

 La lingua greca antica sta al sistema trilitico (due colonne e una trave orizzontale), come il latino sta all'arco.

Il greco antico usa un procedimento paratattico, procede per aggiunte ed è  aperto (a parole si affiancano  parole; le stesse parole sono composite: parole a cui si attaccano altre parole, come fossero trenini) ; il latino, soprattutto quello scritto, usa una costruzione conclusa, dove inizio e fine sono fortemente legati. Questi caratteri della lingua rinviano a visioni del mondo e a idee del cosmo. Nella Grecia antica il logos era più libero; nella Roma antica l'argomentare pretendeva di arrivare a definizioni conclusive, normative (da cui la rilevanza della legge). 





Nell'acquedotto romano l'arco è anche una metrica, come lo è la centuriatio: la volontà di dare una misura al mondo conosciuto, per dargli una forma, per regolarlo, normarlo. A partire da un centro che è la città, ma con Roma centro del mondo; cosa che, in altra accezione, il Cattolicesimo ha fatto suo.





Il mondo cristiano ha reinterpretato l'arco. Si pensi agli interni delle cattedrali gotiche, dove il soffitto diviene rappresentazione della volta celeste. Ma si pensi anche agli edifici a pianta centrale, con la grande cupola al centro e le cupole minori che le fanno da complemento: una struttura architettonica in cui l'opera umana aspira a imitare e rappresentare la perfezione dell'universo.










IL MITO DELLA CAVERNA - Autori vari - Verderio

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Video realizzato la sera del 6 settembre 2014, sul sagrato della chiesa dei santi Giuseppe e Floriano di Verderio































BANCHETTO PER GLI OCCHI. LA RAPPRESENTAZIONE DEL CIBO NELL'ARTE. Conferenza di Elisabetta Parente

IDENTITA' CROMATICA mostra personale di Carla Colombo

ALCUNE RICETTE PER DETERSIVI "FAI DA TE" di Cristina Villa

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Queste sono alcune ricette per detersivi fatti in casa, presentate  da Cristina Villa, mia cognata, a un incontro organizzato dal GAS (Gruppo di Acquisto Solidale) di Ronco. Nelle fotografie, scattate durante la serata, oltre a Cristina è presente la sua formidabile assistente, Maddalena. M.B.


ALCUNE RICETTE PER DETERSIVI "FAI DA TE" di Cristina Villa







ADDITIVO IN POLVERE PER LAVATRICI
 

Ingredienti:
400 g soda solvay
200 g bicarbonato di sodio
200 g percarbonato di sodio
100 g fecola di patate
 

Preparazione:
Unire tutte le polveri in un frullatore in modo che si miscelino bene. Riporre in un barattolo con il collo largo.
 

Uso:
2 cucchiai nel cestello della lavatrice insieme al bucato








DETERSIVO PER LAVASTOVIGLIE TUTTO ECOLOGICO.
 

Ingredienti:
400 g di soda solvay
20 g acido citrico
100 g percarbonato di sodio
 

Preparazione:
raccogliere tutte le polveri in un frullatore e frullare. Mettere poi tutto in un contenitore.
 

Uso:
mettere 2 o 3 cucchiai nella vaschetta della lavastoviglie ed avviare il programma scelto.





SPRAY AL LIMONE PER RUBINETTI
 

Ingredienti:
500ml di aceto bianco
20 g di acido citrico
Il succo di un limone

Preparazione:
versare l’aceto in una scodella; aggiungere l’acido citrico. Mescolare con un cucchiaio fino al completo scioglimento.
Spremere il limone, filtrare il succo ed unirlo all’aceto
Travasare in un flacone.
 

Uso:
spruzzare sui rubinetti e passare una spugna umida. Non sciacquare, ma asciugare con cura.







DETERGENTE PER CERAMICA, GRES, LAMINATI
 

Ingredienti:
350 ml di aceto bianco
250 ml di alcol etilico denaturato (alcol rosa)
Acqua del rubinetto
10 ml detersivo per piatti (facoltativo)
 

Preparazione:
in un flacone da un litro, possibilmente con tappo dosatore, versare l’aceto e l’alcol. Riempire d’acqua e aggiungere il detersivo per piatti. Chiudere e agitare più volte per miscelare gli ingredienti
 

Uso:
versare 50 ml in mezzo secchio d’acqua e procedere con le pulizie.



LISCIVA DI CENERE
 

Ingredienti:
300 g di cenere
4 litri di acqua
 

Preparazione:
setacciare la cenere, metterla in una pentola di acciaio e aggiungere l’acqua. Mettere la pentola sul fuoco e portare ad ebollizione . Lasciare sobbollire per 2 ore, rimescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno o di acciaio. Mettere la pentola in un luogo dove potrà rimanere indisturbata fino al giorno dopo. Durante questo tempo la cenere si depositerà sul fondo, mentre la parte liquida soprastante sarà la lisciva vera e propria.
Il giorno seguente, senza muovere la pentola e senza sollevare la cenere dal fondo, prelevare la lisciva con un mestolo e raccoglierla in una bottiglia, servendosi di un imbuto ricoperto da un panno bianco, per filtrare eventuale cenere che si fosse mossa.
 

Uso:
la lisciva è un prodotto sgrassante, da usare direttamente, ad esempio, per pulire l'acciaio o come detergente in lavatrice, o  come base di altri prodotti, come avviene nelle due seguenti ricette.
La pasta di cenere , che si deposita sul fondo durante la preparazione, può essere utilizzata come detergente per stoviglie.








SPRUZZINO PER VETRI E MULTIUSO ALLA LISCIVA
 

Ingredienti:
250 ml di lisciva di cenere
150 ml di aceto bianco
100 ml di alcol etilico denaturato (alcol rosa)
1 ml di detersivo per piatti, cioè una spruzzatina (facoltativo)
 

Preparazione:
versare la lisciva in un spruzzino da 500 ml; aggiungere alcol, aceto e, per ultimo, il detersivo per piatti. Chiudere e agitare.

Uso:
spruzzare sulle superfici e pulire con un panno umido.

 

SAPONATA PER LAVATRICE
 

Ingredienti:
2 litri di lisciva
Un sapone di Marsiglia
 

Preparazione:
in una pentola di acciaio versare la lisciva, aggiungere il sapone di Marsiglia tagliato a pezzi e lasciar riposare per 6 – 7 giorni. Trascorso tale tempo, frullare con un frullatore ad immersione e, con l’aiuto di un imbuto, travasare in bottiglie.
 

Uso:
mettere 100 – 120 ml nella vaschetta della lavatrice, dopo aver avviato il programma di lavaggio.






Alcune indicazioni su dove acquistare gli ingredienti usati: la soda solvay la potete trovare nei supermercati, non in tutti ma quasi; anche il percarbonato di sodio lo trovate nei supermercati, ma dovete stare attenti perché in molte confezioni non è puro ma mischiato con additivi. Quello buono io lo trovo presso l'INS di Vimercate.
L'acido citrico lo potete trovare presso i “biomercati”.



Cristina Villa





















IL MESTIERE DI SINDACO: BRUNO MAPELLI SINDACO DI VERDERIO INFERIORE DAL 1973 AL 1990 di Marco Bartesaghi

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Bruno Mapelli, che è stato dirigente IBM per tanti anni, oggi, in pensione, non ha un computer e non viaggia, mai.
Sono le prime cose che scopro di lui, mentre armeggio con il registratore, con il timore che ho sempre, accendendolo, che non funzioni e, spegnendolo, che sparisca tutta la registrazione, come una volta effettivamente è accaduto.


Al mio stupore risponde che, proprio perché pensionato, teme di passare davanti al computer tutto il tempo libero, per cui lo ha eliminato. E poi, appunto perché ex IBM, l’ha già usato tanto quando lavorava.
Per lavoro ha anche girato il mondo in lungo e in largo quindi, da vent’anni, non va più in vacanza.
Bruno Mapelli, classe 1947, sposato, dal 1971, con Sandra Maria Ponzoni, è stato sindaco di Verderio Inferiore dal 1973 al 1990. Questa intervista verte sulla sua attività di amministratore pubblico, ma prima parliamo della sua professione e della sua famiglia.


LA FAMIGLIA E IL LAVORO

Bruno (B) - . Sono perito chimico, ma la mia aspirazione era quella di fare il medico, perché sono un animale sociale, e fare il medico mi avrebbe permesso di rendermi più utile agli altri.
 

Marco (M)– Perché hai rinunciato?
B - Mio papà, Carlo, è morto quando avevo 15 anni e mezzo. Si era ammalato di TBC, proprio l’anno in cui nascevo. Allora non c’era ancora la penicillina. Ti curavano con il pneumotorace: iniettavano aria tra pleura e polmone per tenerli staccati. In quel momento era l’unica cura. Ha tirato avanti con problemi cardiaci e respiratori, finché è morto all’età di 57 anni.
 

M- Che mestiere faceva?
B - Lavorava in una ditta di Milano che produceva vino, lo imbottigliava e lo distribuiva. Servivano tutte le grosse osterie della città. Lui era un po’ il capo e quindi prendeva anche un buon stipendio.
Con la sua morte, però, ho dovuto mettere da parte l’aspirazione a fare il medico, anche se mia sorella Carla e suo marito Ermanno, non avendo figli, mi incoraggiavano a farlo.
 

Curt de la palasina
M – Non ne hai approfittato?
B – No, sarei dovuto arrivare fino a 26 - 27 anni sulle loro spalle. Mi sono detto “comincio a fare il perito chimico e poi si vedrà”: anche allora si poteva andare all’università, facendo un esame di ammissione. Però, quando ho finito le superiori, non c’era più una lira da nessuna parte, mia mamma non lavorava, anzi era malata anche lei …
 

M – Eravate rimasti tu, tua mamma e tua sorella?
B - Avevo anche un’altra sorella, Angela, che era suora, del Sacro Cuore a Brentate, una frazione di Sulbiate, col nome di Teodolinda (come la nonna materna). Lei aveva deciso di farsi suora a 19 anni; Carla si è sposata molto giovane, aveva circa 18 anni. Il papà le aveva incoraggiate. Solo che i pochi risparmi erano finiti. Anche la suora, per dire, aveva dovuto portare la dote, perché allora si usava così.
 

M – Dove abitavate?
B - Quando sono nato io, abitavamo in via Roma 13, in “curt de la Palasina”. Le mie sorelle, che erano molto più anziane di me, una del 1934 e l’altra del '35, erano invece nate in via Piave, nella “curt di Fereé”. Mia mamma, Agnese Oggioni, era di Verderio Superiore, cascina Alba.


M – Torniamo al tuo lavoro: in IBM che compiti svolgevi?
B – In IBM ho compensato in parte il fatto di essere un medico mancato: ero diventato responsabile del servizio infermeria e avevo sotto di me i medici. Anzi ti dirò di più: quando è uscita la legge 626, quella antinfortunistica, sono diventato responsabile del servizio prevenzione e protezione di tutta l’IBM Italia. Inoltre ero responsabile, sempre per l’IBM, della protezione ambientale di “Europa, Medio Oriente e Africa” e per la sicurezza sul lavoro di “Spagna, Portogallo, Israele e Turchia”.
 

M - Viaggiavi molto per questo ruolo nell’ambito della sicurezza?
B - Moltissimo. Per questo adesso non viaggio più. Andavo a fare delle revisioni, a promuovere programmi. Ero impegnato anche sul risparmio energetico e sul problema ambientale e sono stato  membro della commissione ambiente di Confindustria e di Assolombarda.


M - A che livello di Confindustria?
B - A livello nazionale. Si discuteva delle leggi ambientali e della loro applicazione. Ti rendevi conto di  quanto fosse variegato il mondo delle imprese. I politici ti chiedevano di fare delle proposte, ma quello che andava bene a un settore, non andava bene a un altro, gli interessi erano contrapposti.


M – Non erano in nessun modo conciliabili?
B - Si trovavano delle sintesi ma, come tutte le sintesi, erano annacquate e quindi i politici che le ricevevano non erano in condizione di poterle tradurre in provvedimenti efficaci.
 

M – Di che anni stiamo parlando?
B – Anni ottanta. Andavo anche a parlare nelle Università, perché la politica ambientale IBM era all’avanguardia a livello mondiale. Superava le leggi vigenti dappertutto.
 

M - In che senso?
B - Che era oltre, e applicava le proprie regole molto avanzate anche nei paesi in cui le leggi non c’erano. Molto prima dei tempi previsti dalla legge americana, l’IBM aveva tolto il freon, uno dei gas colpevoli del buco dell’ozono, dai suoi processi di produzione; in Sudafrica, dove le leggi ambientali erano poca cosa, nelle nostre sedi, usavamo gli stessi criteri che usavamo negli Stati Uniti, cioè i più restrittivi.
Questo principio non valeva solo per gli ambienti di lavoro. Anche nel marketing l’ obiettivo era di costruire macchine che fossero più ecologiche possibile e che a fine vita potessero essere riciclate fino al 90%. Per questo bisognava collegarsi ai reparti di progettazione: ad esempio, se mettevi un’etichetta adesiva su una parte in plastica riciclabile, spendevi di più a togliere quell’etichetta di quanto risparmiassi riciclando il prodotto: non era più conveniente.
 

M -E quindi?
B - E quindi il laboratorio trovava altre soluzioni: ad esempio stampava la scritta direttamente sulla plastica. Fra i  programmi IBM  c'era la ricondizionatura: alle macchine in buono stato si cambiavano i pezzi usurati e poi si vendevano come usate.
Uno dei miei compiti era di andare in giro a promuovere questi programmi.
 

M - Quando sei andato in pensione?
B - Nel 2003, dopo 37 anni di lavoro, ma sono rimasto ancora come consulente fino al 2008. In seguito, siccome ero stato responsabile dei servizi ausiliari di due stabilimenti, fra cui quello di Vimercate  …
 

 
Stabilimento IBM di Vimercate (foto da web)



M – I servizi ausiliari cosa sono?
B -Sono i servizi di base: energia elettrica, aria compressa, riscaldamento, raffreddamento: ero il responsabile della manutenzione di tutti questi impianti e quindi ne ero diventato la memoria storica. Così, quando c’è stato il progetto di adibire lo stabilimento di Vimercate alla produzione di pannelli fotovoltaici, mi hanno richiamato, ancora per un anno e mezzo, per dare una mano. Poi non se ne è fatto niente, e adesso tutto è lì praticamente chiuso. È un peccato (1).
 

M - C’è ancora tutto?
B – Sì, ma adesso sarà tutto lasciato andare e ormai sarà anche obsoleto.
 

M – Altri incarichi?
B - Ho lavorato anche all’ufficio assunzioni dello stabilimento di Vimercate.
 

M – Una curiosità. Due dei sindaci che ti sono succeduti a Verderio Inferiore, Primo Oliveira e Alessandro Origo (2), erano anch’essi dipendenti IBM …
B – Sì, Oliveira era un ingegnere dell'IBM, che adesso lavora a San Francisco. Era segretario della DC.
 

M – E Origo?
B – Sandro lo conosco da una vita. Siamo cresciuti insieme, nati tutti e due in “curt de la Palasina”, lui ha due anni meno di me. Anche lui è perito chimico. In IBM io ero in produzione, lui in laboratorio; io ero dirigente, lui rappresentante sindacale. 



SINDACO A 26 ANNI


M - Diventi sindaco di Verderio Inferiore nel 1973, quando Enrico Zoia si dimette …(3)
B - Zoia aveva cambiato lavoro e quello nuovo era dalle parti di Busto Arsizio. Stava là tutta la settimana e, così, era difficile fare il sindaco. Io ero già il suo vice.
 

M - Quando erano state le elezioni?
B -Nel 1970.
 

M – Era la prima volta che venivi eletto?
B – Sì. Prima di quell'esperienza avevo fondato, insieme ad altre persone, un centro giovanile, che si chiamava CGV, Centro Giovanile Verderiese - non superiore o inferiore, solo verderiese, perché già allora avevo quest’ottica unitaria. Era un centro culturale, apartitico.  


M - Chi faceva parte di questo circolo?
B - Io ero il presidente, poi c’era un direttivo con Leonello Colombo, Orazio Fumagalli, Felice Pozzoni, tutte persone che in seguito sono diventate amministratori comunali. Poi c’erano altri giovani.
 

M - In che anni siamo?
B - Metà anni sessanta: 1965, ‘66 ….. Lo abbiamo chiamato verderiese perché volevamo coinvolgere anche quelli di Verderio Superiore. Io ero collegato, con Franco Colombo, Elio Sala, Tarcisio Sala, Colombo Mario (4). E volevo coinvolgerli. Una persona che ci ha aiutato molto e ha avuto un ruolo importante è stato un chierico che aveva più o meno la nostra età e veniva dal seminario di Venegono, don Peppino Maffi. Ora è monsignore e, del seminario di Venegono, è diventato rettore. L’ho incontrato recentemente, perché è venuto da queste parti a fare le Cresime, e si ricorda ancora di quell’esperienza.
 

M - Cosa proponevate?
B - Organizzavamo dibattiti interessanti: ne ricordo uno sull’enciclica Humanae Vitae. Organizzavamo gite e portavamo la gente a sciare. Avevamo messo in piedi anche un inizio di biblioteca, una cosa da poco, però era un inizio. Io e altri, che avevamo dei libri disponibili, li avevamo portati lì.
 

M - In quegli anni c’era un’associazione giovanile anche a Verderio Superiore, quella di Giulio Oggioni (5) e altri. Avevate contatti?
B - È venuta un po’ dopo. Prima mi sono dimenticato di citare Giulio, ma lui è sempre stato un fulcro per queste cose.
 

M - Quando è nato il CGV tu non eri ancora consigliere comunale. Come vi rapportavate con l’amministrazione ?
B – La criticavamo. L'accusavamo di non fare niente per i giovani, del fatto che i giovani andavano via, eccetera. Insomma, le solite cose. Però erano critiche che volevano essere costruttive, perché in fondo erano democristiani come noi. Zoia, poi, era uno che s'era dato da fare, s'era sbattuto veramente.
 

M – Avevate una sede, un punto di ritrovo?
B – Dove adesso c'è l'ufficio postale, c'era un circolo ricreativo, un CRAL, di cui era presidente Antonio Colombo, il papà di Leonello. Ci trovavamo lì.
 

Sulla destra dell'immagine l'ufficio postale. Nello stesso edificio era la sede del municipio di Verderio Inferiore
 
M – In quel edificio poi c'è stato il municipio di Verderio Inferiore, se non sbaglio?
B - Sì era lì dentro. In origine era un solo piano. Poi era stato rialzato di uno e noi, come amministrazione, l’avevamo rialzato di un altro ancora. L’ultimo piano era adibito ad alloggio per il segretario comunale. Allora per convincere un segretario comunale a venire in un paese piccolo come il nostro, per il quale veniva pagato di meno, bisognava concedere qualcosa e scendere a qualche compromesso: gli avevamo fornito un appartamento.
 

M - Dov'era il municipio di Verderio Inferiore prima di essere collocato lì?
B – Era nel sottoscala delle scuole elementari [ora sede della scuola dell'infanzia "L'Aquilone"] scuola dell'. Il consiglio comunale si faceva nelle aule scolastiche.
 

M - E gli uffici?
B - Gli uffici … c'era un impiegato e un messo comunale. Non è che ci fossero tante cose. Eravamo un migliaio di persone, 980. E la gente continuava ad andar via.
 

M - E il salone dietro, dove adesso ci sono gli ambulatori?
B – Quello era una chiesa sconsacrata, perché quell’area era occupata dal vecchio oratorio maschile del paese, abbandonato quando era stato costruito il nuovo oratorio.
 

M - In quali anni?
B - Ero un bambino, avrò avuto 7 o 8 anni, quindi 1954/ '55.



 

Villa Gallavresi prima di diventare sede del municipio di Verderio Inferiore (foto GC.Cerdea)
M – Dopo però, al piano terra è entrato l'ufficio postale. Come mai?
B – L'ufficio postale, che prima era dove adesso c'è la fiorista, continuava a subire rapine. Gli impiegati minacciavano di rifiutarsi di lavorare. Le poste ci dicevano che se non avessimo trovato un'altra sede, l'ufficio sarebbe andato via. Così abbiamo deciso di fare un sacrificio e di portare gli uffici comunali al primo piano, anche se non c'era l'ascensore. Ci siamo anche accollati la spesa di un vigilantes, pur di non far chiudere l'ufficio.
 

M – La scelta di acquistare villa Gallavresi per farne il municipio è stata una scelta delle tue amministrazioni?
B – Sì, sì. Guardavamo a villa Gallavresi perché il comune al primo piano non andava bene (barriere architettoniche, e non solo). Però era difficile perché di soldi non ce n'erano e anche perché molti consiglieri comunali non erano propensi a fare mutui, cioè a fare “debiti”. Allora io dovevo far capire che erano sì debiti, ma momentanei, che non erano fini a se stessi, che si riusciva poi a pagarli. Senza fare di questi debiti, neanche i buchi delle strade si sarebbero riparati. Le nostre uniche entrate erano la tassa di famiglia - e tieni conto che a Verderio eravamo tutti operai e agricoltori, più quattro commercianti e quattro osterie – e il dazio sui materiali edili e su altre cose.
M – I trasferimenti dallo stato?
B - Non c'erano ancora.


LA FOGNATURA E L'IMPIANTO DI DEPURAZIONE

M – Sei stato sindaco per un periodo abbastanza lungo, dal 1973 al 1990, tre tornate amministrative e mezza: quali sono stati i problemi più grandi che hai dovuto affrontare?
B - Quello della fognatura credo sia stato il più impegnativo. Tutta la fognatura di Verderio Superiore veniva scaricata in una cava poco a valle di cascina ai Prati. Una situazione antigienica, che portava un sacco di topi. In più, quando pioveva tanto, l'acqua tracimava e allagava tutta la zona circostante. Era quindi necessario costruire un impianto fognario, ma, contemporaneamente si doveva pensare a un depuratore: sarebbe stato inutile costruire il primo, senza pensare al suo punto d'arrivo, il secondo. A Vimercate stava nascendo il consorzio nord est milanese. Io volevo aderire, ma la provincia di Como non era disposta ad aiutarci; allora abbiamo dovuto arrangiarci da soli e abbiamo costituito un nostro consorzio.
 

M - Chi ne faceva parte?
B – Verderio Inferiore e Superiore, Paderno d'Adda e Robbiate.
 

Depuratore (foto GC. Cereda)


M - Difficoltà?
B - Il problema che ci si presentava era quello di dove mandare l'acqua in uscita dal depuratore, non essendoci a valle un corso dove scaricarla. L'unica soluzione, purtroppo costosa, era quella di riportarla nell'Adda, utilizzando delle pompe. Inoltre, per evitare che si allagasse il territorio di Aicurzio in occasione di acquazzoni particolarmente violenti, si era dovuto costruire uno scolmatore vicino a Paderno.
La persona che più si è impegnata per risolvere il problema della fogna è stato Leonello Colombo, che è stato anche il presidente del consorzio.
 

M - Per il depuratore, se non sbaglio, ci sono stati un po’ di problemi fra Verderio Superiore e Inferiore?
B - No, direi di no. Il grosso problema l’abbiamo avuto con Paderno e Robbiate, su come ripartire le spese, sia per la costruzione che per la gestione. Per la costruzione qualche contributo l’avevamo ottenuto, ma la gestione costava. Paderno diceva che era troppo, Robbiate anche. Allora abbiamo chiesto al tecnico, che stava seguendo la realizzazione dell'impianto, di trovare un sistema di ripartizione delle spese, che tenesse conto o del numero degli abitanti o dei metri cubi equivalenti forniti al depuratore dai vari comuni.
Questo consorzio è stato attivo finché è subentrata ECOSISTEM.


L'on. Ezio Citterio inaugura il depuratore consortile. Nella fotografia si riconoscono : Bruno Mapelli, alle spalle di Citterio; il sindaco di Merate Luigi Zappa, al centro con il cappotto scuro; Leonello Colombo, il primo a sinistra; Felice Pozzoni, il secondo da sinistra (foto da libro "Verderio")


ALLARME ACQUA POTABILE

M – Altri problemi affrontati?
B – Un altro grosso problema  è stato quello dell’acqua potabile. Noi avevamo un unico pozzo, in piazza Annoni, dove c’era la torre dell’acquedotto e adesso c'è il monumento ai caduti. L’acqua era sempre andata bene, cioè era sempre stata considerata potabile, secondo le misurazioni fatte dagli enti preposti. Quando questi hanno adottato nuovi strumenti di misura, la nostra acqua non rientrava più nei parametri di potabilità: conteneva solventi clorurati, trielina, in quantità superiore ai limiti consentiti.
 

M - Non era cambiato niente nell’acqua, ma erano cambiati i criteri di misurazione?
B - Non i criteri, gli strumenti. Quindi il pozzo doveva essere chiuso …
 

M – Era inquinamento dovuto all’agricoltura?
B - No, l’agricoltura avrebbe portato un eccesso di nitrati, per via dei concimi. Invece i nitrati erano a posto. Era inquinamento da trielina, probabilmente da qualche fabbrica di cromatura a monte, magari verso Calco, Olgiate. Le acque della falda vanno da nord a sud, e anche gli inquinati scendono verso sud, dove siamo noi. Ero disperato, non sapevo come fare. Verderio Superiore aveva l’acqua della Fonte Regina e del pozzo di  Cascina San Carlo: insufficienti per alimentare i due paesi.
Allora ho chiamato un tecnico, un signore anziano che qualcuno mi aveva indicato. Questo signore, un vecchietto che avevo anche paura a far salire sulla scala dell’acquedotto, mi disse: “no, no, si può risolvere, si può risolvere”. Come? Ero chimico anch’io ma non vedevo la soluzione. “Se all'interno della torre piezometrica facciamo nebulizzare l'acqua, i solventi che contiene si separano, perché sono molto più leggeri, ed evaporano: così li eliminiamo”. L'abbiamo fatto e l'acqua è ritornata ad essere considerata potabile.
 

 
La torre piezometrica in piazza Annoni


M – Tutto questo in che anni succedeva?
B - Anni ottanta. Questo problema aveva anche fatto nascere delle domande inquietanti: se l’acqua era inquinata anche prima che ce ne accorgessimo, non avrebbe potuto avere effetti cancerogeni? Per tranquillizzare gli animi ho dovuto fare un'assemblea pubblica con un esperto, il professor Silvio Garattini (6).
 

M – Cosa disse?
B - Spiegò che i solventi clorurati non si accumulano nell’organismo, perché nel momento in cui si respira vengono eliminati. Non essendoci accumulo non c'è possibilità che si sviluppi il cancro. Le minoranze su questo tema erano agguerrite, giustamente. Però eravamo intervenuti subito, non è che avessimo sottovalutato il problema.
 

- E l’avevate risolto ...
B - Però in quel momento ci siamo resi conto che anche l'acqua era diventato un problema. Così abbiamo puntato ad entrare nel consorzio dell’acquedotto meratese. Anche lì c’erano i pro e i contro, le minoranze ci stavano e non ci stavano, comunque siamo andati avanti.
 

M - Perché le minoranze non ci stavano?
B – Dicevano che, essendo piccoli, non ci avrebbero tenuto tanto in considerazione
 

M - Il complesso di essere piccoli?
B - Sì, c’era il complesso di essere piccoli. Invece dopo ci siamo trovati bene, anche per il fatto di essere entrati nell’ Acquedotto della Brianza, che pescava l’acqua da fonti del lago di Lecco, e ci garantiva l’approvvigionamento, attraverso condotte che doveva fare anche per Merate. Da questo acquedotto ricevevamo anche un contributo. Che è un po' quello che succede ancora adesso, anche se la società è cambiata.


    

Perché questa fotografia? Perché la costruzione indicata dalle frecce, alle spalle dei cresimandi era il cosidetto "buton", la fontana a cui attingevano l'acqua gli abitanti di Verderio Inferiore. Si trovava sull 'angolo dell'attuale via  IV Novembre (foto propr. Giorgio Oggioni)





IL PIANO REGOLATORE GENERALE


M - Tu sei stato anche il sindaco del primo piano regolatore di Verderio Inferiore …
B - Sì, avevamo iniziato a lavorarci da subito. Prima c'era un regolamento edilizio che, però, faceva acqua da tutte le parti. Quando abbiamo cominciato a fare i rilievi per il nuovo piano, abbiamo trovato case dove dovevamo costruire le strade. Case vecchie, che forse erano state costruite ancor prima del regolamento edilizio, ma che non erano segnate da nessuna parte.
 

M – Cosa vi aveva convinto della necessità di avere un PRG?
B - Siamo intervenuti anche perché la Regione Lombardia cominciava a premere verso i comuni che ancora non lo avevano. Addirittura aveva fatto una legge, che secondo me era stata uno sbaglio, secondo la quale, nei comuni senza un piano regolatore si potevano comunque costruire capannoni artigianali, anche in zone agricole, purché non superassero un decimo di copertura [ es.:per fare un capannone di 1000 metri quadri ce ne volevano 10000]. Era un modo anche per spingere i comuni a dotarsi di un piano regolatore.
 

 
Lavori per la costruzione di via Zamparelli (foto GC. Cereda)

 
M – Sei soddisfatto del PRG che avete predisposto?
B – Sono convinto che il nostro Piano sia stato fatto con un criterio di salvaguardia del centro storico. Forse anche un po' troppo restrittivo, tanto da non aver sempre favorito la ristrutturazione dei cortili: era più facile spostarsi verso le costruzioni nuove, anche perché costava meno. È stata fatta qualche ristrutturazione ma il sistema era un po' macchinoso: bisognava delimitare i comparti, e così via. Ma era quello che si poteva fare in quel momento.
 

M - La minoranza vi contestava la previsione di un'eccessiva espansione …
B – Sì. Devo anche essere sincero: non credevo che lo si sarebbe mai completato. Chi immaginava, allora, che tanta gente avrebbe deciso di venire a Verderio ad abitare? Invece venivano in molti, si cominciava a costruire condomini. Per la zona di via Zamparelli, ad esempio, era prevista tutta edilizia convenzionata: chi pensava che si venisse a Verderio a costruire in edilizia convenzionata? Invece è successo.
C'è stato movimento anche a livello industriale: in poco tempo erano stati creati 150 posti di lavoro.
Il PRG conteneva anche alcune buone idee riguardanti il traffico. La circonvallazione [via Caduti della Libertà, via Manzoni], che sembrava dovesse rimanere sulla carta perché troppo costosa, invece è stata fatta.
Quello che ci manca adesso, che però sarebbe anche facile da realizzare, è una circonvallazione sul lato est del paese che potrebbe incrociarsi con la strada provinciale verso Cornate e che libererebbe Verderio Superiore di un po’ di traffico, perché quello proveniente da Sulbiate non dovrebbe più passare per il centro del paese.



[Dispiace dover distinguere ancora, così spesso, fra Verderio Superiore e Inferiore, ma non c’è altro modo più comodo per farsi capire]




L'incrocio fra via Sala e via Caduti della Libertà (foto prop. GC. Cereda)


LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI

M – Lo smaltimento dei rifiuti è un problema che si è fatto via via più importante. A quei tempi come agivate?
B – Fino a un certo momento le cose erano state abbastanza semplici: i rifiuti organici venivano mischiati al concime e utilizzati nei campi. Carta e legno venivano bruciati. Quel poco che avanzava – plastica in pratica non ce n’era ancora – negli anni settanta, inizi anni ottanta, lo conferivamo a un forno inceneritore che era stato costruito dal comune di Merate. Più che un forno era uno “stufone”, una grande stufa …
 

M – Era un impianto controllato da qualche ente?
B – Insomma ... erano altri tempi. Avevamo anche iniziato, in modo pionieristico, una raccolta differenziata. Il proprietario del bar in piazza faceva un po' da straccivendolo: ritirava ferro e altri materiali e li vendeva. È stato lui a proporci di fare la raccolta differenziata. Avevamo messo nei cortili dei bidoni di plastica e la gente cominciava a dividere le lattine di ferro, il vetro, la carta (questa un po' meno perché si bagnava). Il signore del bar vendeva quello che raccoglieva e ci guadagnava qualcosa e noi non pagavamo niente.




Forno inceneritore di Valmadrera (foto Resegone - online)

M – Poi però il problema si è ingrandito …
B – Sì, e si è cominciato a parlare del forno inceneritore, uno vero, a Valmadrera. Noi siamo stati fra i primi ad aderire al consorzio, quando il forno era ancora in progettazione. Poco dopo di noi è entrato anche Verderio Superiore. Appena c'era un consorzio sovracomunale noi aderivamo, perché, per il discorso della sinergia, ritenevamo che un servizio dovesse per forza costare di meno. Era una nostra visione politica, che penso abbia pagato.





UN CAPANNONE "FUORI LUOGO"

M – Mi sembra che tu sia soddisfatto dei risultati raggiunti dalle tue amministrazioni. C’è almeno una cosa che non rifaresti?
B - Permettere la costruzione del capannone, oggi Del Curto (7), in zona agricola. Per la legge regionale di cui prima abbiamo parlato, che consentiva, in assenza di PRG, di costruire con una copertura fino a un decimo dell’area posseduta, eravamo stati costretti a conceder il permesso.
 

M – Non era ancora la ditta di adesso, la Del Curto?
B – No, era una società che costruiva prefabbricati in cemento, la ditta Lissoni.
Abbiamo discusso fino all'ultimo, e fino all’ultimo abbiamo cercato di dissuaderli. Devo anche dire, che eravamo combattuti: quello era uno dei primi capannoni che venivano costruiti a Verderio, fra l'altro nel settore edilizio. Noi avevamo muratori a bizzeffe, che per lavorare dovevano andare in bicicletta nei paesi vicini. Per questo eravamo combattuti: da un lato ci sembrava giusto bloccare la costruzione (ma se la ditta avesse fatto ricorso al TAR avrebbe vinto), dall'altro lato c'era da considerare che avrebbe potuto dare lavoro: magari solo a 10 persone, però quelle 10 persone avrebbero trovato lavoro qui.
L'unico beneficio ricavato da questa storia è che, in cambio della concessione, dalla ditta abbiamo avuto il terreno dove adesso c'è il campo di calcio.



LA POLITICA COME SCELTA DI SERVIZIO

M – Chi, più di tutti ha condiviso il tuo impegno?
B - Leonello Colombo, che è stato sempre il mio vicesindaco, Felice Pozzoni e Orazio Fumagalli (8). In giunta inserivamo sempre qualche giovane. Ma restavano una volta sola e poi se ne andavano.
 

 
La palestra in costruzione (foto prop. GC. Cereda)



M - Hai smesso di fare il sindaco nel 1990. Quali sono stati i tuoi impegni successivi?
B - Ho fatto il presidente del consorzio del centro sportivo. Un esperienza … Ci voleva una pazienza di Giobbe. Pensa che ho dovuto misurare al millimetro, perché la palestra doveva essere perfettamente metà di qua (Verderio Inferiore) e metà di là (Verderio Superiore).
Poi sono entrato nel consorzio dell'acquedotto di Merate e, quando è diventato S p A, sono stato nel direttivo, dove sono rimasto anche nei passaggi successivi della trasformazione della società. In seguito  sono entrate altre persone più “partitizzate” e io mi sono fatto da parte e ho smesso di fare politica attiva, anche se mi spiace perché un po' manca. Ma non mi troverei più bene, anche le persone sono cambiate, non so se in meglio o in peggio. Sono diverse, da come la penso io, da come sono cresciuto . Un po' più arroganti: sembrano tutti usciti da Harward, tutti bostoniani.
 

M – L'umiltà, come categoria politica, non è mai stata tanto in auge...
B - Ci sono sempre stati i politici rampanti. Ma, quelli rampanti - rampanti di strada ne hanno sempre fatta poca; quelli rampanti, che però avevano qualcosa sotto, un po' di carriera l'hanno fatta. Insomma ho fatto il mio tempo. Se mi chiedono qualcosa, un aiuto, un consiglio, ci sono. Con Origo, l'attuale sindaco, c'è sempre un dialogo aperto e, di fronte ai problemi seri, ci si è sempre sentiti, consultati.



M - Quali motivazioni ti avevano spinto a dedicarti alla politica?
B - Aiutare la gente, la solidarietà. Ritenevo che la politica fosse una forma di servizio verso la comunità. Poi ci sono state anche motivazioni religiose. Ero molto attento alla dottrina sociale della chiesa.
 

M - Sei sempre stato eletto sindaco in liste della Democrazia Cristiana (DC) …
B – Sì, non si usavano ancora le liste civiche. I nostri concorrenti erano il Partito Comunista (PCI) e il Partito Socialista (PSI).
 



M – Come ti collocavi all’interno del tuo partito?
B - La DC era composta da una sinistra e una destra. Io mi sentivo più vicino alla sinistra, perché ero più in sintonia con i personaggi di questa parte, senza nulla togliere agli altri.
 

M - A quali uomini politici sei stato più legato?
B - A Cesare Golfari, presidente della regione Lombardia, al presidente della provincia di Como, Giovanni Fiamminghi, a Guido Puccio, che poi era diventato sindaco di Lecco (9).
Altri personaggi, sindaci di Merate, mi hanno aiutato molto, anche come ideali: l'ingegner Zappa, il dott. Giacomo Romerio, che è stato anche amministratore dell'ospedale di Lecco, Giuseppe Ghezzi. Tutte persone con le quali ci si poteva misurare
(10).
Naturalmente poi c’è Enrico Zoia che è stato sempre in contatto con noi.
In quel periodo stava prendendo piede Comunione Liberazione. Ho conosciuto Roberto Formigoni con cui ho spesso animatamente discusso.
 

Enrico Zoia, sindaco di Verderio Inferiore dal 1961 al 1973
M - Il partito ti aiutava anche come amministratore?
B – Sì, il partito era una scuola di politica. E poi c’erano gli altri sindaci che ti aiutavano a dirimere i dubbi.
 

M – Il tuo impegno politico andava anche oltre i confini di Verderio?
B - Ho frequentato molto la vita di partito: si facevano molti convegni interessanti, non c'era solo il congresso ogni qualche anno.
Sono stato vicepresidente dei giovani democristiani della provincia Como, quando avevo 17 - 18 anni, e partecipavo alle iniziative delle varie sezioni. Non avevo la macchina, mi portava Leonello. Siccome, però, ero un po' di sinistra mi boicottavano: mi dicevano che c'era un'assemblea in un posto e magari era stata la sera prima o era prevista per la sera dopo. E pensare che facevo chilometri e chilometri in macchina, su e giù per le valli.
 

M – Hai avuto incarichi sovracomunali?
B – Ho fatto parte del Consiglio direttivo del comprensorio lecchese, l'ente che esisteva prima che nascesse la Provincia di Lecco.
Avevo ricevuto sollecitazioni a fare politica anche a più alti livelli. Ma, mi dicevo, cosa ci vado a fare? A fare quello che è lì ad alzare la mano? Preferisco cercare di contare qualcosa nel mio piccolo paese, dove posso fare e decidere, insieme ad altri ovviamente. E l'ho fatto, fino a poco tempo fa. 


M – Come ti sembra la politica oggi?
B - Mi sembra che sia un po' caduta in basso, che non ci siano più ideali. Conta solo la finanza e l’economia, il PIL e lo spread.
È un altro mondo e questa cosa mi pesa. Anche il modo di fare politica: parlo di Renzi, un ex democristiano, come me. Io non mi sarei mai approcciato così ai problemi. So anch'io che ogni tanto bisogna tirar fuori gli attributi, ma un conto è far questo, un altro conto è rottamare di qui, rottamare di là. Come se io fossi andato da Zoia e gli avessi detto: senti Zoia tirati da parte che vado avanti io …
Questo modo di fare mi dà molto fastidio.





 



M - Quando ho intervistato Zoia, ricordo che che mi avevano molto colpito alcuni aspetti della vita politica di quando lui era sindaco. Mi riferisco, ad esempio, alle assemblee dei capi famiglia  in cui si discutevano i problemi del paese e i modi in cui affrontarli; alle lettere che spediva agli abitanti in servizio militare, per tenerli aggiornati sulla vita del comune; alle molte opere realizzate in paese attraverso il lavoro volontario, che coinvolgeva molti abitanti, senza distinzione di appartenenza politica.
B - C'era anche un modo diverso di considerare i partiti e la politica. Zoia è stato il primo a mettere in piedi una giunta di centro sinistra, con un assessore socialista. Siamo cresciuti con uno spirito aperto. Ad esempio, il nostro circolo famigliare, pur essendo considerato il circolo dei “rossi”, era aperto a tutti e il sindaco, di qualunque colore fosse, era nel consiglio direttivo. È vero che lì si facevano le feste dell'Unità e dell'Avanti, però partecipavano tutti e tutte le famiglie andavano lì a far la spesa. Siamo nati in questo ambiente, dove le differenze ideologiche non erano così marcate. I comunisti non andavano in chiesa (e anche questo non è poi così vero), però non impedivano agli altri di andarci. Alla costruzione dell’asilo parrocchiale hanno contribuito anche socialisti e comunisti: il sabato … anzi no, il sabato no perché si lavorava … la domenica, martello e cazzuola e via!
Non c'è mai stata grande differenza neanche fra quelli che andavano all'oratorio e quelli che non andavano. Al massimo un po' di goliardia: noi eravamo chiamati i “Paulòt” gli altri li chiamavamo ... mah … non so come li chiamavamo. 





M - Oggi siamo “Verderio”. Allora eravamo ancora divisi in due comuni, Inferiore e Superiore, entrambi retti da amministrazioni democristiane. Qualche tensione tra voi però c'era. Cosa ricordi?
B – Noi abbiamo sempre avuto la visione del paese unico e cercato di coinvolgere Verderio Superiore.“Se non volete unirvi a noi - dicevamo - “facciamo almeno dei consorzi”. E ne abbiamo fatti tanti .
 

M - Se siete riusciti a farli, vuol dire che anche loro ci stavano.
B – Sì, sì. Solo che quando abbiamo proposto di fare il Piano Regolatore insieme non c'è stato verso. Dicevano che non si poteva perché loro erano già più avanti di noi. 

È che a Verderio Superiore c'è sempre stata una corrente del NO all'unificazione.
L'impressione che ho sempre avuto è che temessero che noi li avremmo messi da parte: perché eravamo  più giovani e più irruenti (non alla Renzi, eh, perché non mi va). Però non abbiamo mai litigato e, devo dire, ci siamo sempre rispettati.
 

M - E col sindaco di Verderio Superiore, Armando Villa (11), come erano i tuoi rapporti?
B - Con Villa ho avuto un buon rapporto, anche se, devo dire, un po' di perplessità c'era. Sull'unificazione, probabilmente, aveva qualche difficoltà nella sua giunta, e anche in consiglio comunale. Noi invece eravamo tutti uniti e convinti di andare avanti verso l'unificazione.
 

M – Su questo tema come erano schierate le minoranze?
B - Il PCI è sempre stato con noi, a favore dell'unificazione. Il PSI no, era contrario.
Nei referendum per la fusione dei comuni, a Verderio Inferiore ha sempre vinto il Sì; sommando i voti fra Verderio Inferiore e Superiore avrebbero sempre vinto i Sì …
 

M -No, la prima volta no: la somma dei Sì era inferiore a quella dei No.
B - Però eravamo lì vicini. La seconda ancora più vicini ...
 

M - La seconda volta, facendo la somma avrebbero vinto i Sì (12).
B - Forse la prima volta non erano ancora maturi i tempi. Avevamo cominciato a spingere un po' troppo e allora gli amministratori di Verderio Superiore avevano cominciato a temere che li avremmo estromessi.
Circolava anche qualche voce che volessimo l'unificazione perché io desideravo fare il sindaco del comune unico. Questo è stato uno dei motivi per cui, nel novanta, ho deciso di farmi da parte.
 

M – Me ne hai già parlato per quanto riguarda il tema dell'unificazione, ma, se non sbaglio un po' su tutto andavate più d'accordo con i comunisti che con i socialisti …
B – Diciamo di sì ...Devo dire che, sul piano personale, i membri del PCI erano molto più leali.
 





M -Spiegati meglio …
B - Quello che avevano da dire te lo dicevano in faccia: ci sto, non ci sto. Uscivano con il volantino con scritto: vi diremo questo, questo e quest'altro. Il PSI ti diceva “Sì, sì; vedremo, vedremo”, e poi ti trovavi un volantino che ti stroncava. Ti attaccavano anche personalmente, il che non andava bene. Con Adelio Origo (13), buonanima, che era l'esponente più influente, discutevo giorno e notte - una volta ci hanno anche tirato l'acqua in testa - ma non si riusciva a smuoverlo:  se aveva un'idea quella rimaneva e basta. Secondo me volevano solo differenziarsi, sia dalla DC che dal PCI. Dovevano sempre e comunque avere una posizione diversa. Però ci siamo sempre rispettati e siamo rimasti amici.
 

M – I socialisti erano stati anche gli unici contrari all'acquisto di villa Gallavresi
B - Sì, infatti. Nonostante tutto ho sempre cercato di coinvolgerli. Una cosa che come amministratore ho sempre fatto è stata quella di coinvolgere la gente. Siamo stati i primi in tutto il meratese a costituire le commissioni di studio. Ne avevamo tre o quattro: cultura, sport tempo libero urbanistica. E anche una commissione lavoro, perché a quel tempo c'eravamo posti l'obiettivo di portare lavoro in paese, perché tutti eravamo pendolari. Volevamo che venisse qui qualche fabbrichetta, non dico la Falk o la Breda ...
 

M – Con quale risultato?
B – Qualche industria eravamo riusciti a farla venire, ed erano tutte industrie tendenzialmente pulite. Mi ricordo che con Sandro Origo, che forse era membro della commissione o indipendentemente da ciò, avevamo girato industria per industria e le avevamo schedate. Volevamo essere tranquilli che sul territorio non ci fossero problemi di inquinamento.
 

- Erano visite ufficiali? Ci andavate come Amministrazione Comunale?
B – Sì. Mi ricordo che prendevamo appuntamento con le ditte e al sabato, per un certo numero di settimane, eravamo andati a visitarle.
 

M - Nessuno si è mai rifiutato di accogliervi?
B - No, anche perché ci presentavamo in un certo modo, senza dare l'impressione che fossimo lì a creare problemi, a dare multe o altro. Volevamo solo conoscere le realtà delle loro azienda. Se riscontravamo qualche problema dicevamo: “Secondo noi questa cosa qui non va bene. Se vuole le diamo una mano a sistemarla”. Ci presentavamo anche come periti chimici. Erano incontri costruttivi.
 

M – Qualcuno accettava i vostri consigli?
B - Sì. Ricordo, ad esempio, una ditta che stava costruendo un suo impianto di depurazione. Noi ci siamo accorti che l'impianto era totalmente sbagliato. Il proprietario ci ha dato retta, e alla fine ci ha ringraziato (quando lo incontro mi ringrazia ancora). Era stato anche nostro interesse consigliarlo bene, perché il depuratore pubblico era nuovo e con il suo, sbagliato, lo avrebbe potuto danneggiare



M - Il tuo periodo di sindaco 1973 – 1990, comprende le lotte sindacali e giovanili, il dissenso cattolico e la fine dell'unità politica dei cattolici, il femminismo e i referendum sulle leggi del divorzio e dell'aborto, la diffusione dell'uso dell'eroina, il terrorismo e l'assassinio di Aldo Moro. Come hai vissuto, in prima persona, questi avvenimenti e come si ripercuotevano sulla vita del paese?
B – Ti rispondo in ordine sparso. Il clima del terrorismo l'ho respirato soprattutto nell'esperienza lavorativa.
Su divorzio e aborto avevo delle mie convinzioni: io sono cattolico, anzi cerco di esserlo, perché è difficile, però siamo in uno stato laico e i diritti vanno riconosciuti. Poi uno li può usare o non usare: sta alla libera coscienza di ognuno di noi la scelta se usarli o no.
 

M - Uso di droga, eroina. Quando eri sindaco si era presentato questo problema?
B - Qualche caso sì, però come amministrazione non è che potessimo fare più di tanto, non eravamo attrezzati. Gli interventi che avevamo fatto erano stati rivolti più che altro verso genitori.
 

M –  Il problema dell'immigrazione e il conseguente incontro con religioni, usi e costumi diversi dai nostri, cominciava a presentarsi quando tu eri ancora sindaco ma è scoppiato soprattutto negli anni successivi. Come pensi che ti saresti rapportato con questa problematica?
B – Partiamo così: se io fossi sindaco e qualcuno venisse a dirmi “costruisco una moschea”, lo lascerei fare. Per il principio generale, di cui ho già parlato prima, che in uno stato laico i diritti di tutti vanno riconosciuti. Ma anche perché ho imparato in IBM a vivere in un ambiente multietnico, dove le differenze culturali e religiose erano all'ordine del giorno, e dovevi imparare a conviverci.
Un episodio che mi ha fatto capire quanto si debba stare attenti alle usanze degli altri mi è capitato anche facendo il sindaco.



 
Bruno Mapelli con l'ambasciatore del Ghana e sua moglie


M – Racconta.
B - L'ISAM, una ditta di maglieria di Verderio, doveva stipulare un contratto con il Ghana per una grossa commessa di T-shirt. Per la firma era venuto, tramite la Camera di Commercio, l'ambasciatore del Ghana in Italia, accompagnato dalla moglie. Io ero presente e avevo fatto anche un discorso in inglese. Tutto bene: alla fine il contratto era stato firmato.
Dopodiché li abbiamo portati a mangiare all'Hotel Adda. Antipasto: salumi. Immediatamente si sono alzati e, indignati, hanno fatto per andarsene. Li ho rincorsi per capire cosa fosse successo: chi è che pensava allora alla storia del maiale, che certe religioni non lo consentivano? L'ambasciatore, un giovane colonnello dell'aviazione, era intrattabile, non ne voleva sapere, diceva:“Stracciamo il contratto perché ci avete fatto un affronto”. La moglie sembrava un pochettino più malleabile. Le ho chiesto“Ma signora cosa è successo?” Mi ha spiegato e allora le ho detto:“Facciamo sparire tutto e ricominciamo da capo, lei cerchi di convincere suo marito” e così è stato.
Questo episodio mi aveva molto colpito e fatto capire che bisognava imparare a tener conto delle diversità.





NOTE
 (1) Lo stabilimento IBM di Vimercate fu realizzato nel 1966 su un'area industriale di 287.000 mq con una superficie coperta di 110.000 mq.
(2) Primo Oliveira è stato sindaco di Verderio Inferiore dal 1990 al 1995. Alessandro Origo dal 1995 al 2004 e dal 2009 al 2014. Dal 2004 al 2009, ha ricoperto l’incarico di Assessore al Bilancio nella giunta guidata da Marina Pezzolla. Nella primavera del 2014 è stato eletto sindaco del nuovo comune di Verderio.
(3) Enrico Zoia è stato sindaco di Verderio Inferiore dal 1961 al 1973. In questo blog, sotto l’etichetta “Archivio Enrico Zoia”, puoi trovare notizie su lui e sulla sua figura di amministratore locale.
(4) Esponenti DC di Verderio Superiore. Tarcisio Sala è stato per molti anni vicesindaco e assessore ai lavori pubblici; Mario Colombo è stato assessore ai servizi sociali. Franco Colombo e Elio Sala sono stati consiglieri comunali.
(5) Giulio Oggioni è stato consigliere comunale per due tornate amministrative, negli anni settanta e ottanta del secolo scorso. Durante il secondo mandato è stato assessore alla ciltura e allo sport. Appassionato di storia locale, ha scritto diversi libri. Ha collaborato più volte con questo blog. Puoi trovare i suoi contributi sotto l'etichetta che porta il suo nome.
(6) Silvio Garattini è uno scienziato italiano, ricercatore scientifico in farmacologia, medico e  docente in chemioterapia e farmacologia, direttore dell' Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri” Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Silvio_Garattini
(7) Situata in via G. Matteotti 39, la Del Curto Srl è un azienda che si occupa di riciclaggio del legno.
(8) Leonello Colombo,è stato sempre vicesindaco e assessore ai lavori pubblici; Orazio Fumagalli ha ricoperto l'incarico di assessore allo sport e all'istruzione; Felice Pozzoni è stato assessore all'urbanistica.
(9) Cesare Golfari (1932 – 1994) è stato presidente della Lombardia dal 1974 al 1979. Fu eletto senatore nel 1987 e nel 1992. Giovanni Fiamminghi(? – 2008) è stato sindaco di Malgrate dal 1964 al 1970, poi presidente della Provincia di Como per tre mandati tra gli anni ’70 e ’80. Guido Puccio è stato sindaco di Lecco dal 1970 al 1975.
(10) Luigi Zappa è stato sindaco di Merate dal 1964 al 1975; Giuseppe Ghezzi dal 1975 al 1985; Giacomo Romerio dal 1985 al 1990.
(11) Armando Villa è stato sindaco di Verderio Superiore dal 1955 al 1995. In questo blog trovi notizie su di lui sotto l’etichetta “Archivio Armando Villa”.
(12) I risultati dei tre referendum per la fusione dei due comuni:
1993: Verderio Sup. 469 Sì (40,53%) - 673 No (58,17%);Verderio Inf. 658 Sì (55,72%) - 500 No (42,34%);    Totale Sì 1127 – Totale No 1173
2003: Verderio Sup. 570 Sì (46,99%) - 633 No (52,18%);     Verderio Inf. 764 Sì (65,02%) - 400 No (34'04%); Totale Sì 1334 – Totale No 1033
2013: Verderio Sup. 782 Sì (83,73%) - 152 No (16,27%);    Verderio Inf. 820 Sì (76,42%) - 250 No (23,30%); Totale Sì 1602 – Totale No 402
(13) Adelio Origo, esponente del PSI di Verderio, è stato più volte consigliere comunale di Verderio Inferiore, come rappresentante di quel partito. Al momento della sua morte, avvenuta nel marzo del 2008, era però consigliere comunale nella lista di minoranza denominata: “Insieme per Verderio Inferiore”.



Marco Bartesaghi









"STORIE DI ARCHITETTURA". IL NUOVO LIBRO DELL'ARCHITETTO FRANCESCO GNECCHI RUSCONE

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Da novembre in libreria Storie di architettura, la biografia operosa dell’architetto Francesco Gnecchi Ruscone(Francesco Brioschi Editore)


"Storie di architettura delinea nei tratti essenziali la biografia dell’architetto Francesco Gnecchi Ruscone, da annoverare tra i migliori progettisti italiani della seconda metà del Novecento. Un libro per far trasparire i leitmotiv che hanno sorretto e motivato il suo lavoro e che l’hanno reso celebre in tutto il mondo.
Il volume si sviluppa in otto capitoli che illustrano i rapporti tra progettista e committenza, i ricordi degli incontri con i principali colleghi, da Le Corbusier e Alvar Aalto a Gio Ponti e Rogers, e i processi del progettare: dalle prime intuizioni fino ai capitolati d’appalto, tutti risultanti da una rete di collaborazioni, interne o esterne allo studio, ricordate con gratitudine.


Il libro offre inoltre interessanti spunti di riflessione sul senso etico dell’agire dell’architetto, che con il proprio lavoro contribuisce all’alterazione di un paesaggio preesistente per definirne uno che consenta un migliore quadro per la vita. E questo è forse il messaggio più prezioso che ci consegna Gnecchi Ruscone: progettare per la società e per trasmettere a chi verrà dopo un patrimonio di esperienza e di bellezza.
Storie di architettura è un libro che si rivolge ai giovani che pensano di avere la vocazione per l’architettura, agli architetti in attività che non hanno ancora imparato tutti i trucchi del mestiere, a chi è interessato alla storia del Movimento Moderno, a chi vuole sapere cosa accade nella testa di un architetto al tavolo da disegno, ai clienti degli architetti che vogliono capire con chi hanno a che fare e, infine, a chi vuole vaccinarsi contro il culto dell’archistar! Un filo conduttore: gli altri. Per Gnecchi Ruscone l’architettura appartiene per metà a chi la progetta e per metà a chi la vivrà!
"

Un libro per mettere a fuoco vicende importanti della storia dell’architettura, come
anche della società italiana del secondo Novecento, Giancarlo Consonni



Titolo
: Storie di architettura
Autori: Francesco Gnecchi Ruscone, Adine Gavazzi
Prefazione di Giancarlo Consonni
Editore: Francesco Brioschi Editore
Prezzo: euro 18


FRANCESCO GNECCHI RUSCONE E LUIGI CACCIA DOMINIONI: ARCHITETTI A CONFRONTO
Martedì 2 dicembre 2014, ore 18.00
Fondazione Portaluppi
Via Morozzo della Rocca 5
Con Francesco Gnecchi Ruscone e Luigi Caccia Dominioni dialogano Giancarlo Consonni, Elio Franzini, Angelo Torricelli.
Modera Maria Canella


14 AGOSTO 1917. LETTERA DAL FRONTE DEL CAPITANO VIRGILIO CARTA di Carla Deambrogi Carta

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14.8.1917
"Carissimo Manfredi,
io non sono più un'esistenza, sono uno spettro, che già gira in mezzo al marciume del camposanto, freddo e indifferente. Per me la vita non è più una realtà. È un sogno o, al più, un ricordo; questo ricordo non mi desta alcun desiderio, non mi lascia rimpianti. È una cosa passata: ecco tutto.
Non spaventarti, caro fratello, sono sempre il tuo Virgilio, sano e intero, che aspetta quel giorno delizioso in cui potrà riabbracciare i suoi cari.
Solo che qui ritrovo in me una nuova natura,
il carattere, voglio dire, diabolicamente freddo
dei famosi monatti della peste di Milano.
Giriamo in un camposanto, vediamo teschi, membra putride, marciume, fetore, orrori di tutte le specie e, in mezzo a tutto questo, noi ridiamo, scherziamo, mangiamo, beviamo e aspettiamo
di diventare anche noi una cosa schifosa".










La lettera si interrompe qui, non è mai stata inviata.
Il soldato, Virgilio, ha voluto nascondere ai suoi cari tutto il bagaglio di orrore che la guerra porta con sé.
Sono parole scritte da Virgilio, ma potrebbe averle scritte Günter, Ivan, William, Petru, Markus, François, Antón, Gòran, Jack, Dimitri, Nazìm, Sàndor, Màrek, …



Virgilio Carta, nato a Jerzu (Nuoro) il 12 dicembre 1890 e morto a Cernusco Lombardone il 21 maggio 1977, è stato ufficiale del 152° Reggimento Fanteria, 621° Compagnia Mitragliatrici FIAT.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, è stato richiamato con il grado di sottotenente, conseguito frequentando il corso allievi ufficiali, durante il servizio di leva.



Faceva parte della BRIGATA SASSARI, la famosa brigata sarda, i cui fanti erano denominati, dagli austriaci, “Diavoli”. Ancora oggi, durante la parata militare della Festa della Repubblica, i reparti della “Sassari”, quando sfilano davanti alle autorità, lanciano il grido “DIABOLUS”.
Virgilio ha combattuto su vari fronti, in pianura e in montagna, in particolare in Carnia, ed è stato ferito due volte: il 12 agosto 1915, a Bosco Cappuccio, e il 2 luglio 1916, a Bosco Masciaghi.
Il 20 giugno 1916 ha condotto un’importante azione a Castelgomberto, che gli è valsa un encomio solenne, la medaglia di bronzo e la promozione a capitano.
In agosto e in settembre del 1916 ha combattuto a Monte Fiore e a Casara Zebio e, a settembre e ottobre del 1917, sul versante orientale del San Gabriele.
A fine gennaio del 1918 ha svolto azioni sul Col Rosso e sul monte Bolle. Ha combattuto  anche sull’Isonzo e nelle trincee delle Frasche e di Rosi.
Terminata la guerra ha proseguito gli studi e conseguito la laurea in ingegneria meccanica. È stato ispettore dell’ ENPI (Ente Nazionale Prevenzione Infortuni), occupandosi in particolare della sicurezza degli ascensori.
Era molto appassionato di musica e di arte e il suo hobby preferito era la fotografia.
Per meriti di guerra, alla fine degli anni venti è stato nominato Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia
.

Virgilio Carta era mio suocero. Di Manfredi, suo fratello, destinatario della lettera mai spedita, ho poche notizie. Tornato dalla guerra, dove era rimasto ferito, fu colpito da malattia mentale e ricoverato nel manicomio di Cagliari. Vi rimase fino alla morte, avvenuta nel 1958.
Non so se i sintomi della malattia mentale si siano manifestati subito dopo il ferimento, né quando si sia reso necessario il ricovero. Mio suocero, che lo andava a trovare, diceva che quasi non parlava. L'ultima volta che l'aveva visto però gli aveva detto: "Non ho coscienza di me". 

FOTOGRAFIE DAL FRONTE


Al fronte, Virgilio Carta scattò molte fotografie, che corredò, sul retro, di brevi ma precise descrizioni. Qui sono presentate alcune di quelle che si sono conservate* .





"Maggio 1917 - Tolmezzo - Proiettile da 420 inesploso"



"Pal piccolo  - Carnia 1917 - Soldati che vanno da Vetta Chapôt al fondo valle per il rifornimento dell'acqua da bere fatto con cani portatori"



"Vetta Chapôt- trasporto di soldato ferito"




"Pal piccolo Vetta Chapôt. Distribuzione del rancio"




"Trincea in posizione avanzata di Vetta  Chapôt - in fondo il Pizzo Collina"




"Trincea scavata nella roccia - estrema destra della vetta Chapôt della ridotta Ragina"


"Carnia - 1917 - Trincee nostre"


"Corvé"



"Baracca dei bombardieri a Posizioni Nuove (Vetta Chapôt )- Barilotto Austriaco inesploso"




"Messa a Posizioni Nuove di Vetta Chapôt "


*Per essere esposte nella mostra "I nostri padri in trincea. Ritratti di cernuschesi in guerra", le fotografie di Virgilio Carta sono state recentemente restaurate da EFFEOTTO di CernuscoLombardone.


DOCUMENTI MILITARI DI VIRGILIO CARTA

1° DOCUMENTO 



Trascrizione

Il Capitano Carta Signor Virgilio della 621 Compagnia mitragliatrici "Fiat" per le ferite riportate a Bosco Cappuccio e l'altra a bosco Masciaghi il 13 Agosto 1915 e il 2 luglio 1916 è autirizzatoa fregiarsi del distintivo d'onore istituito con la circolare n. 134 del Giornale militare 1917
Ozieri li 7 maggio 1917.


2° DOCUMENTO


Trascrizione delle motivazioni dell'Encomio Solenne concesso al sottotenente Virgilio Carta il 25 luglio 1917

Comandato alla esplorazione di una posizione, ritornava fornendo utilissime e precise informazioni sul nemico, cooperando così al buon esito dell'azione - Castelgomberto, 20 giugno 1916


3° DOCUMENTO


Trascrizione delle motivazioni del conferimento della "Medaglia di Bronzo al valor militare con soprassoldo di lire cento annue" al sottotenente Virgilio Carta

In commutazione dell'encomio solenne tributatogli con D. L. 31 dicembre 1916:
All'inizio di un combattimento, esplorava arditamente tratto di fronte nemico, riportando utili e precise informazioni. Incontrato un reparto disorientato, perché rimasto privo di ufficiali, concorreva a ricondurre il reparto stessoall'attacco, fino al sopraggiungere di altro ufficiale - Castelgomberto, 20 giugno 1916

Carla Deambrogi Carta





GRAFFITI ALLO STADIO TRITIUM DI TREZZO SULL'ADDA

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OPERA D'ARTE MURALE COLLETTIVA, REALIZZATA NEL NOVEMBRE DEL 2013, SULLA PARETE ESTERNA DELLO STADIO "TRITIUM"DI TREZZO SULL'ADDA.
Consiglio di vedere su you tube il video girato durante la realizzazione dei dipinti, che potete trovare al seguente indirizzo:















































































































VISITARE L'INDIA IN TRENO E TAXI di Monica Colombo

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Monica Colombo e Raffaele Pirovano hanno trascorso le loro vacanze di quest'anno in India, utilizzando, nei loro spostamenti il treno e il taxi. Questo il racconto della loro avventura. M.B.

VISITARE L'INDIA IN TRENO E TAXI di Monica Colombo

Partenza il 9  agosto, per la prima volta quest’anno abbiamo prenotato oltre al volo anche i biglietti del treno per i trasporti interni e gli alberghi. Avevamo, infatti, optato per il treno per il nostro primo viaggio in India, gli oltre 100mila km di ferrovia inglese che uniscono le principali città del Paese ci erano sembrati ideali per visitare il Rajasthan, il Madhya e l’Uttar Praddesh. Il nostro piano iniziale, costruito dopo un attento studio dei blog di viaggio online, consisteva in otto città in 20 giorni.




Partenza da Malpensa per Delhi. Partiamo quindi da qui, dalla capitale indiana, con il suo Red Fort e i palazzi del Parlamento. Arrivo di notte, albergo nel centro di Paharganj, vale a dire il bazar, dove tutti dormono tranquillamente, per strada; attraversato silenziosamente uno stretto vicolo, arriviamo nella nostra minuscola camera. Ci adattiamo, capiamo come scavalcare il letto e il comodino per arrivare al bagno e ci addormentiamo con il rumore dei clacson, a cui ci abitueremo presto, come sottofondo.
 




Il giorno dopo, una colazione a base di omelette e banane sul terrazzo rende tutto più gradevole e romantico, il nostro ostello risulta essere molto frequentato da tedeschi e francesi; decidiamo di visitare Connaught Place. Passeggiando per il mercato veniamo in qualche modo sempre accompagnati da persone locali, per anche brevi tratti di strada, ci fanno solo qualche domanda, da dove veniamo, come mai in India, se ci piace la città e quando scoprono che è il primo giorno tutti ci danno il benvenuto e ci mostrano le varie attrattive, chi un tempio sikh, chi la frutta su un banchetto, chi stoffe, un ragazzo ci porta nel locale, secondo lui, migliore di Delhi, offrendoci gentilmente la colazione.
 




Tra una chiacchiera e l’altra, nate così spontaneamente, scopriamo che il Rajasthan può essere visitato anche con un taxi, e dopo una piccola consultazione decidiamo di visitarlo così, in questo modo avremo la possibilità di visitare altre località altrimenti irraggiungibili: Bikaner col suo tempio dei topi, Pushkar la città sacra a Brahma, le Haveli di Mandawa, la maestosa Ranakpur o ancora l’inaspettato Kumbalgarth. Manteniamo solo per il Praddesh le prenotazioni del treno.
Il nostro autista è si chiama Gocky, un ex wrestler, fratello del sindaco del suo villaggio, amante del whisky.
 



Non vogliamo soffermarci su questo primo pezzo di viaggio, Marco che ci ospita sul blog, ha chiesto esplicitamente un focus sul treno, ma vogliamo confermare tutte le dicerie sulle strade in India: sì, gli indiani guidano come pazzi; cadono ciabatte dai tetti stracarichi dei pullman; lungo la strada potreste trovare pellegrini (a volte interi villaggi) in cammino verso un monastero e tende che danno loro vitto e alloggio; in moto ci si può stare fino a  cinque persone; l’asfalto a volte finisce improvvisamente; non si fa nulla senza clacson. Gocky ci ha tenuto un breve corso di guida in india, da cui abbiamo capito che destra e sinistra non fa differenza, è meglio stare piuttosto in centro e quando si vede un ostacolo (camion, auto, mucca..) decidere da che parte andare; se qualcuno ti vuole superare suona il clacson e di conseguenza se vuoi superare qualcuno, suoni; lo stesso vale se vedi una mucca in mezzo alla strada, lei capisce e si sposta, tranquillamente.
Prendere il treno in India non è semplice, ci vuole un po’ per capire il sistema che lo regola e di conseguenza essere pronti per prenotare il biglietto. Ben 8 sono, infatti, le classi tra cui scegliere, che non sono sempre tutte presenti.  Ci sono le classi con aria condizionata e ci sono quelle senza, che non hanno finestrini ma delle sbarre. Ci sono carrozze con prenotazione obbligatoria, ci sono quelle senza prenotazione (NR - no reservation), che assomigliano un po’ alla metro di Milano nell’ora di punta, ma senza porte così che ognuno possa scendere quando vuole. 

Noi viaggiamo soprattutto di notte, in quanto sono tratte da 10 o16 ore di treno, anche se per non più di 700 chilometri. Le cuccette sono comode, possono essere a due o a tre piani (questa è la principale differenza tra seconda e terza classe con AC). Assomigliano molto alle cuccette dei vecchi regionali Trenitalia, solo che gli scompartimenti sono separati dal corridoio da tende blu scuro.
 




I biglietti li abbiamo prenotati online, dall’Italia. È necessario prenotare per tempo, perché i treni indiani tendono ad essere molto affollati e si potrebbe correre il rischio di finire in lista di attesa (hai il biglietto, ma non il posto, aspetti che qualcuno disdica, non abbiamo capito cosa accade se questo non succede).
In treno abbiamo viaggiato tra Agra, Kahjuraho, Varanasi e Delhi.
Le stazioni sono affollatissime, anche quella di Kahjuraho che è un paese di poco più di 19 mila abitanti (per l’India un piccolo villaggio) l’abbiamo trovata piena di gente.
I treni non sono sempre puntualissimi, quindi gli indiani che sono esperti e non si lasciano scoraggiare da questi inconvenienti, sono tutti prontissimi per le lunghe attese. Con coperte da stendere per terra, cuscini, schiscette stracolme di cibo come se non ci fosse un domani, sono pronti per il viaggio. È come se ogni stazione fosse un villaggio, con gente che va e viene e persone che restano, in quanto molti in stazione ci abitano.
Anche noi non siamo da meno con un libro, dei biscotti, dell’acqua. Seduti su una panchina (che nonostante la gente è sempre libera, gli indiani preferiscono sdraiarsi per terra) chiacchieriamo con i vicini e osserviamo il via vai. Gente sovraccarica di borse, persone che discutono, cenano, corrono a prendere un treno in corsa e si aggrappano a qualche mano “amica” che li tira su, oppure che si arrampicano sul tetto, passeggiano avanti indietro a piedi nudi abbandonando le ciabatte in un angolo, perché vuoi mettere con avere la pelle a contatto della terra?  A notte fonda, le banchine delle stazioni indiane sono vive.
 



All’ingresso di ogni carrozza con prenotazione un controllore si accerta del biglietto e ti accompagna nella cuccetta, ti dà lenzuola, cuscino e coperte. Qui tutti dormono.
 Sono molti i turisti che decidono di viaggiare in treno in India, addirittura nella tratta Kahjuraho-Varanasi la carrozza è pressoché piena di stranieri, condividiamo la cuccetta con due italiani, di Milano, che conoscono Verderio perché erano venuti al Pintumpleanno e quest’anno a settembre ci sono tornati, il mondo è minuscolo.
Alla mattina un ragazzino urla qualcosa, vende chai, roti, samosa e namkin; la colazione. Più si va verso sud, dal finestrino il paesaggio indiano cambia da secco e arido a verde e lussureggiante. Sul vagone ci capita di scambiare qualche parola, un sorriso, una stretta di mano, una foto.  Ma qui è tutto più tranquillo rispetto all’esterno, nelle cuccette si parla bisbigliando, si cerca di non dar fastidio, non c’è rumore, ci si riposa.
L’ultima città è Varanasi, o Benares, città sacra, una delle più antiche del mondo, qui i pellegrini Hindu vengono a purificarsi nelle acque del Gange, lavano via i peccati, e a morire, ottenendo la moksha.
 




Mentre noi dopo riti e preghiere, tappeti e sete, foto e strette di mano, spezie e zafferano, scimmie e topi, templi e fiori, forti e palazzi, sorrisi e silenzi, tuktuk, risciò, treni, cammelli, elefanti, biciclette, barche e Tata, ritorniamo a Delhi e a casa, lasciando un Paese pieno di contrasti, non solo tra caste, ma anche tra estrema gentilezza e furbizia, tra volontà di crescere e innovare e rassegnazione, bisogni concreti e spirituali, rumore assordante e silenzio rigoroso.
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